BPM (Beats Per Matches) – Udinese-Milan 2-3 ovvero: Fear of a Black Planet

(di Max Bondino)

Emozioni e sentimenti sembrano sinonimi ma non è mica così. Le prime sono figlie del momento, scosse elettriche improvvise, reazioni a ciò che ci circonda, i secondi abitano in profondità, parecchio più radicati, hanno qualcosa da spartire con ciò che realmente sei. Fra le cose che, purtroppo, sempre più spesso mi capita di provare nella vita quotidiana (e che non so mai bene dove collocare) c’è quella che chiamo “vergogna conto terzi”. Ti ritrovi lì ad osservare lo show dell’inadeguatezza umana e provi il disagio a loro sconosciuto.

“Man, don’t you worry ‘bout a thing
‘Bout your daughter, nope she’s not my type
But suppose’ she said she loved me
Are you afraid of the mix of Black and White?”

Chuck D dei Public Enemy sputava queste rime livide e ironiche quand’ero teenager e mi torna ancora una volta utile quando devo dare un suono alla mia rabbia. L’emozione primordiale che nasce da un sentimento nobile come l’orgoglio. Udinese – Milan è il minuto 33 con attorno il resto. In quell’istante, Mike Maignan, proprio come il rapper di New York, decide di fare una domanda chiara ed inequivocabile. Destinatari: la Serie A, un paese, una civiltà. Lo fa lasciando il campo, dopo aver sopportato a lungo lo spettacolo subumano di chi stava dietro la sua porta. L’AC Milan, grazie ai suoi giocatori, scava per la prima volta un solco nella storia di questo sport, seguendolo negli spogliatoi, in modo compatto. È un’immagine potentissima, mai vista prima che sfortunatamente, nessuno dei commentatori ha saputo raccontare adeguatamente in diretta, d’altronde, anche i razzisti pagano gli abbonamenti.

“Look on your face, I see ya can’t stand it”

Dopo cinque lunghissimi minuti Mike torna a guardare in faccia chi non merita neppure uno sguardo.
La partita riprende ed il Milan sta vincendo 1-0 grazie al goal di Loftus Cheek che, poco prima dell’interruzione (servito da Theo) ha replicato il piattone nell’angolino basso. Un vantaggio meritato, considerando la spinta e le occasioni della prima mezz’ora, tutte con Giroud protagonista. Prima trovato splendidamente da Rafa in area (il suo bel sinistro viene deviato in angolo) e poi da Theo Hernandez (non riuscendo ad agganciare a un passo dalla porta). Il clima che si è creato non è dei migliori ma non incide minimamente sul pareggio dell’Udinese al 41esimo grazie ad una gran giocata solitaria di Samardzic che mette in evidenza tutte le attuali difficoltà dinamiche di Kjaer, lo salta, si crea lo spazio e di sinistro la mette nell’angolino basso.
Nei sei minuti di recupero emerge, invece, la fragilità psicologica che ben conosciamo a procurarci qualche affanno ma senza ulteriori danni.

“Excuse us for the news
You might not be amused
But did you know white comes from black
No need to be confused”

Inizia la ripresa ad Udine dove, senza quell’africano dell’uomo di Kibish ci sarebbero solo caprioli.
Dopo un intervento a la Sandro Nesta di Gabbia (ebbene, sì!) a chiuder la porta in faccia a un loro contropiede, cerchiamo di ripartire a sinistra con Rafa che mette in mostra gran parte del repertorio buono, nel quale è sempre inclusa, purtroppo, quella mancanza di concretezza che ci fa disperare. Ci esalta, invece, al 56esimo con un ripiegamento difensivo da applausi che vorremmo vedere un po’ più spesso. Due minuti dopo, dalla destra, tutta la qualità di Christian Pulisic per servire Giroud in area, bella girata di testa che Okoye blocca a terra.
Al minuto 61 l’Udinese va in vantaggio e ce la mandiamo noi, con una situazione talmente grottesca che meriterebbe come sottofondo le musichette del paleozoico Benny Hill. Thauvin attacca sulla destra e si allunga la palla, Reijnders anziché liberare, si esibisce in un tocco goffo che si trasforma in un tunnel fra le gambe di Theo che, ancora più impacciato, inciampa sul pallone lasciando al suo connazionale il tiro da due passi. Galvanizzata dall’insperato vantaggio, l’Udinese colleziona cartellini gialli, menandoci più di prima. Abbiamo buttato così tanti punti, quest’anno ma questa partita va raddrizzata, non ci stiamo noi e neppure Pioli che, inserendo sia Jovic che Okafor mette in campo un 4-2-4 che di solito, si usa solo sulla Playstation nei momenti più disperati.

Ma funziona. 82esimo, Rafa, con un lancio in torsione immaginifico, trova Theo in corsa che dal fondo serve dentro, la deviazione della difesa favorisce Giroud, tiro al volo che, deviato, sbatte sulla parte inferiore della traversa e poi sulla linea, Jovic in tuffo, la spinge di testa quella manciata di centimetri in più che servivano per il pareggio. Ma non si esulta, non basta. Non stasera.
I minuti di recupero sono sei, al 92esimo è Giroud a far volare Okoye a deviare sopra la traversa una conclusione potentissima e precisa da 25 metri. Sul calcio d’angolo di Florenzi è ancora Olivier a svettare, prolungando sul secondo palo per Okafor che stoppa di petto e di destro, la scaraventa in rete, proprio lì, sulle facce razziste conosciute nel primo tempo.

“What is pure? Who is pure?
Is it European? I ain’t sure”

Noah Okafor ha un nome biblico, un cognome nigeriano, è svizzero e parla in inglese con un forte accento tedesco. Benvenuti nel mondo reale.

 

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