BPM (Beats Per Matches) – Milan-Inter ovvero How to disappear completely

(di Max Bondino)

Con la stessa precisione accurata dei precog di Philip Dick si è avverato tutto. Nelle ultime settimane, ogni indizio portava esattamente qui, consapevoli di dover commettere un delitto immaginato da altri, il libero arbitrio dell’AC Milan sembra ormai superfluo. Il destino ce lo siamo fatto scrivere addosso e se
non è un tatuaggio di quelli brutti, da galeotti, è sicuramente una cicatrice che lascerà un segno profondo.

“I walk through walls
I’m not here
This isn’t happening
I’m not here”

Tanti, troppi bambini che piangono. Non che i rossoneri un po’ più grandi se la passino meglio, sguardi da tuareg alla ricerca di un orizzonte offuscato da colori sbagliati. Almeno questa, si poteva evitare. Qualcuno con un po’ di amor proprio, poteva metterci una pezza. Probabilmente non questa proprietà, interessata alla nostra storia quanto noi alle sorti dei Red Sox di Boston e nemmeno l’allenatore più delegittimato d’Italia lanciato nella sperimentazione più pura in una partita con questo peso specifico.
Leao centravanti, difesa a tre e ancora Musah al posto di Chukwueze nella formazione titolare è chiaramente il dito medio alzato di chi, allontanandosi, ha ancora il coraggio di sbattere la porta dopo tutto ciò che questa gente gli ha regalato. Avere un piano tattico nuovo di zecca ogni tre giorni sembra aver steso definitivamente giocatori che, da troppo tempo, danno il peggio di sé, a prescindere dall’evidente stato confusionale della loro guida.

“In a little while
I’ll be gone
The moment’s already passed
Yeah, it’s gone
And I’m not here”

Non c’è cronaca, a San Siro. Siamo tutti altrove. Nessuno è davvero lì, esattamente come la difesa del Milan sul primo goal di Acerbi. Come tutto il resto della squadra portata a spasso da Thuram nell’azione del raddoppio nella ripresa. L’inter sembra decidere quando lasciarci giocare per poi colpire a piacere.
Così, le occasioni (abbastanza clamorose) sui piedi di Leao alla mezz’ora in contropiede e la girata in area di Calabria poco dopo sembrano trame secondarie di un copione scritto da tempo dove per ogni situazione favorevole, ecco serviti almeno un paio di errori difensivi terrificanti di cui loro non
approfittano a ripetizione. Sconforto anche nei cambi, non per i subentrati ma per la loro sistematicità.
Sempre gli stessi errori, le stesse pezze e quel dejavù di Okafor che entra al 77esimo che ci pare di aver sperimentato in altre tredici vite almeno. Ci regala un po’ di orgoglio Adlì che, uscendo, travolge tutto ciò che trova. Almeno sembra fregargliene qualcosa (fra i pochi a suggerire quell’idea anche in campo, va detto).

Il goal di Tomori, a 10 minuti dalla fine, è una delle situazioni migliori create nelle ultime settimane. Ancora ottimo Chuckwueze a metter dentro una gran palla per Leao, sponda di testa per quella di Gabbia, palo pieno con Fikayo a ribadire dentro urlando tutta la sua (e nostra) rabbia. Ma quella utile
resta tutta lì, nel tragitto verso il centrocampo. Questo Milan non è attualmente in grado di canalizzare la furia agonistica per trasformarla in inerzia. Diventa solo frustrazione, quella ignorante. Nel recupero, soltanto risse. Theo e Dumfries riprendono un discorso aperto un paio d’anni fa mettendosi in faccia mani promesse da tempo, conquistando due rossi. Ne vince uno anche Calabria per una discreta gomitata sullo zigomo di Frattesi ed è di nuovo un collettivo ed avvilente “scemo-cretino-ti-meno” all over the place.

Il corner corto e pasticciato di Bennacer allo scadere (con Maignan salito in area) racconta tutta l’inadeguatezza prima mentale che tecnica in cui questa squadra ha deciso di affogarsi.

“Strobe lights and blown speakers
Fireworks and hurricanes
I’m not here
This isn’t happening”

Finisce. Luci e boati. Fuochi, fumogeni e tempesta. Non siamo davvero qui. Ma è successo.
Nel temporale, sblocco il telefono e rivedo l’immagine della maglia della prossima stagione che è rimbalzata in tutte le chat, in giornata.
È davvero bellissima, come esser milanisti. Mai come oggi, solo la maglia, certo.
Ma servirà anche molto altro. Davvero parecchio di più.

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