BPM (Beats Per Matches): Milan-Lecce 3-0 ovvero Nothing Like The Sun

(di Max Bondino)

Maniche corte, occhiali scuri. Le tre del pomeriggio, non me le ricordavo più, qui a San Siro. C’è qualcosa di catartico nel modo in cui il popolo del Milan si raduna ancora una volta attorno alla sua cattedrale. È uno squarcio nel tempo. L’occasione di una sbirciatina senza farci rapire da facili malinconie, d’altronde siamo qui per amore, mica per amarcord. E ci perdonerà Shakespeare che nel celebre sonetto 130, celebrava la sua mistress prendendo le distanze da chi usava comode metafore fra gli astri ma a noi, oggi, tocca proprio esser, ancora, belli come il sole (pur sapendo di somigliare parecchio di più alla “dark lady” anticonvenzionale che tanto gli piaceva).

“My love is a flame that burns in your name”

Nel nome dell’AC Milan, le fiamme sanno come comportarsi. E in giornate come questa, attecchiscono più velocemente del solito, così, il match contro il Lecce inizia mettendo subito in mostra le nostre caratteristiche meno poetiche, mantenendo vivo un pallone ai limiti della nostra area che favorisce il diagonale rasoterra di Gonzalez, la palla esce a lato trasformandosi nell’unico reale rischio inutile della partita che, immediatamente dopo, inizia a bruciare.

“I’m an alien, I’m a legal alien”

Che tu sia un inglese a New York o un americano a Milano, poco cambia. Sei parecchio lontano da casa. Eppure Christian Pulisic sembra appartenere a questo posto, a questa maglia, da sempre. Parla pochissimo, posta sui social una volta alla settimana quando è preso bene e non gli abbiamo mai sentito dire una parola in italiano, nonostante sembra lo capisca ormai perfettamente ma va bene, il suo compito è un altro: farci vedere cose aliene, per lo più illegali.

Come, al minuto numero 6, quando Samuel Chukweze restituisce orgoglio e dignità a tutti quelli come me che, nei mesi in cui inciampava sui fili d’erba, sostenevano di essersi entusiasmati, il giorno del suo acquisto. Ci ha messo quasi una stagione intera (come gente più celebre prima di lui) ma che meraviglia, finalmente. Riceve sulla destra e sfoggia il suo superpotere, quel dribbling strettissimo, sincopato, talmente veloce che sembra quasi perdersi qualche frame che l’occhio umano non riesce a codificare. Ne salta due, ne inganna altrettanti e serve dal limite l’alieno legalizzato milanese. Pulisic controlla col piede debole (LOL) e con molta poca delicatezza incastona un diamante sul secondo palo. Discreto impatto nel nuovo ruolo. Vicinissimo alla doppietta due minuti dopo. Sul cross di Theo, si fa trovare nell’area piccola, la girata di testa ravvicinata viene respinta d’istinto da Falcone.
Nel frattempo Chuckweze continua a viaggiare sopra i 60 fps apparendo come un glitch in tutte le nostre azioni d’attacco fino al ventesimo.

“But if our love is pure
The only thing of which we’re sure
Then you can play your part
And go straight to my heart”

Quando Giroud arrivò al Milan, avevamo occhi solo per Zlatan. Tre anni dopo, Ibra è un dirigente ed ogni volta che Olivier segna, quegli occhi diventano un po’ più lucidi. Vecchio cuore. Sul corner di Adlì, ci ricorda che saltare a volte non serve, “girarsi” invece sì, è una lezione imparata talmente bene da saperla cantare, ormai. Il tocco verso il palo lontano è chirurgico, è 2-0. L’esultanza che segue è di una bellezza struggente, una lettera rabbiosa d’amore di chi deve scegliere del suo futuro ma non ne ha affatto voglia, perché non esiste un posto migliore di questo. Sembra strapparsi maglia e pelle di dosso per mostrarci quanto rosso e nero ci sia sotto mentre urla: “Io sono qui”.

Ce lo meritavamo un pomeriggio così, col risultato mai in discussione, nonostante il lampo di Gonzalez che prende una traversa con un improvviso colpo di testa alla mezz’ora ma la direzione del match diventa irreversibile allo scadere dopo l’espulsione di Krstovic che, in un contrasto aereo, pianta i tacchetti sulla schiena di Chukweze.

“Rock steady, baby”

Il groove della ripresa si mantiene costante. Grazie piedi di Samuel che continua ad ingaggiare duelli, vincendoli, fornendo assist preziosi in serie a Giroud, in apertura. Al 57esimo, una grandissima palla di Adlì taglia tutta la loro difesa lanciando in campo aperto Rafa che non deve far altro che seguire il suo impulso primordiale fino a ritrovarsi a tu per tu con Falcone, pallone fra le gambe e 3-0.
Vanno vicinissimi al poker prima Olivier, che trova solo l’esterno della rete sull’ennesima grande giocata di Leao e poi dal nulla, con un irreale sinistro da fuori, da fermo, di Theo Hernandez che si schianta all’incrocio. Nel frattempo, Milan – Roma è già iniziata sugli spalti, nei cori della gente, l’ingresso di Musah, Jovic e Kjaer la fa cominciare a tutti gli effetti, anche nelle rotazioni.

Si rischia un po’ di accademia (ed anche qualche caviglia) quando Leao si lascia un po’ troppo prendere dal flow improvvisando giocate bellissime ma un po’ irridenti, capiamo che tunnel, suola e ruleta nella stessa azione potrebbero far chiudere la vena a qualcuno ma la partita, fortunatamente, non degenera anche grazie allo sconosciutissimo (a me) arbitro Massimi che fa il suo, senza i deliri di onnipotenza dei suoi colleghi più trendy.

“It’s like singing in the wind
Or writing on the surface of a lake”

So che agli occhi di molti, oggi, parlare bene dell’AC Milan sembri un esercizio effimero. Ma sette vittorie consecutive lo meritano. Questa squadra ha tifato per sé stessa quando non ci credeva quasi più nessuno, trascinandoci nuovamente, a forza, dentro ad una stagione che ci concede ancora il privilegio della speranza. Magari non sarà davvero “bella come il sole” ma aveva ragione Shakespeare (ben prima di Sting): a volte non serve esserlo, per farci perdere la testa.

Nothing like the sun.

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