BPM (Beats Per Matches) – Milan-Bologna ovvero, King of pain

(di Max Bondino)

Ventidue kilometri, senza superare ostacoli. Niente di eccezionale, ma col Diavolo non solo in fondo al cuor ma anche alla fine di un sabato in cui, finalmente, ho riportato la bici sulla ciclabile del Naviglio Grande a risvegliare muscoletti assopiti sul divano nei mesi in cui la città gelava.
In sintesi: C’è il sole e c’è il Milan, si gravita lì attorno, come sempre.

“There’s a little black spot on the sun today
It’s the same old thing as yesterday”

A Sting (uno bravo con le metafore) bastava una piccola ombra per dipingere le difficoltà che ci inseguono, a noi è sufficiente tornare a San Siro. È ancora una volta lì che ritroviamo quella “vocazione all’imperfezione” che sembra definirci in tutti i momenti più importanti della stagione, o quantomeno in quelli che potrebbero aver un significato. Milan – Bologna (grazie anche ai nostri avversari) si presenta come una partita più piacevole di tante altre impantanate fra non-gioco, scorrettezze e perdite di tempo. Nei primi venti minuti l’AC Milan pressa e difende con ordine, si vede Theo col pezzo forte del coast to coast peccare nella conclusione, si intravede Leao, ma è proprio tanto bello da vedere Zirkzee (qualunque cosa faccia) e il nostro stadio è parecchio sensibile a giocatori così. È bellissima l’azione che al 18esimo porta alla conclusione Rafa. Sempre il tacco di Giroud ad aprire lo spazio per l’inserimento di Loftus che trova Leao sulla sinistra, il diagonale, potente, viene respinto da Skorupski. Sullo sviluppo, ci prova Calabria da fuori, alto non di molto.

“There’s a fossil that’s trapped in a high cliff wall
There’s a dead salmon frozen in a waterfall”

Ma è il Bologna ad andare in vantaggio alla mezz’ora. E a far molto più male del goal è ciò che lo precede. Mezzo minuto in cui una difesa terribilmente bloccata ribatte alla disperata quattro loro tentativi in area piccola, l’ultimo rasoterra, di Zirkzee (defilatissimo) si infila fra le gambe di Mike. Ma è ancora Milan poco dopo con Kjaer che, trovato da Pulisic con un cross dalla tre quarti, alza sulla traversa un colpo di testa che avevamo visto tutti dentro. Al 37esimo, Loftus – in modalità Rui Costa – regala a Christian Pulisic un assist fantastico, sprecato con un pallonetto poco efficace. Ancora la testa di Kjaer protagonista un minuto dopo, nel tentativo di colpire in torsione, rimedia un calcio in faccia, è rigore. Thiago Motta fa un po’ di show, rimedia il rosso con in bundle il coro d’accompagnamento che gli tocca. Giroud (che fino all’anno scorso ne aveva messi una quarantina consecutivi) calcia un altro brutto penalty, Skorupski blocca serenamente in presa bassa.

“I have stood here before inside the pouring rain
With the world turning circles running ‘round my brain”

Piove a dirotto nell’animo di Olivier che accusa nuovamente le malinconie di errori come questo, noi non ne abbiamo il tempo perché, due minuti dopo, una gran palla di Pulisic manda Calabria sul fondo a trovare Loftus Cheek nel cuore dell’area, tocco da vero centravanti ed è 1-1. Abbiamo visto partite assai più brutte e inconcludenti di questo primo tempo eppure resta quell’idea di imperfezione che deflagrerà in modo grottesco e clamoroso nella ripresa.

Zirkzee ci grazia in apertura calciando incredibilmente alto da due passi. Ma ciò che sorprende di più è che nei secondi 45 minuti convivono, isteriche, situazioni opposte col Bologna che risponde ai nostri primi tentativi con un possesso palla continuo di oltre tre minuti (sottolineato dai fischi dello stadio) e le grandi giocate del loro numero 9, per poi ritrovarci tre situazioni favorevoli in dieci minuti come il clamoroso incrocio dei pali preso da Reijnders al 63esimo, l’ennesimo tocco improbabile di Leao cinque minuti dopo, con un tiro letteralmente di ginocchio a pochi passi dalla porta, sino al secondo rigore, procurato proprio da Rafa dopo una progressione travolgente di sessanta metri, la sua azione. Giroud ha lasciato il posto a Jovic, subentrato con Musah e Florenzi e sul dischetto, ci va Theo. Palo pieno, il pallone gli torna sul piede e la ribadisce in rete ma non è ovviamente valido. San Siro, nella foga, non lo capisce subito, così fa ancora un po’ più male. Sembra incredibile ma lo scoramento sugli spalti non coincide con quello sul campo, attacchiamo ancora, fino al minuto 82, quando Rafa trova Florenzi in corsa sulla destra. Il cross è perfetto e Loftus Cheek sembra davvero “cervo che esce di foresta” ancora una volta, con un colpo di testa così potente da piegare le mani a Skorupski. È delirio.
Ma è altrettanto delirante ciò che accade nei dieci minuti restanti.

“There’s a little black spot on the sun today
(That’s my soul up there)
It’s the same old thing as yesterday”

Sempre le stesse ombre, gli stessi errori. La “vocazione all’imperfezione” a cui accennavo si manifesta dopo il secondo giro di cambi che fanno sparire dal campo Leao e Pulisic per Okafor e Terracciano. La squadra si abbassa terribilmente e anziché gestire il possesso palla, la perde malamente ad ogni tentativo di ripartenza. Come al 90esimo. Una palla tesa di Orsolini attraversa tutta l’area senza trovare la deviazione ma proprio Terracciano rimanda l’ingresso nella nostra friend list trattenendo ingenuamente Kristiansen per la maglia. VAR e rigore, lo trasformano, loro. Rischiamo addirittura la beffa deluxe al 95esimo con Saelemaekers che mette in mezzo l’ultimo pallone del match.

“I guess I’m always hoping that you’ll end this reign
But it’s my destiny to be the king of pain”

Il pareggino della Juve, i recuperi degli altri, il loro imminente scontro diretto. Non lo neghiamo, qualche pensiero più sconcio del solito l’avevamo fatto ma il destino ci ha incoronati meritatamente, ancora una volta, sovrani del nostro piccolo regno del dolore. Abdicare al più presto sarebbe un’opzione gradita.

 

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