BPM (Beats Per Matches) – Episodio IV: Don’t be so serious ovvero Inter-Milan

(di Max Bondino)

Ho visto i draghi. Ma mica per 90 minuti. Le 72 ore che racchiudono il weekend farcito di derby sono state, per me, come le canzoni di Low Roar: eteree, intime e parecchio surreali. Cittadine di un posto dove bellezza e tristezza non fanno rima solo sulla carta. Non so voi, ma a volte, trovo ci sia qualcosa di confortante in un febbrone stabile sui 39 gradi che ti deresponsabilizza da tutto, dormire profondamente è il tuo nuovo, vitale, lavoro.

“Wake
Heavy pulse
Bloody eyes
Sweaty clothes”

Il problema è il risveglio. Fortunatamente, lo scempio umano con le mie sembianze fra le lenzuola viene equilibrato da Zelda, una delle mie due gatte, che con innata eleganza si lava il muso sul cuscino a fianco. Lo stato confusionale o la nostalgia mi riconsegna una delle ultime conversazioni avute con mio padre, poco prima che la “scighera” calasse sulla sua mente brillante.
“Và come si lava il gatto, tira a piovere, sicuro…”
Se la natura, il fato o i miei genitori mi hanno regalato qualche qualità, mio padre le aveva moltiplicate alla “n” e ci cascavo, fino all’ultimo. Gli feci notare, sarcastico, le falle della sua teoria, visto che calcolando il numero di gatti impegnati in routine di pulizia senza sosta sul pianeta, la specie dominante, oggi, dovrebbero essere (da tempo) le trote. Fece una semplice pausa e con lo sguardo che si regala a un bambino che non sa un cazzo, disse: “Eh, ma a me lo diceva la mia mamma…” Mancava solo lasciasse cadere il microfono in puro stile Obama. Incontestabile.

Mi alzo, Pà. Tu ti perdi anche questo ma c’è il derby. Oh, comunque, piove.

“Still
I refuse
To let you slip away”

Ci ho messo tre paragrafi (corti, ma tre) ad arrivare alla partita. Intanto vi ho fatto un favore e in ogni caso, questo è un BPM scritto sotto antibiotici, segue regole che trovate sul bugiardino. Quando accendo la TV (complice una percezione del tempo alternativa) siamo al settimo, mi sono perso i 4 minuti di dominio di cui sentirò parlare nel post e il primo goal dei nerobleah: ricordo immediatamente ai vicini che ho smesso di esser un buon cristiano in età scolare. Li lascio tranquilli mezz’ora per ribadirlo nuovamente al 38esimo con l’eurogoal di Thuram, mentre al 59esimo il goal di Rafa (peccato, era pure bellino) mi lascia immobile sul divano. Non so se la guerra ai batteri che ho dentro stia mietendo altre vittime nella chimica delle mie emozioni ma ho visto troppo niente e tanto assurdo in quest’ora lontano dal letto per poterci davvero credere.
Il goal del 3-1 di Mkhitaryan, dieci minuti dopo, è anticipato dalla sintesi di un anno di derby. Maignan con la palla nei piedi, che attende, scambia coi difensori, come dovessimo conservare il risultato, per poi lanciare lungo, l’Inter recupera e con quattro tocchi va in porta. È talmente avvilente la sudditanza tattica creata direttamente a Milanello che il rigore del turco che si erge a eroe del prepuzio, nemmeno mi scalfisce più e mi dispiace, perché odiarlo è un sentimento a cui tengo. Frattesi che segna il quinto nel recupero, certo, può togliergli un po’ di visibilità. Nota a margine: l’ingresso di Jovic in un contesto simile mi ha ricordato quelli nonsense di CDK ogni volta che stavamo sotto di tre.

“Shut my eyes
I’m not here
There must be some mistake”

Posso solo chiudere di nuovo gli occhi e appoggiare questo derby, lì, fra draghi, ricordi romantici e canzoni che vivono nella mia testa e tutto sembra avere un senso logico nel magico mondo dei febbricitanti ma poi passa e qualcuno dovrebbe iniziare a riconoscere i propri sbagli.

L’Inter gioca in contropiede. Lo fa benissimo, davvero ma sempre difesa e contropiede resta. Consegnarsi completamente, cinque volte in un anno, alla tua più grande rivale in nome di alchimie tattiche che prevedono robe tipo Calabria a la Pirlo in mezzo al campo non fa di Pioli un idealista.

La capacità di adattamento è ciò che ci ha permesso di uscire dalle caverne e provare ad andare ad abitare Marte. Questo Milan ci regalerà belle partite (lo ha già fatto) quest’anno ma temo non basti più. Perché derby come questo, purtroppo, sono diventati troppo importanti nel modellare le stagioni, in un momento storico dove il peso mediatico non va più retto per una settimana ma ad libitum in quello spazio senza tempo che è oggi la vita sempre online. Il Derby in cui si girò Giroud, è lì a dimostrarlo.

“Don’t be so serious
Don’t be so serious”

Ci provo. Vorrei dirvi che è solo la quarta giornata e, fidatevi, sarebbe più facile non vivessi a Milano. Vorrei riportare una statistica affidabile che racconti di una squadra che vince il titolo dopo aver preso una cinquina ma non è il mio mestiere. Però, prima di calarmi l’ultimo Augmentin, è certo che bisogna tornare noi a crederci, subito, per primi.
Lo so, non suona credibile.
“Eh, ma a me lo diceva la mia mamma…” (mic drop).

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