Facce da Milan: Giovanni Lodetti ovvero Ceramica

(di Andrea Saronni)

«Dietro Rocco c’era un tifoso aggrappato alla cancellata, con un vocione tremendo: “Cambia Lodetti! Cambia Lodetti! Cambia Lodetti con Trapattoni!” L’avrà gridato trenta volte. A un certo punto Lodetti fa gol. Il Paròn si alza, arriva alla cancellata e declama: “Adéso andè in mona ti, Lodèti, e anca Giovanìn Trapattoni”». (dr. Giovanni Battista “Ginko” Monti)

Quando il calcio non parlava la lingua del marketing con i trend del brand, il Milan si permetteva di essere grande in dialetto. Ragazzi tirati su negli oratori della periferia, della Bassa padana, visti dal mentore locale della pedata – ce n’era uno praticamente in ogni paese – e segnalato allo squadrone, che lo faceva provare dal gran maestro delle giovanili. Una filiera tutta autoctona, pubblico compreso: senza fare gli integralisti alla basca, una specie di Athletic Bilbao.

Al centro Schuster, già immerso nella campagna fuori Lambrate, andava in onda “Amici del Sciur Malatesta”, che altri non era che il succitato mastropallonaio del vivaio rossonero: i partecipanti, ragazzi che si capivano anche in milanese stretto. Trapattoni. Salvadore. Pelagalli. Trebbi. Noletti. E poi lui, el Giuànn Ludètt, Giovanni Lodetti da Caselle Lurani, campagna lodigiana, dieci case una chiesa tanta nebbia e un campo di pallone, stretto tra l’altro.
Quando lo prende il Milan, Giuanìn è esile come una promessa, con la faccia triangolare, mento esposto e puntuto. Gianni Brera, aedo del lombardismo, vede quel volto, quella sorta di veranda e lo battezza Basletta, termine milanese che indica una specie di tagliere usato nelle cascine per rovesciare la polenta o selezionare i chicchi di riso buoni da quelli cattivi, termine che viene usato nella vulgata (basletùn) anche per indicare le sporgenze della mandibola. Insomma, le radici più pure, autentiche che vengono fuori ancora oggi, quando il Giuànn parla del suo Milan e gli scappa qualche termine rigorosamente indigeno. Perché, deo gratias, al Basletta tutti quanti chiedono commenti, giudizi, pagelle, ricordi, aneddoti, battute anche e preferibilmente in dialetto: il tempo galantuomo, tramite la moltiplicazione dei media, ha infatti rimesso la maglia con le amate strisce sulle spalle di uno degli uomini più sinceramente attaccati a quel diavolo di colori, risarcendolo almeno in parte di una separazione traumatica. Il gioco dello scambio con il rombante Benetti (estate 1970) forse – forse – poteva anche valere la candela accesa da Nereo Rocco, lui nel fuoco d’artificio italoeuromondiale del Milan sessantottino e post-sessantottino aveva messo ben più degli inflazionati “settepolmoni” al servizio del genio di Gianni Rivera.

Anche ‘sta storia del gregarione, del “Tu corri che lui gioca”, insomma, andrebbe un po’ rivista, le gazzette vivevano di etichette allora come oggi. A distanza di oltre cinquant’anni, el Giuànn rosica ancora per un derby felix, 3-0 alla cosiddetta Grande Inter: lui doveva essere la vittima designata di sua maestà Luisito Suarez, poi finisce che lo annulla, segna le prime due reti – schiantando Burgnich e Picchi nella seconda – il Milan trionfa ed è solo in testa. Gazzetta del giorno dopo: “Ah Rivera, che classe, migliore in campo”.

Una fedeltà univoca, quella di Lodetti al Golden Boy, visto che a bocce e basletta ferma, tradotto dopo il ritiro, Giovanni si era proposto al povero Diavolo gestito nella sostanza dal suo ex capitano. «Vengo a farti le giovanili, ricreiamo quella scuola, quell’appartenenza». In questo senso, è stato invece l’ A.C. Milan 1986 a recuperare la bandiera, con il canale TV tematico, tenendolo come trait-d-union tra la società e gli ex di quella generazione del Paròn che proprio Lodetti, da vero leader del centrocampo, ha tenuto insieme nei decenni come una vera squadra (con pochissime eccezioni, il citatissimo Rivera e – duole dirlo – il Trap).

Del geometra Galliani piace parlar male, ma ecco, su questo punto bisogna lasciare stare: quando Lodetti ha bussato alla sua porta per un’iniziativa, una richiesta per conto terzi, biglietti per sanare tessere improvvisamente negate o una mano vera e propria per qualche vecchio cuore milanista, Galliani non si è fatto pregare.
Anche se quello che aveva davanti non era uno straniero da copertina ma Giovanni Lodetti, il gregario senza piedi, il maratoneta, il Baslettone, il Ceramica del Parco di Trenno dove andava a cercare partitelle anche da sessantenne. La sapete, no, la storia che lui si ferma a guardare, chiede se si può giocare, i giovani bulletti gli dicono « Va beh, vecchietto, ma non farti venire un infarto» e finisce che è lui che schianta i pischelli, che dalla domenica dopo iniziano a chiamarlo “Ceramica” per la scritta sulla tuta della ditta, mentre loro magari si sono comprati quelle con scritto “Ronaldo” o “Weah” – in fondo chi si sarebbe mai comprato la maglia con la scritta “Lodetti”? Non i loro padri, e forse nemmeno lui.

Il tempo è galantuomo, ripetiamo. Con i galantuomini, però. E siccome Lodetti Giovanni da Caselle Lurani è galantuomo, la sua classe, la sua competenza, la sua simpatia, soprattutto il suo grande cuore sono venuti fuori alla distanza, come lui in certe partite. Oltre che la faccia, c’ha il sangue rossonero, Giovanni, e buon sangue non mento. Oddio, pardon: non mente, scusa Giuànn.

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