Forever Jung – Archetipi Milanisti. Capitolo VI: L’Esploratore

(a cura di Antonio “il Vannucco” Rampini)

 
Continuiamo nell’esame degli Archetipi milanisti, ovvero i giocatori che nella loro storia rossonera hanno contribuito a creare e sviluppare la nostra coscienza milanista.
Un archetipo da non sottostimare è quello dell’Esploratore. Una figura connessa all’audacia del viaggio, della sperimentazione in un cammino non definito.
Chi, meglio di Ricardo Kakà, ha saputo partire per l’esplorazione delle metà campo avversarie?
 
Prima che Carlo Pellegatti per la sua eleganza lo soprannominasse “Smoking Bianco”, fu per qualche tempo “il Bambino d’oro” proprio come Rivera, primo Pallone d’Oro milanista. Kakà è – per ora – l’ultimo.
(e come era successo tanti anni prima con Rivera, tanti ragazzi, incluso mio figlio, hanno scoperto la loro coscienza milanista innamorandosi delle sue galoppate e dei suoi gol)
 
Eppure nel 2003 l’arrivo di Ricardo Izecson dos Santos Leite al Milan coglie di sorpresa tutto l’ambiente rossonero, anche la stessa area tecnica. “Io Kakà non l’avevo mai visto, neppure in cassetta”, disse anni dopo Ancelotti. “Così un giorno in conferenza stampa mi chiedono di lui e di come avrebbe potuto giocare. Mi sono arrangiato, affidandomi ai racconti che mi avevano fatto: è un buon centrocampista, anche trequartista, abbastanza lento, bella presenza. Insomma, assomiglia un po’ a Toninho Cerezo”. Non rassicurava i tifosi rossoneri il commento di Luciano Moggi, “con quel nome non potrebbe mai giocare nella Juventus” (affermazione che si rivelerà una delle più grandi topiche della storia). Il bello è che era un Campione del Mondo del 2002 (senza giocare), ma vent’anni fa, strano a dirsi, l’Italia non poteva vantare dieci, venti milioni di profondi conoscitori del calcio internazionale ed esperti di mercato. E le immagini non circolavano così facilmente. Così, Ancelotti vedendolo si chiede: “Abbiamo preso un calciatore o uno studente universitario?”. Un bravo ragazzo con occhiali, maglioncino, pettinatura non da fiero tamarro: un nerd sfigatello insomma. Non è di Rio, è di San Paolo, e questo contribuisce a renderlo diverso dal tipico brasiliano che porta anche in campo samba e carnevale. Berlusconi dirà di lui qualche anno dopo che era “il figlio che tutte le madri vorrebbero e il marito che tutte le mogli vorrebbero avere”.
Ma al primo allenamento, mentre la squadra si sta ancora chiedendo chi sia quel ragazzino, si arriva alla partitella: Rino Gattuso gli assesta una spallata delle sue, quelle da competizione, e nulla – Riki non solo resta in piedi ma (ricorda Ringhio) “Mi salta come niente, arriva davanti a Nesta, si sposta la palla e spara un missile all’incrocio dei pali”. Ancelotti: “Mi bastò un allenamento. Chiamai Galliani e gli dissi: ma quale Cerezo, avete preso un fuoriclasse”. Attenzione: quello è un Milan che non si fa impressionare facilmente dal primo che passa: è una squadra che gioca tre finali di Champions League in cinque anni. Due di queste, con lui.
 
(mi ricordo perfettamente la sua prima partita in rossonero, ad Ancona. In un bar di Pavia con amici, stiamo cercando di valutarlo. A un certo punto, il ragazzino davanti alla nostra difesa stoppa di coscia uno spiovente e, pressato da un paio di avversari, allunga deciso e veloce e passa in mezzo ai due, poi – junghianamente – parte per esplorare il campo avversario: allunga ancora per servire sulla corsa una palla d’oro a Cafu, che dà a Sheva, che segna)
 
Questo suo strappo di pura potenza in progressione per il quinquennio successivo diventa il biglietto da visita del Milan in giro per il mondo. Kakà lo esibirà ovunque, d’altronde l’Esploratore junghiano intraprende il suo cammino negli spazi (non solo metaforici) senza avere in mente una direzione precisa, o un campo specifico. Lui quegli stadi che il Milan visiterà li arerà tutti, e senza distinzione: l’Esploratore usa la partita per appagare la nostra vita di milanisti, visto che ce ne migliorava l’autenticità e l’emozione. In alcune partite il suo desiderio di libertà, di avventura esonda più di altre volte. Inizia anche a segnare con una certa regolarità. Il suo primo gol lo realizza proprio in un derby di ottobre, di testa su cross al bacio di Rino Gattuso (!), per poi proseguire, assist, galoppate e gol in tutta l’annata.Rui Costa (non uno qualsiasi) capisce che il ragazzino appena arrivato gli toglierà il posto: telefona a Galliani e fa una cosa unica al mondo. Gli dice: “Io devo andar via, mi dispiace. Kakà è troppo più forte di me”. Anche in Coppa, Kakà comincia a farsi notare: l’Esploratore non tollera il conformismo, non si rinchiude in una sola specialità e quindi decide di far viaggiare il pallone: col Bruges calcia al volo d’interno un passaggio alto (per nulla semplice) di Cafù. Con l’Empoli la risolve con un tiro da fuori, saranno almeno trentacinque metri. I compagni cercano di preservarlo perché adempia alla sua missione. Ricorda Zeljko Kalac, ex portiere del Milan: “Durante l’allenamento non lo si poteva colpire; dovevamo tenerlo in forma perché poteva vincere delle partite da solo per noi.” Potenza Archetipale.
 
(Ero a San Siro per l’altro derby: siamo sotto 0-2 grazie a due assoluti gollonzi, un angolo svirgolato che entra in porta, una nostra deviazione fortuita in area su loro tiro da fuori, insomma si pensa che la partita sia finita. Anche al secondo anello rosso siamo rassegnati, ma comunque contenti: il Milan sta giocando bene. La storia cambia quando nel secondo tempo, segna Tomasson che prelude al pareggio di Kakà: il tipico gol dell’Esploratore, che parte superando i suoi limiti e cerca zolle di campo inesplorate, o meglio non presidiate da avversari: il suo tiro da fuori rompe il recinto in cui junghianamente la squadra dai colori tristi lo voleva imbragare, ci riporta in partita e consente a Seedorf con un gol capolavoro di coronare il sorpasso)
 
Al primo anno con noi, è subito scudetto. Sarà l’unico vinto da Kakà, che invece inanella una serie di prestazioni top in Coppa. Anche se quell’anno in Champions usciamo contro il Deportivo, in una partita che per molti resta ancora un mistero: una squadra grigia e stanca dominata a San Siro che magicamente, direbbe forse Jung, acquista in casa corsa e forze, un po’ come se Asterix avesse bevuto la sua magica pozione, per farvi capire meglio.
L’anno successivo, nel 2005, il Milan arriva in Finale a Istanbul, con i favori del pronostico. Uno dei Milan più belli, forti e completi che ricordi, che domina il girone e asfalta senza problemi gli avversari, Manchester, l’Inter nel secondo derby di Coppa, quello che gli amici della curva Nord interrompono lanciando petardi in campo – una delle vergogne più grandi nello sport internazionale. La successiva semifinale la risolviamo a nostro favore contro il PSV grazie a Kakà, che nel recupero trova la testa di Massimo Ambrosini per il gol in trasferta che ci qualifica per la finale. Già, la finale. Istanbul.
 
(guardando la partita in tv, alla fine del primo tempo avevo pronosticato per Ricardo il Pallone d’Oro. I suoi due passaggi filtranti per Crespo, alla Rivera, o forse alla Maradona, erano stati visionari, irreali, ci troviamo grazie a lui sul 3-0 sul Liverpool e tutto sembra andare per il meglio. E invece no).
Ma l’epopea dell’Esploratore non finisce: l’Archetipo non ha paura, vuole scoprire nuove strade per vincere e segnare, mentre fuori dal prato perdere l’audacia e lo slancio e vive una vita timorata, “I belong to Jesus” recitano le sue magliette. Nelle interviste dice: “Non mi interessa essere un sex symbol, non cerco nulla di ciò. Mi interessano i valori familiari, sono quelli che voglio comunicare”.
 
L’estate del 2006 vede scoppiare lo scandalo di Calciopoli. Il Milan, che aveva tutt’al più commesso le stesse azioni ineleganti quanto inopportune dei futuri cartonati, viene invece penalizzato pesantemente in classifica, perdendo così il diritto alla qualifica diretta in Coppa Campioni. Retrocessi al quarto posto, con l’Uefa che ci umilia con le sue reprimende (santi uomini, loro) dovremo iniziare il cammino europeo dai preliminari. Non è il Milan scintillante del 2005: Sheva è stato ceduto, Ronaldo il Fenomeno (che arriva a gennaio) potrà giocare solo in campionato. Il Milan fatica ma vince il proprio girone: è una Champions League più difficile, che lui dovrà esplorare e fare sua. A inizio 2007 quando si gioca contro il Celtic, risolve la partita con una corsa in contropiede nei supplementari. Ai quarti contro il Bayern Monaco contribuisce in un modo ancora diverso, con un rigore nel 2-2 dell’andata (vinceremo poi 2-0 in Germania). È in semifinale contro il Manchester United che la leggenda del nostro santo corridore rifulge appieno. Lanciato da Dida, resiste a una prima carica sulla riga di centrocampo, mette il turbo e arriva nei pressi dell’area dove, convergendo, porta i due centrali dello United a scontrarsi, mentre di testa sposta la palla e la fa passare in mezzo a loro in modo da presentarsi davanti a Van der Saar. È la voglia di libertà (dai vincoli dei difensori avversari) dell’Esploratore. Gol bellissimo, sì, ma il Milan perde 3-2. Già che c’è esplora nuovi sentimenti: dopo un contrasto vigoroso strattona e prende per il collo Ryan Giggs. Poi si scuserà nello spogliatoio: aveva perso la rotta, finendo a rotta… di collo contro il gallese.
Serve una grande partita di ritorno e la si gioca sotto un’acqua scrosciante, Kakà inizia a risolverla con uno strepitoso gol da fuori area, lanciando il Milan che alla fine si impone 3-0: la cosiddetta “partita perfetta”.
Con quel gol, il decimo della competizione, vincerà anche la classifica dei cannonieri di CL nel 2007, staccando nettamente attaccanti prolifici come Van Nistelrooy, Drogba e… Pippo Inzaghi. Kakà non è un giocatore che va in campo per segnare. Però si addentra nella giungla della partita, e lo trova. Con lui assistiamo all’evoluzione del ruolo del trequartista: veloce (aveva i tempi del quattrocentista, una progressione palla al piede disarmante), goleador e nel contempo regista dai piedi raffinati (tra gli assist indimenticabili, quello per il primo gol di Ronaldinho al Milan, cross perfetto per il colpo di testa in rete. Quella dell’Inter. Hehe). Non è un giocatore che si può ingabbiare in una definizione, in un ruolo: i suoi gol non hanno un marchio preciso.
Nella finale di Atene ritroviamo il Liverpool e la partita è decisa da due gol del rapace Inzaghi ma Kakà è determinante, il secondo gol nasce da un suo strepitoso assist per Pippo, che ci consente di vincere la settima Coppa della nostra Storia. Kakà vince il Pallone d’Oro 2007 e il FIFA World Player. Pochi giorni dopo il Milan vince anche la prima Coppa del Mondo FIFA per Club, e Kakà anche contro il Boca Juniors segna e dispensa assist.
 
Ma Kakà è evidentemente destinato ad andare in avanscoperta anche in situazioni che all’epoca non abbiamo mai esplorato, ma presto conosceremo in tutto il loro increscioso rivelarsi. Nel gennaio 2009 Berlusconi vorrebbe cederlo al Manchester City. Kakà non vuole spostarsi ma nell’estate del 2009 accetta il trasferimento all’altro Club più importante al mondo, insieme al Milan: il Real Madrid. Sarà il primo passo lungo un sentiero di declino per la presidenza Berlusconi, che inizierà a vendere i pezzi pregiati invece di comprarli. Ma anche per Kakà, che a Madrid è fermato da tante cose: infortuni, sfortuna, e un allenatore che non ama esplorare, preferisce parcheggiare gli autobus davanti alla propria porta.
Ma Ricardo Izecson Leite sarà precursore anche dei grandi ritorni, per quanto il suo del 2013 non sarà come quello di Ibrahimovic del 2019: tormentato dai problemi fisici, raramente mostrerà l’antica magia della sua corsa audace verso la porta avversaria. E nonostante questo, riuscirà a segnare ancora, raggiungendo e superando i 100 gol con la maglia rossonera.
 
A 31 anni la sua avventura con noi si conclude definitivamente. Secondo Carlo Ancelotti è stato “Uno dei giocatori più forti che abbia mai allenato, di sicuro il più intelligente. Uno che capisce al volo, che pensa al doppio della velocità degli altri, che riceve il pallone e sa già come andrà a finire l’azione”.
Il sogno di rivedere un giocatore che veleggia verso la porta avversaria per rivelarla a coloro che lo seguono è rimasto molto forte nei tifosi milanisti, ma malinconicamente inespresso. Il paragone con lui, azzardato molto raramente, sembra aver portato sfortuna: prima è stato usato per presentare Paquetà, poi per descrivere De Ketelaere. Ma questo fa capire come il popolo rossonero sogni di rivedere un giocatore come lui, un audace viaggiatore che ci accompagni a vincere in giro per l’Europa e per il Mondo.

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