(a cura di Antonio “Vannucco” Rampini)
Tra tutti gli archetipi, importante e particolare è la figura del Giullare (sarebbe il Folle dei tarocchi), che rappresenta non tanto la pazzia quanto l’energia irriverente, dissacrante, emanata con leggerezza a favore di tutta una squadra, per esempio.
O una tifoseria.
Crediamo che non ci sia nessuno, in ambito milanista, che possa incarnare meglio il Giullare junghiano di Zlatan Ibrahimovic.
Il Giullare / il Folle simboleggia non solo l’energia ma anche la gioia del vivere, il godimento, l’arroganza dissacrante… Per questo Ibra: parliamo di un giocatore che anche vestendo camisete stinte o dai colori culturalmente poco attraenti ci ha fatto impazzire da avversario, e poi ha semplicemente continuato a farci impazzire fin dal primo momento in rossonero, una destinazione che per quanto girovago, Ibra ha sempre sentito come casa propria.
Ne ricordiamo bene la carica elettrizzante alla presentazione a San Siro, agosto 2010, il suo urlo appena arrivato da brividi, “Ricordate, sono venuto per vincere. Quest’anno vinciamo tutto!”, i brividi vengono ancora a ripensarci. Il Folle ci dà la carica, ci comunica voglia e energia per rilanciarci, per rialzarci dopo anni di insuccessi.
Il Milan veniva dalla fine del ciclo di Ancelotti e da un anno di 4-2-fantasia, con Leonardo allenatore, Paolo Maldini che aveva chiuso con il calcio e Kakà passato al Real Madrid. Non una situazione semplice, per chi respira in rossonero, pur in una squadra con Ronaldinho, Pato, Nesta, Seedorf e Pirlo.
L’arrivo di Ibra (il 28 agosto, in piena “zona condor”) cambia il mondo rossonero: dopo una partenza difficile (debutta sbagliando un rigore a Cesena, e infuriato spacca il tavolo dell’antidoping, rivelando alti valori di Follia Sportiva) la squadra si compatta e inizia a macinare. L’archetipo si manifesta nell’inconscio collettivo attraverso risposte ancestrali: l’uomo possiede il desiderio di affermare la propria individualità. Zlatan, uomo e archetipo, diventa unico riaffermando la continuità (di assist, gol, prestazioni) dei migliori giocatori della storia del Milan. L’istinto primordiale del gol è ben radicato nella sua psiche e solletica la nostra coscienza.
È ancora giovane, in forze, dominante in area (quando si tratta di segnare) ma anche negli assist ai compagni. Il Milan concluderà la stagione con il migliore attacco. “Ibra è uno dei pochi calciatori, forse l’unico, a godere allo stesso modo per un assist e per un gol”, ha detto di lui Ancelotti (“Credi in Gesù Cristo?”, gli chiede, “Sì”, gli risponde Carletto, “allora credi in me, e rilassati”, sentenzia il Giullare). Anche grazie a Ibra, Nocerino nel 2012 gioca la miglior stagione della vita, segnando come o più di un goleador (undici reti). Ibra ne segnerà 33, considerando tutte le competizioni.
Della sua prima esperienza ricordiamo il rigore segnato nel derby sotto la Nord, le braccia allargate a festeggiare beffardo (non solo junghianamente) e anche gli sforzi delle istituzioni per un calcio senza parolacce e insulti: per un “vaffa” intercettato da un guardalinee viene squalificato per tre turni e deve saltare il derby di ritorno.
Il Giullare è sempre volutamente sopra le righe: i suoi compagni difficilmente capivano dove finisse il superomismo, e dove iniziassero ironia e sarcasmo, ma lo adorano da subito. D’altronde Jung conferma che il Giullare / Folle è il primo a non prendersi sul serio, a restare fanciullo anche nel modo in cui aiuta i compagni a interpretare la realtà da diverse angolazioni (“Gattuso mi chiamava brutto slavo, io lo ribaltavo e gli infilavo la testa nel bidone della spazzatura”). Anche così si fa gruppo, lo sappiamo: la Follia è l’altra faccia della genialità, che per esprimersi (in campo) deve essere libera da costrizioni.
Il pensiero del Giullare, del Folle, è un pensiero immaginale: attraverso un processo di sottrazione (ma non di punti in classifica, ehm) riesce ad asportare gli elementi non essenziali alla sua emozione, per giungere a un tipo linguaggio non verbale – e qui ci siamo, in effetti Ibra ha espresso il suo meglio sul rettangolo di gioco. Ibra alza il livello di questa comunicazione non verbale, propria e dei compagni, anche in allenamento – e apriti cielo se pensa che un compagno non lo rispetti: il fisico possente e l’essere cintura nera di Taekwondo gli consentivano in campo acrobazie impossibili per tutti gli altri, anche quando si trattava di “risolvere incomprensioni”…
Leggendario lo scontro con l’altro gigante Onjewu, stopper americano che non lasciò invero un gran ricordo in rossonero, con i due che passano dai contrasti duri della partitella alla rissa vera e propria, volano calci e pugni e Ibra nello scontro si rompe addirittura una costola mentre ci vuole tutta una squadra (dieci persone per il Corriere, quindici secondo Repubblica!) per separarli. Il Giullare ha reagito (in senso forse non junghiano) di fronte alla prepotenza. Anche le risse, disse all’epoca Galliani, dimostravano come fosse alta l’intensità e che la carica “fosse quella giusta”. Anche se il referto medico parla di frattura, Ibra due giorni dopo è già in campo. Una settimana dopo avrebbe giocato anche il derby sopra ricordato (segnando).
Ibra insomma è una pila che emana energia. E se c’è chi ha descritto l’archetipo del Giullare mettendone in evidenza i tratti stravaganti di chi vuole continuamente sperimentare, noi preferiamo vederne, come in Zlatan, la voglia di scardinare il senso convenzionale dello stare in campo: lui non segna in modo ripetitivo (pur segnando a ripetizione) ma cerca modi sempre differenti di segnare.
Dopo lo scudetto la stagione successiva si inaugura con la vittoria nella Supercoppa contro l’Inter; finiremo secondi (ma è il campionato della muntarata, ce lo ricordiamo) ma lui dovrà imbarcarsi per Parigi, anche se, è noto, avrebbe voluto rimanere.
Milano era diventata la sua casa.
Ed è il ritorno a casa a far entrare Ibra per sempre nella leggenda rossonera, nel nostro Pantheon.
Perché Ibra, lo sappiamo bene, è stato l’unico giocatore ad avere risollevato il Milan in DUE periodi storici, molto diversi tra loro, e non solo con la sua mentalità vincente e il suo carisma. Anche sulla soglia dei quarant’anni resta dominante fisicamente, certo meno mobile ma comunque un incubo per gli avversari. Poi il fatto di arrivare dal calcio statunitense (considerato minore) rappresenta una ulteriore sfida anche a sè stesso, vuole dimostrare di poter essere ancora il numero uno.
A Milano nell’inverno 2019 Zlatan trova un Milan diverso, senza un Sovrano come Berlusconi che il Giullare possa junghianamente punzecchiare trova invece una società fiaccata dagli anni di proprietà cinese e finita al fondo Elliot. Su cui l’Ibra – Giullare non si fa sfuggire la possibilità di scherzare: “al Milan sono presidente, allenatore e giocatore. Ma mi pagano solo per fare il calciatore. Quello è il lato negativo”.
Trova anche un gruppo di ragazzi in difficoltà e che hanno bisogno di una Guida per invertire la tendenza negativa: si potrebbe dire che al Milan serva un Folle che (junghianamente) torni a far splendere il sole su squadra, tifosi e campionato. Dispensando non solo gol e prestazioni, ma anche consigli.
È attraverso il contributo e l’esempio del Folle, del Giullare, che l’individualità si fa squadra, imparando a conoscere se stessi e le proprie potenzialità, sperimentando la prestazione e la voglia di divertirsi nel farlo. Ibra porta creatività e il giusto pizzico di Follia ai compagni, facendo in modo che si autorizzino a osare, a crescere e a credere (nello scudetto). Anche a mettere paura agli avversari. “Pierre Kalulu era all’esordio e faceva freddo”, ricorda Ibra, “ma gli ho detto di togliersi subito i guanti. Uno che debutta così giovane deve mettere paura agli avversari: la prima immagine è quella che conta”. Con lui i nostri ragazzi in due anni migliorano clamorosamente. Ibra interpreta più ruoli, compagno, leader, fratello maggiore: è il simbolo del Milan che vuole tornare a primeggiare, a dare di nuovo forma al proprio inconscio vincente.
Non cambia il suo atteggiamento leggero, spensierato: è lui a fare da parafulmine in campo, consentendo ai ragazzini di maturare. Ed è sempre lui a fare gruppo durante gli allenamenti: ricorda Jens Petter Hauge di essere un giorno “entrato nello spogliatoio del Milan con addosso un cappellino e Ibrahimovic mi ha chiesto se ero un fattorino della pizza o un calciatore”. Per poi subito aggiungere (forse anche per evitare ritorsioni…) “amo le persone che scherzano e Ibrahimovic mi ha aiutato molto”.
Zlatan, lo accennavamo sopra, è sempre stato irriverente e mai banale anche nel suo rapporto con gli arbitri. Viene espulso ad esempio da Maresca, contro il Parma, per avere insistito (NB: i giocatori in campo diranno di non avere sentito insulti) nel volergli spiegare la sua versione di un fallo, tra l’altro subìto dal Milan. Maresca lo ignora, non lo considera, Ibra lo incalza, “allora non ti interessa quello che ho da dire”: cartellino rosso. Ne abbiamo visti molti, spesso con lui il cartellino è esagerato, slegato dal contesto regolamentare.
Ibra però è così, prendere o lasciare, con gli arbitri si permette di dare voce a verità scomode, come i Giullari coi Re.
Ricorda Koulibaly, quando giocava a Napoli, di un Ibra che in campo “chiamava l’arbitro senza che lui rispondesse. Così lui andava dall’arbitro e continuava: ‘Non fare come se non mi avessi sentito. Ti sto chiamando. Quando Zlatan ti chiama devi rispondere”. Il Giullare junghiano travalica le barriere, è dissacrante verso le normali modalità di comportamento, resta irrituale e irriverente, un Giullare d’altronde può esprimere verità che altri non si permettono, e nel caso di Zlatan non c’è maleducazione verso l’autorità – lui semplicemente la supera con il carisma. Oltre a superare Koulibaly con il gol pazzesco al Napoli, 2021, cross di Theo e testata imperiosa addirittura da fuori area ad anticipare il difensore.
Dopo sei mesi di rodaggio col suo arrivo in pieno inverno e in pieno Covid, Zlatan porta il Milan al secondo posto in campionato, vinto dai nostri avversari storici, la squadra di Milano dall’antiestetico accoppiamento di colori. La sua voglia di primeggiare sempre si sublima nella rissa sfiorata in Coppa Italia con il gioiello interista dell’epoca, Lukaku, subito difeso a spada tratta dal mondo istituzionale e dei media (giornali e TV). Ibra lo provoca, forse troppo, in questo caso: sembra che lo voglia smascherare. Lui viene espulso, mentre la brutta reazione di Lukaku non è considerata affatto.
Il capolavoro lo compie l’anno successivo, quello dello scudetto, che vede Ibrahimovic tormentato dagli infortuni ma deciso a non mollare. D’altronde parliamo di qualcuno che si è definito un “Benjamin Button, sono sempre stato giovane. Mi dicono che sono vecchio e mi stanco, ma mi sto solo riscaldando e ho ancora la forza per fare gol”. Saranno alla fine 8 i gol, e 3 gli assist che Ibra porterà a contributo del 19° Scudetto. Uno di questi assist è cruciale nella fase finale del campionato, quando il Milan deve continuare a vincere, e Zlatan è sempre più raramente in campo ma è ancora fondamentale, e non solo per stimolare dall’esterno i compagni: con la Lazio, a tempo quasi scaduto, gira il pallone per il fondamentale gol di Sandro Tonali. Solamente alla fine, da trionfatore, dopo un gol annullato contro il Sassuolo per un’unghia di fuorigioco, ammetterà di avere passato gli ultimi mesi con un legamento del ginocchio spezzato. Sempre giocandoci sopra: Folle che si prende gioco anche del dolore, pur di sprigionare la sua energia per la squadra.
(di lui ho nel cuore, e so di non essere il solo, il video mentre celebra la vittoria e lo Scudetto a Reggio Emilia, arringando i compagni e la dirigenza. Godetevi la vittoria, dice a tutto lo spogliatoio,“festeggiate come Campioni, perché Milano non è Milan, Italia è Milan!”. Per poi ribaltare il tavolo su cui si appoggia, gesto simbolico per un Milan che ha ribaltato quello che tutti pronosticavano)
Irriverente, geniale, unico, rossonero nell’anima.