Ma ve lo ricordate quel soggetto di Kevin Prince che si mette a fare il moonwalk in mezzo al campo alla fine di Milan-Cagliari di mille anni fa? Eravamo freschi freschi di scudo, felici e spensierati come solo sa esserlo chi ha il cuore leggero e pieno di speranze. Tutte, tocca dirlo, triturate a breve a colpi di parametri zero, siamo a posto così e cinesate varie. Beh, se Boateng si era scatenato in guantini e mocassini sulle note di ‘Billy Jean’ (che imbarazzo. Però intanto giocava al dottore con la Satta, chiamalo scemo), sabato sera non ci sarebbe potuta essere miglior colonna sonora di ‘Thriller’, sempre di quel birichino di Michele Jackson. L’aria era quella da ‘basta cazzate qua si fa sul serio’. Del resto siamo sopravvissuti per miracolo ancora quarti ad un mese orrendo, in cui abbiamo raccolto un punto su 12, un incubo che si è chiuso con il furto di quei maiali schifosi immondi dei gobbi. Brutta sconfitta, ma che ha avuto il merito-se non altro- di compattare tutti, squadra e tifosi, in una sorta di Fort Alamo casciavit.
San Siro infatti risponde alla grande, è pieno come un uovo, sessantamila abbondanti e rumorosi che pronti e via vengono gelati quando Peppino Reina (posso dirlo? Una delle poche cose per cui siamo da grande squadra. Una riserva di lusso, che il resto della panchina la guardi e ti metti le mani sugli occhi) dopo tre minuti appena con un colpo di reni devia un colpo da biliardo di Immobile, evitando di mettere subito la partita sui binari già visti dello psicodramma.
Da lì sbandiamo ancora un po’, poi pan piano di riprendiamo in mano il match. Dai e che ti dai, con la solita millenaria fatica qualcosa creiamo, tanta dedizione tanto impegno, nulla di clamoroso, ma prendiamo in mano la partita, mentre la Lazie praticamente sparisce dal campo per tutto il secondo tempo. Manca sempre meno ad un pareggino sostanzialmente inutile e fissiamo l’orologio con aria insofferente. Ci vorrebbe un rigorino, ci diciamo dandoci di gomito mentre facciamo la spola al bar di sopra a prendere le birrette. Non passa un minuto che tac! Cross, Acerbi (proprio lui) la intercetta e l’arbitro indica sicuro il dischetto. Gabba Gabba Hey!
Lo stadio all’unisono esplode di giubilo. Proteste vivissime, scazzi in area, momenti concitati, interviene la VAR, niente rigore, solo angolo. Non facciamo in tempo nemmeno ad indignarci per l’ennesimo sopruso del potere oppressivo reaganiano (anche e soprattutto perché un po’ tutti sospettavamo l’evidenza dei fatti, cioè che palesemente NON fosse rigore) che passa un minuto. Palla in mezzo, uno dei loro abbatte senza senso un Musacchio che passava da quelle parti. Ancora rigore! Lo stadio riesplode again. Di nuovo proteste, un po’ meno vivissime, perché appare davvero solare. Provate a levarcelo e vi scendiamo in pizza come nel 1956 in Ungheria contro i carri armati. E invece niente Var. Stavolta si batte. E qui amici, devo ammettere la vergogna.
Prima però, flashback. Milan-Gobbi. Gonzalo va tremando sul dischetto. Penso: adesso il cicciobombo cannoniere la sbanana, matematico. E infatti, lo sbaglia. Quando poi è toccato a Kessiè con il Pavma (del resto si fa presto a ricordarsi i rigori che ci hanno dato) ho fatto quello che non ho mai osato per i precedenti 33 anni di abbonamento: non ho guardato.
E quindi io, un Leone di Manchester, l’uomo che con sguardo fiero ha assistito alla passeggiata pallone in mano di Sheva verso il dischetto quella sera tiepida del 28 Maggio 2003, sabato si è seduto mentre attorno tutti erano in piedi per il Rigore che Potrebbe (o anche no, ma questo è un altro discorso) Decidere il nostro campionato. Beh posso dire? E’ un po’ strano. Senti il brusio, un silenzio lunghissimo e poi il delirio (se va bene). Una specie di onda d’urto sonora (e anche fisica) che ti travolge. 1-0 l’abbiamo sbloccata. Al posto del prevedibile assedio della Lazie arriva una sequela di contropiedi che sprechiamo con la consueta dabbenaggine. Potremmo tranquillamente metterci in tasca il 2-0 e invece ci toccano sei infiniti minuti di recupero con tanto di presunto rigore per loro. Giuro, da dove ero io, avrò poteri paranormali, ho visto Riccardone Rodriguez che la toccava pulita, tanto che nulla ho temuto. Leggerò dopo di laziali visionari che hanno scorto invece interventi di karatè ai limiti delle lesioni personali. Fischia, finisce. Dovrei dire tutti a casa alè. E invece no, parapiglia. Scatta il gioco della bottiglia? Macché. In mezzo si fanno brutto a vicenda, i primi a partire sono quei Santi della Lazie. Di seguito la sceneggiata sotto la Curva di Frank e Baka con la maglia di Acerbi, che alla fine- lasciatemelo dire- per me è pure un bravo Cristo.
Diciamocelo, sarebbe stato molto ma molto meglio evitare per mille e mille motivi che non sto qua ad elencare. Sta di fatto che inspiegabilmente e senza alcuna correlazione, oltre che irrispettosi, antisportivi e scorretti per qualcuno passiamo pure per ladri. Incredibile. Beh sapete, io sono romantico e pure nostalgico. E in questi casi mi vengono in mentre tre capisaldi della fede. Il bandierone con la Rosa dei venti, la pezza per Joe Jordan ‘Shark, Kick Again for us’. E poi quello striscione.
‘Il cuore rossonero batte ancora, la nostra lotta è cominciata ora’.
Sotto a chi tocca!