(di Max Bondino)
Affacciati alla terrazza della nostra vita milanista, guardiamo l’esistenza passare. Ma mica solo quella. Da alcuni mesi, immancabilmente, nella polverosa piazzetta dei social, passa sotto qualcuno che, con sguardo colmo di sdegno, ci osserva ed esclama: “ricordati che devi morire!” e noi, come novelli Troisi, prendiamo appunti. Io stesso, che non ne ho mai presi in vita mia, ho raccolto un faldone che nemmeno sommando tutti i processi a carico della Juve.
And you shouldn’t even care, about the losers in the air
and their crooked stares
(Don’t hold back)
‘Cause there’s a party over here, so you might as well be here
where the people care
(Don’t Hold Back)
World…the time has come to…
Il suggerimento dei Chemical Brothers è iniziare a lasciar perdere gli sguardi di quegli sfigati perché sembra ci sia una festa (probabilmente un po’ illegale) e conviene esserci, qui, assieme a quelli che ci tengono davvero, all’AC Milan. Già, i Chemicals…Forse ricorderete, miei cari 25 manzoniani lettori, che in occasione dell’ultimo BPM avrei voluto sfruttare l’onda del loro nuovo singolo per raccontare gesta mai avvenute a Udine ma la musica (che ha sempre ragione) aveva solo preso tempo, lei sapeva che era meglio conservarla quella playlist ed oggi, sì…”My finger is on the button!”
E con quello stesso dito, faccio zapping alle 20:40, salutando vecchio cuore Jannik Sinner, arreso con onore ai 35 gradi di Miami e al servizio assassino di Medvedev, per un clima più mite a Napoli dove il Diavolo, per sua natura, stava per settare il termostato su: Inferno.
Un po’ come il napalm di prima mattina, in Vietnam, gasava il colonnello Bill Kilgore, anche l’odore di zolfo all’inizio di un match del Milan, non è affatto male. Il colpo di tacco aereo di Leao che lancia Theo sulla fascia dopo un paio di minuti sembra azzerare “le ansie” che milanisti più o meno famosi avevano amato alimentare nel trend dell’autolesionismo, quella pratica per cui critica feroce a priori e pessimismo sembra debbano far apparire le persone più intelligenti e sofisticate. È quasi sempre il contrario.
“I needed to believe in something
I need you to believe in something”
Che sia io a crederci, poco conta ma se decidono di farlo, in blocco, questi ragazzi che vestono i colori delle fiamme nella notte, ecco, loro sono capaci di ogni cosa. Il primo quarto d’ora del Napoli si riassume in un tiro altissimo di Simeone mentre il Milan si prende il centrocampo e ne fa ciò che vuole. Bennacer, Tonali e Krunic fanno a gara nello strapparmi urletti goduriosi sul divano fino a quando Brahim Diaz, al 17esimo fa una giocata immaginifica, ai limiti dell’occulto, lasciando sul posto Lobotka e Mario Rui, volando via sulla destra per servire una palla perfetta a Leao che con lo scavetto, in corsa, supera Meret. Ma tu pensa, l’AC Milan in vantaggio.
“Some day love’s gonna hurt me
Turn back and soon I’ll believe it
(I’m wide open)”
Come nella più raffinata e romantica delle canzoni dei Chemical Brothers, non abbiamo paura di renderci vulnerabili restando col cuore spalancato all’amore per questa squadra. A volte ferisce, è vero, ma appena torna da noi, quanta bellezza.
Una manciata di minuti dopo è ancora Rafa a spaccare il Napoli in due, questa volta accentrandosi in slalom, per poi servire Bennacer sulla fascia che è solito abitare lui, il cross in area raggiunge Brahim che stoppa, finta il tiro di destro, mette a sedere Mario Rui e di sinistro la scaraventa in porta. Ma tu pensa, l’AC Milan ne ha fatto un altro.
Il Napoli arriva all’intervallo chiaramente frastornato, producendo un bel tiro di Zielinski da fuori che Mike alza comodamente in angolo in pieno recupero. Hanno facce tiratissime, non ce l’aspettavamo noi, figuriamoci loro.
Nella ripresa, dopo 5 minuti, è chiaro che subito dopo le leggi sulle pari opportunità ce ne serva una veloce per obbligare gli allenatori a far giocare Leao largo a sinistra perché non appena rimesso al suo posto è tornato ad esser un bug di sistema irreversibile per chi lo affronta. Sessanta metri in volo per poi servire Bennacer che dal limite, imbuca per Giroud che, in diagonale sfiora il terzo di due centimetri e mezzo.
È qui che il Napoli ritrova giustamente l’orgoglio e per una manciata di minuti alza la pressione, cercando di recuperare ma ancora con tiri altissimi di Simeone e Lobotka, una palla in mezzo di Kim fino a una delle pochissime belle giocate di Kvaratskhelia che libera Mario Rui al tiro ma Maignan fa il suo mestiere.
Minuto 59. Sandro Tonali posseduto contemporaneamente dagli spiriti guida di Rijkaard, Albertini e Ancelotti, recupera un pallone gargantuesco a centrocampo e lancia Rafa, lì su quella fascia che gli appartiene per decreto legge, entra in area fintando con la leggerezza dei poeti per poi insaccare con la violenza della natura. Ma pensa, ora sono tre e forse c’è da rifletterci su ancora un po’.
“If you ever change your mind about leaving it all behind
Remember, remember, no geography”
A questo punto dovremmo esser pronti a lasciarci tutto alle spalle, consapevoli che quando vuole, questa squadra dai mille difetti, ha pochi limiti e non solo geografici. Sette minuti dopo, Saelemaekers, che con Kvaratskhelia ha sempre condiviso solo i corsi di logopedia a cui ci hanno fatto iscrivere, si inventa una di quelle giocate che han fatto innamorare tutti del Georgiano. Riceve palla da Calabria a 30 metri dalla porta, si butta in mezzo alla difesa del Napoli schierata, si accendono le strobo, la discoball gira e lui ci balla in mezzo, everybody shufflin’ e tunnel a Meret.
Oh, ma pensate, l’AC Milan ne ha messi quattro.
Mancano più di 25 minuti e il big match è finito. Al punto da far entrare persino Bakayoko, un po’ come quei ciclisti che forti del vantaggio accumulato, mollano il manubrio negli ultimi 200 metri per salutare i fan e metter a fuoco le ragazze all’arrivo.
E ora? Credo che domenica sera siano successe due cose, fondamentalmente. Il Milan ha ricordato a tutti che i Campioni d’Italia in carica siamo ancora noi e che loro lo saranno, meritatamente, l’anno prossimo ma soprattutto, convinto (forse) molti dei propri tifosi che tifare è sinonimo di sostenere e che tutte le partite hanno una storia da raccontare, anche quelle due di Champions per le quali ci si è stracciati le vesti dopo i sorteggi.
“Let’s turn this thing electric
Do it again”
Ecco, adesso teniamo accese le strobo, rifacciamolo.