BPM (Beats Per Matches): Spezia-Milan ovvero Keep on movin’

(di Max Bondino)

BPM. Il numero di volte in cui un cuore batte all’interno di un minuto, se lo chiedete a un medico. Il numero di volte in cui un colpo di cassa rincorre il seguente, nello stesso arco di tempo, se parlate a un dj. Questa rubrica, che (non a caso) condivide il medesimo acronimo con cui si misurano vita e gioia di vivere ha cercato di metterli sempre a tempo fra loro, in un beatmatching emozionale, sfruttando un’unità di misura molto più ampia di quei 60 secondi. Sette mesi (di match) in cui abbiamo creduto in tutto (ho le prove). Sette mesi nei quali, ogni tre giorni, ci siamo raccontati nuove verità assolute fra certezze euforiche e sincere delusioni.

“What’s the meaning
What’s the meaning of life?”

Un coro di bambini intonava questa domanda abbastanza impegnativa in “Get a Life” dei Soul II Soul. Ecco, tralasciando i massimi sistemi, dopo il disarmante Spezia – Milan potremmo declinarla nelle nostre vite rossonere e magari rifletterci su, assieme. Cercando di superare quella cantilena che conoscete bene: la rosa corta, molta gente inadeguata, gli approcci sbagliati, seconde linee inaffidabili, dirigenza…mmmh, no qui per pudore, fermiamoci, dai.

Non volevo parlare davvero di calcio in questo BPM. D’altronde è superfluo farlo non avendone visto, sabato pomeriggio. Ma abbiamo appurato ormai, in una stagione intera, che l’ultima campagna acquisti è stata un flop. Da qui, l’assioma…Com’era più? “’sta gente non è da Milan tranne Maignan, Theo, Tonali, Kalulu, Tomori, Leao…Giroud”. Tutta gente portata qui dalla stessa dirigenza, tutti calciatori che abbiamo dovuto cercare su Google al momento dell’annuncio delle trattative, fatta eccezione per Olivier che, si sapeva benissimo, “era un cadavere che veniva qui a svernare”.

“Back to life, back to reality
Back to the here and now, yeah”

Ma torniamo alla realtà, dura, di una stagione troppo altalenante per una squadra campione d’Italia in carica. Già…probabilmente, senza quel “fastidioso” tricolore sul petto ad imborghesire noi, prima ancora della squadra, avremmo firmato col sangue per una semifinale di Champions League, mentre tornavamo in città, per la prima di campionato. Ma lo sappiamo, quella storia per cui è il viaggio che conta e non la meta è ormai un aforisma per influencer in perizoma su Instagram, quindi restano i forconi da agitare al cielo e una domanda.

Quella che vi volevo fare già due paragrafi fa…

Ve lo ricordate perché siete diventati milanisti?

Ne butto lì un po’. Lo era vostro padre o forse il nonno (con cui passavate più tempo) vi ha regalato una maglietta che conservate ancora, vi ha convinto il compagno di banco delle elementari, quello un po’ sfigato, magari vostro fratello era dell’inter e volevate rompergli i coglioni, lo era la prima persona di cui vi siete veramente innamorati (che poi non si è rivelata granchè ma invece, il Milan…).

Sapete perché ve lo chiedo? Perché ho la netta sensazione che oltre alle sconfitte brucianti della squadra, sia la nostra gente a perdere malamente in questo periodo, a perdersi, letteralmente. In troppi, ormai, usano la propria squadra come alcuni genitori irrealizzati fanno coi propri figli. Convinti che siano solo le vittorie a renderli migliori, reagendo ad ogni altra alternativa in maniera scomposta, sentendo minacciato il loro status di tifosi nelle gerarchie della loro vita quotidiana.

Ho diversi amici con una visione agnostica del calcio che mi guardano con compassione. E hanno ragione perché pensano che tifare per una squadra sia oggettivamente, da fessi. Ciò che non sanno è che per me non è mica quello. Il Milan son le persone che me l’han fatto amare, sono le notti in discoteca che finivano con le dirette “sghembe” dell’Intercontinentale, coi vestiti che puzzavano di fumo e una ragazza di fianco che voleva far altro, sono le bestemmie di mio zio davanti alla TV che da bambino non capivo ma mi facevano ridere, è mia madre che mi telefona mentre ero in diretta in radio ripetendo “Chi 6? Ma chi…6?!?” dopo il derby dell’11 Maggio 2001, perché nella mia vita ho messo sciarpe rossonere al collo di neonati e dentro bare ai funerali degli amici, perché “the meaning of life” è che mica ce l’ha davvero…ma il Milan è fra le cose che aiutano a darglielo.

“Walking alone in my own way
Extremely cold and rainy day
Friends and I have fun along the way
Yes we do!”

Siamo gente che, camminando, da sola, ha avuto la fortuna di incontrarsi lungo la strada, all’ombra della stessa bandiera. Il tempo è quel che è, al momento. Ammettiamolo, fa veramente cagare però, amici, quanto ci siamo divertiti da quando siamo del Milan e quanto lo faremo.

Keep on moving!

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