(di Max Bondino)
C’era un’immagine che avrei voluto usare se solo le cose fossero andate un po’ meglio. È dipinta su un muro che delimita il playground sotto casa. Da almeno un decennio, un gigantesco dodo dalle piume violacee osserva i ragazzi giocare a basket ribadendo il suo monito: “Si estingue solo chi rifiuta di volare”. Sarebbe stato bello trovare la forza, proprio lì, sul baratro, sbatacchiare le nostre alucce non elegantissime sovvertendo il destino. Contro ogni legge dell’attuale natura delle cose, siamo riusciti ad alzarci da terra ma non così tanto da sfuggire al losco piano dell’evoluzione che mica sempre deve aver un senso, esattamente come le canzoni degli Underworld.
“Kiss the animal, the chains, the weeds, the train in the seeds and the
blue and the blue and the blue and the red and silver
Siren, siren, the horn, the velveteen is comin’”
Visto? Questo testo non significa apparentemente nulla ma la bellezza del costruire con le parole è proprio lì, ci puoi trovare dentro di tutto, come in Newcastle – Milan.
Un uccello che non vola, una canzone con un testo da 2785 caratteri che non racconta nessuna storia, colori strani, treni che passano, una squadra che non tira. È un esercizio affascinante. Lo è molto meno il primo tempo, a tratti onirico nella scientifica impotenza che la nostra squadra sembra ormai applicare come fosse uno schema di (non) gioco. Rimanendo musicalmente in tema, l’AC Milan affronta i primi venti minuti in modalità “Trainspotting”, osservando il Newcastle sfrecciargli davanti con la stessa verve delle mucche di fronte ai binari. Non esattamente l’approccio da partita decisiva.
Poi, due sussulti. L’inaudito salvataggio sulla linea di Tomori al 20esimo che, di suo, gli varrebbe il titolo di man of the match (se solo l’UEFA non lo facesse scegliere a ChatGPT) e poco dopo, una sontuosa palla goal di Leao che continua a litigare con la mira, con un tiro a giro (che gira molto poco). Tutto qui. Il resto lo fa il Newcastle, un’occasione dopo l’altra sino al vantaggio di Joellington, grazie a una verticalizzazione che spazza via il nostro centrocampo a passeggio. Riceve, stoppa, si gira, manda un meme su whatsapp a casa e la mette all’incrocio indisturbato. È il 33esimo, nessuna reazione. Si va al riposo così.
“Can you hear? Do you hear?
Show me how it feels when
we’re no longer alone”
Avete sentito? Il Dortmund sta vincendo col PSG. Non siamo soli. La notizia non sembra scomporci più di tanto, a dimostrare come oltre ai mille problemi tattici e di formazione, si stia insinuando anche un’autostima bassa quanto il nostro baricentro, fino al 58esimo.
“When the moon, the moon will burst out of the water
The water, water in the waiting room”
Quando, dal nulla, emergiamo come il riflesso della Luna da uno specchio d’acqua immobile. Dopo un cross di Leao, una deviazione regala la palla a Giroud che trova un appoggio glaciale e poetico per Pulisic nell’area piccola. È 1-1. Stesso risultato anche a Dortmund, adesso, in un girone dove nello spazio di tre punti puoi esser primo o fuori da tutto. Ai tifosi del Newcastle non pare vero (dopo aver assaporato il secondo posto) a noi ancora meno. Non eravamo mica pronti, a crederci. L’unico in cui davvero crediamo spiritualmente è sempre Mike Maignan che aggiunge un nuovo miracolo alla collezione di dicembre deviando sulla traversa un tiro di Bruno Guimaraes al 68esimo.
Dieci minuti dopo, continuando nell’esercizio del surreale, entriamo nella meccanica quantistica. Perché così come il paradosso del gatto di Schrödinger ci racconta tutte le realtà possibili e sovrapponibili, anche quello del “palo di Niang” è ormai oggetto di studi accademici. L’esperimento lo compie Rafa Leao che si invola, in solitudine, portando sulle spalle tutti i nostri sogni ed ogni scenario che, per pudore, avevamo smesso di immaginare. Con la porta spalancata, cerca il primo palo e lo trova, in pieno.
Trascorrono cinque minuti nei quali ci passa tutta la banter era davanti mentre il Newcastle si sbilancia sempre di più, attaccando senza logica. È l’84esimo quando i nuovi entrati assestano il più classico dei contropiede. Jovic ed Okafor lo guidano sino al limite per poi servire Chukwueze a destra che la calcia benissimo sul palo lontano. Abbiamo giocato molto male, stiamo vincendo, esultiamo col magone.
“You can cry some other time, we are runnin, ‘ we are runnin’, we are runnin’”
Si corre, finalmente, anche grazie alle praterie lasciate dal Newcastle (che sta facendo inaspettatamente la fine del dodo al posto nostro). Potevamo star sotto di tre a un certo punto, rischiamo di vincerla 1-4 nel recupero, con Theo che tenta un goal da 50 metri anziché accompagnarla nella porta lasciata sguarnita da Dubravka (salito alla disperata per un angolo) e con l’ennesimo contropiede condotto da Jovic che porta addirittura Tomori al tiro, palo pieno.
Si chiude così una partita assurda, all’interno della quale, ogni scenario è sembrato possibile, come per Schrödinger. Vivi, morti, sopravvissuti in Europa League. Tocca canticchiare un altro inno, il giovedì e se siete fra quelli che non l’apprezzano, oh…recuperate “Denver Luna” degli Underworld, la versione acappella, mi raccomando.
…