BPM (Beats Per Matches) – Milan – Roma 3-1 ovvero DEVIL’S HAIRCUT

(di Max Bondino)

Un paio di kili, forse anche tre. Ci presentiamo a San Siro tutti apparentemente sovrappeso ma i vizi non c’entrano, stavolta. Ci sono solo le virtù di chi non molla il proprio seggiolino neppure in una delle notti più fredde della stagione, seppur con qualche accorgimento. Sotto il mio outfit da stadio, ad esempio, trovereste un perfetto Diabolik in calzamaglia termica a farsi largo fra gente che indossa due giubbotti, cappello, cappuccio e scaldacollo alzato fino al naso, tuareg rossoneri che provano a sbirciare lontano. Perché è proprio quello che rende lo sguardo dei famosi nomadi del deserto così affascinante, l’ampiezza del loro campo visivo, la libertà, insomma.

“Something’s wrong ‘cause my mind is fading
And everywhere I look, there’s a dead end waiting”

Però, nonostante l’incrollabile fede di questo popolo, vacilliamo un po’ tutti, non riuscendo ad immaginare un orizzonte lontano ma tantomeno il futuro imminente dopo l’ennesima delusione in Coppa Italia, talmente brutta da aver fatto nascere più di un rimpianto anche per il trofeo di cui (a torto) non frega niente a nessuno. Sento migliaia di voci attorno e la sensazione è che vedere questa stagione come un vicolo cieco, da terzi in classifica a gennaio, nasca principalmente da chi ci precede. È quello, l’orizzonte che spaventa.

“Temperature’s dropping at the rotten oasis”

Pensieri malati e come nel mondo un po’ malandato di Beck, le temperature sono in picchiata, Milan – Roma inizia sottozero. Servono dieci minuti per trovare il vantaggio dopo un paio di situazioni in cui Giroud e Pulisic fanno capire d’esser particolarmente ispirati. Ma è l’uomo che non ti aspetti (anzi, è esattamente quello che tutti aspettavamo) a dare forma e senso alle migliaia di nuvolette che sputiamo dalla bocca urlando “ma tira!” non appena un nostro centrocampista si avvicina all’area. Yacine riceve dal limite, finta la conclusione di destro (mandando Kristensen in piazzale Axum ad ordinare una pizza dai cinesi) e di sinistro mette nell’angolino basso il suo primo goal rossonero. Sarà l’inizio di una prestazione impeccabile, se lo meritava, ce lo meritavamo.

“Pistols are pointing at a poor man’s pockets
Smiling eyes ripping out of his sockets”

Centoquarantamila occhi armati e sorridenti puntano Jose Mourinho, apparso per un attimo sui maxischermi. Il Milan è in controllo, anche quando non spinge regala finalmente un’idea di sicurezza che mancava da un po’ aiutato da un avversario sempre più impegnato a buttarla in rissa che nel provare a giocare a pallone. Per un attimo, provo addirittura un sentimento di solidarietà per loro che hanno avuto come capitani Totti, Giannini, Di Bartolomei e oggi, si ritrovano Mancini.

Alla mezz’ora, Giroud scalda il tacco con una giocata sublime a cinquanta metri dalla porta, lanciando in campo aperto Pulisic che avanza facilmente sino al limite, sinistro secco ma centrale. Un attimo dopo è Theo, dal fondo, da posizione apparentemente impossibile, a cercare in corsa lo specchio della porta, trovando il palo. Nell’azione successiva, l’occasione più pericolosa della Roma. Cristante serve Celik in piena area che calcia rasoterra, in diagonale, a colpo sicuro ma avete presente chi c’è in porta, vero? No way.
Al minuto 36, una delle tante sgasate di Leao porta a un cross che arriva sulla testa sbagliata, scavalca Giroud e al metro e settanta di Christian Pulisic non si poteva chiedere di più, alto sulla traversa. Chiudiamo il primo tempo in vantaggio, convinti (come sempre) che anche quando giochiamo bene, segniamo ancora troppo poco.

In apertura di ripresa ci provano Reijnders e Loftus a chiuderla con due tiri da fuori un po’ sballati. Ma il raddoppio arriva ed è strameritato, al 56esimo. Adlì mette una gran palla in area, trova la testa di Kjaer sul secondo palo che fa da sponda per quella di Olivier che l’appoggia dentro, nell’area piccola. Nei dieci minuti successivi andiamo vicini al terzo con Pulisic, regna un discreto ottimismo sugli spalti, si intona la playlist di cori da passerella, in piena fashion week, fino al minuto 68 quando Calabria, macchia una buona prestazione con un intervento ingenuo, in ritardo, su Pellegrini proprio al limite dell’area, rigore netto che Paredes trasforma.

“Something’s wrong ‘cause my mind is fading
Ghetto-blastin’ disintegrating
Rock ‘n’ roll, know what I’m saying?
Everywhere I look, there’s a devil waiting”

Ci rimaniamo male. Era confezionata, finita e ora di nuovo faccia a faccia coi nostri demoni. Se per noi tifosi, l’ansia fa parte dell’experience ed è inclusa nel prezzo dell’abbonamento, non dovrebbe esserlo per chi è in campo che invece, per una manciata di minuti, sembra accusare la potenziale beffa più del pubblico stesso. Ci abbassiamo un po’ troppo, qualche errore grossolano, un affanno generale che Pioli prova a tamponare con scelte chiaramente “conservative” come l’ingresso di Musah e Okafor per Leao e Pulisic. Non rischiamo praticamente nulla ma la paura ci fa dondolare amorevolmente sulle sue ginocchia fino all’84esimo.

“Got a devil’s haircut in my mind”

L’avevamo notato tutti, già dagli spalti. Un paio di inquadrature avevano tolto ogni dubbio: “Ma che testa c’ha Theo, stasera?”. A metà strada fra Don Diego Della Vega e un personaggio secondario di una sit-com afroamericana anni ‘70. Chi diavolo ti ha pettinato? Già, il Diavolo. Quello che vince sui demoni quando parte sulla sinistra, scambia con Giroud che lo lancia in area con l’ennesimo tacco di una bellezza commovente. Theo è meno romantico, ama le cose spicce e spacca la porta. San Siro trema. Passati i brutti pensieri, rischiamo addirittura il poker con Musah dopo un’azione più ubriaca che ubriacante nella quale colpisce in pieno il palo dopo aver saltato, in qualche modo, tutta la difesa romanista.

Diavoli, demoni e tre gran goal negli occhi. Per stanotte può bastare. Ma che testa aveva, Theo stasera. Appena arrivo a casa, lo devo rivedere.

“Devil’s haircut in my mind”

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