Eravamo tutti rimasti fermi così, più spaventati che ammirati, davanti alla spettacolare dimostrazione di forza esibita da Kevin-Prince Boateng quella domenica mattina a Lecce: tre gol in quattordici minuti entrando dalla panchina, robe mai viste. Un giocatore inclassificabile, a lungo né carne né pesce, né mediano né punta né tantomeno numero 10, una scheggia impazzita in grado di fare gol accecanti contro Barcellona e Arsenal ma anche di accumulare figure barbine contro il Siena di turno. Un pazzo, un anarchico, un istrione, un montato, un sopravvalutato: tutti aggettivi che colgono, ma solo in parte, la complessità del Boateng calciatore (mentre sull’uomo ci andiamo giù piatti: era, è un tamarro fessacchiotto come tanti, peraltro a quanto pare anche piuttosto sgarbato, come non ha mancato di ricordare oggi pomeriggio Alessandra Bocci della Gazzetta dello Sport, con un tweet al veleno).
Tre anni e due partite non sono bastate a diradare le nebbie del mistero. Chi è KPB? Come in I’m not there – quel film americano in cui Bob Dylan è contemporaneamente un predicatore, un bambino di colore, una donna – le sue anime sono tante e contraddittorie. Lo ricordiamo entusiasta assalitore dell’Auxerre nel suo esordio in rossonero, in una notte di Champions, la competizione che lo ha sempre esaltato; ma nella scena successiva lo ritroviamo esasperante stoccatore di tiracci da 30 metri senza costrutto, con in sottofondo i fischi di un San Siro spazientito e semivuoto. Numeri da circo contro Barcellona e BATE Borisov, ma anche espulsioni talmente stupide da risultare avvilenti per il genere umano (una volta, all’Olimpico, addirittura dalla panchina!). Paladino della lotta al razzismo a Busto Arsizio, ideologo della pantagonna al centro di Milano. Questa macedonia di contraddizioni era venuta a noia al tifoso rossonero medio ben prima di quanto non accadesse ai piani alti, che forse però hanno solo aspettato il momento giusto – una serata di gloria contro una masnada di minorenni – per piazzarlo al miglior offerente. Non ci strapperemo i capelli per aver perso una bomba a orologeria sempre sul punto di esploderci in mano; lo ricorderemo come si ricorda un parente svitato che frequentavamo da piccoli e poi è improvvisamente sparito dai radar, un Syd Barrett senza droghe sintetiche ma senza neanche quella poesia e quell’armonia caratteristiche di certi tipi di follia. Lo rimpiangeremo? No, possibilmente no. Speriamo di no.
La famosa tripletta al Lecce è stato l’ inizio del suo declino da giocatore del Milan, non doveva giocarla quella partita ma sullo 0-3 la Capra lo mise in campo per disperazione e successe quel che è successo. Non lo rimpiageremo, potrà vantarsi di avere indossato la N° 10 del Milan, noi vomiteremo paragonandolo a quei giocatori che l’ hanno indossata degnamente.