(di Max Bondino)
Trentaquattro anni fa, i Pet Shop Boys promettevano che “non si sarebbero annoiati, mai”. Ed erano sinceri. Visto che domenica, il loro nuovo album, mi ha scortato verso San Siro. L’ha fatto nel senso puro del termine, quello legato al prendersi cura di qualcuno, perché quando cerchi protezione da momenti bui, il pop si schiera sempre volentieri al tuo fianco.
“There is a better fight
A cause close to my heart
The struggle against loneliness
That’s tearing you apart”
Siamo tanti (anche se non tutti), ma soprattutto ci ritroviamo un po’ più soli. Il tema ricorrente è proprio quello, la solitudine. Da quando l’AC Milan, per primo, ci ha abbandonati lì, alla festa di qualcun altro, il suo popolo non si è ancora ripreso e sembra aver deciso (almeno in parte), seguendo la più classica dinamica delle ripicche amorose, di restituire il favore. Il comunicato della curva, le bandiere ammainate e quel gigantesco, lapidario telegramma a campeggiare sul muro nero della Sud dove forse, nel passaggio della “presenza istituzionale” viene condensato tutto ciò che affligge il nostro momento storico, aggrappati all’ennesima proprietà farlocca che nulla sa di chi siamo ed anche a spiegarglielo, mica possono capire.
Non a caso, al “rumore del silenzio”, evidenziato da quell’unico striscione, ne è seguito immediatamente un altro, che conosciamo bene da un paio d’anni, ben più assordante da parte di una società che o parla per slogan (hai detto Gerry?) o tramite biscotti della fortuna (hai detto Furlani?) o attraverso i testi delle proprie badanti (dai, questo lo indovinate facile).
“Where are you gonna run to now from loneliness?
Who are you gonna turn to out of loneliness?”
Soli. Noi e il Milan. Come si sfugge a questa sensazione di abbandono che ci abita dentro? Beh, ci sarebbe una partita, seppur immensamente inutile, ma impreziosita dalla nostra stoica presenza. Ai genoani non sembra vero di avere San Siro tutto per loro e si divertono, parecchio. Festeggiano, ci insultano pure un po’ e li lasciamo fare, regalandogli un’idea alternativa di quel concetto astratto che associano all’ospitalità. C’è dell’accoglienza calorosa anche nella nostra difesa, lo capiamo subito. Sono sufficienti tre minuti di disagio generale per portare Tomori a regalare letteralmente un rigore che Retegui trasforma. Rigirato il coltello arrugginito nella piaga, inizia ufficialmente la nostra partita al retrogusto di tetano.
E non sarebbe neppure una delle peggiori di quest’annata così ignorante, a dir il vero, se non fosse per quell’atmosfera malinconica che solo chi è rimasto a lungo in una discoteca dopo la sua chiusura, può veramente conoscere. Il Milan ci prova ma sembra chiedersi se serva davvero a qualcosa, farlo. Fanno
eccezione il solito Chuckwueze (sbocciato mentre il resto della squadra appassiva in blocco) e Christian Pulisic che anche quando non fa il fenomeno, ha troppa qualità nei cromosomi per non farla uscire. Ci regala un palo clamoroso con un tiro a giro al 13esimo e una botta da fuori che Martinez vola ad alzare sulla traversa attorno al minuto 40. In mezzo, l’imprevedibilità di una squadra di Subbuteo non ci aiuta a combinare granché ma pareggiamo giustamente allo scadere con l’ennesima giocata esaltante di questo finale di stagione di Chukwueze, che va a mettere sulla testa di Florenzi un goal che si merita, quanto noi.
“Wherever you go, you take yourself with you
There’s nowhere you can hide”
Ma non si scappa da sé stessi. Ci si può nascondere negli spogliatoi per un quarto d’ora, al massimo. Al Genoa è sufficiente buttare un pallone in mezzo da trenta metri per trovare la testa di Ekuban, con Tomori e Gabbia piazzati in modo terrificante, per tornare immediatamente in vantaggio. San Siro, già silenziosissimo, sembra amplificare ogni sospiro. La gente non impreca neppure più e sapete bene chein uno stadio, è un sintomo abbastanza grave. Mentre i suoi compagni si interrogano sulle loro solitudini, Samuel Chuckwueze ne sperimenta un’altra, quella di giocare a calcio da solo provando ad inventare assist, liberandosi al tiro e facendosi annullare l’ennesimo bellissimo goal ma veramente, così come ad inizio stagione sembrava avulso dalla squadra, oggi pare l’unico ad aver voglia di esser qui.
Il fatto che una squadra in clamorosa difficoltà tecnica e psicologica come il Milan attuale costruisca in ogni caso un numero importante di occasioni, racconta il livello dell’attuale Serie A. Se ne divora una Theo al 65esimo, lanciato in contropiede, non servendo Giroud, scaricando debolmente in porta ed è proprio Olivier, poco dopo (servito da Okafor) a tentare uno scavetto sgangherato con tutta la porta a disposizione.
“From the loneliness that’s haunting your life
The sense of wounded pride”
Poi, dal nulla, dal fondo di quel pozzo di solitudini mascherato da stadio, l’orgoglio ferito di una squadra sembra avere una reazione. La ribaltiamo con un gran colpo di testa di Gabbia su corner di Florenzi al 72esimo ma soprattutto, tre minuti dopo, con l’eroe di chi non dimentica, Olivier Giroud. Il cross di
Pulisic attraversa tutta l’area da destra, il sinistro di Olivier incrocia al volo sul palo lontano un goal che, in momenti più sereni, racconteremmo con inchiostro su pergamena, mica col laptop.
Mancano dieci minuti, la curva abbandona gli spalti. San Siro con un buco nel cuore. Molti fanno altrettanto, qualcuno per emulazione, altri per arrivare in tempo per cena.
Nel mentre, non si scappa da sé stessi, ricordate? Quando Thiaw (appena entrato) firma il tabellino nella colonna sbagliata impattando malamente la seconda palla in area del Genoa, siamo davvero pochissimi sugli spalti, quanti gradi ha la solitudine? Anche meno, dai.
“Everybody needs time to think
Nobody can live without love”
Società, giocatori, tifo organizzato, quello disordinato e chi si incazza di professione sui social.
Abbiamo tutti bisogno di pensarci un po’ su. Anche perché, senza amore, non si vive.
Come senza Milan, che poi, è la stessa roba.