A Love Supreme, cap. XIII – Milan-Sassuolo

Gli occhi bassi sul pavimento della classe mentre la prof scorreva lentamente i nomi sul registro, decidendo chi impallinare con le eccezioni della quarta declinazione. Il terrore cupo quando nella casella trovi una lettera verde con scritto ‘Agenzia delle entrare’ e ti immagini già ad ipotecare la casa e la collezione di vinili. Il panico che ti assale mentre esci dal bagno e trovi allegramente la tua dolce metà che con aria cupa sta smanettando sul TUO cellulare. Era più o meno simile l’ondata di ansia collettiva che percorreva San Siro sabato sera mentre il cronometro, lentissimo, avanzava verso il recupero e il fischio finale. Ragazzi, ne abbiamo viste di partite brutte e di sconfitte, e pure dolorose, ma raramente siamo stati costretti ad una specie di assedio costante e continuo, con i nostri in palese difficoltà. Finisce una loro azione. Ripartiamo male, perdiamo palla, siamo lenti, imprecisi, quelli in un secondo ci sono addosso. Ci mangiamo le unghie e chiudiamo gli occhi su ogni cross e su ogni angolo, terrorizzati dall’idea del Calippone in agguato perenne.

Il Sassuolo, squadra insopportabile, simbolo di tutto quello che detestiamo cordialmente del cosiddetto calcio moderno, gioca che sembra l’Olanda del 74. Corti, ben organizzati, Sensi fa vedere che per valere vale eccome, soprattutto lì davanti hanno quell’iradiddio che per metà partita quasi tutti pensano sia Duncan (giuro, non è una battuta di basso livello). Invece no, si chiama Boga, è in prestito dal Chelsea e sembra Pelè in Fuga per la vittoria. Scatta, salta i difensori come birilli, i nostri non lo vedono mai e poi mai. Prende il palo, segna pure un gol, fortuna che il VAR ci dice bene. Credo stia correndo ancora adesso scartando i panettoni di cemento lungo Viale Caprilli. Insomma, mentre eravamo lì ad alzare i cartoncini ad inizio partita sapevamo che non sarebbe stata una passeggiata, ma nemmeno di uscire a fine prostrati come dopo una semifinale di Scempions.

Qualcuno dice che i ragazzi hanno subito la pressione, il sorpasso alle Merde, lo stadio pieno. Sarà. Il punto è che pure noi dopo quasi un decennio in cui da Febbraio in poi sostanzialmente si veniva a San Siro per bere le birrette con gli amici, siamo disabituati ad avere un obiettivo che non sia almeno stare tranquilli nella parte sinistra della classifica. Sugli spalti il popolo rossonero soffre e si spolmona. I campo i ragazzi danno tutto. Alla fine di tibia, nuca, testa, piede, con qualsiasi cosa respingiamo gli assalti avversari, che poi per la verità di riffa e di raffa le più grosse palle gol del Secondo Tempo sono capitate sui piedi non esattamente fatati di Frankone Kessie’, che però di Eurogol credo per contratto possa farne uno ogni plenilunio al massimo, e giustamente una la spara sul portiere e l’altra è al momento in orbita attorno ad Aldebaran.

Finisce e siamo terzi. Wow. I nostri sfiniti si vengono a prendere il nostro abbraccio. Molti di loro sono ben oltre la riserva: sono mesi che corrono, lottano, sputano sangue quasi ogni tre giorni. Ci sta. Tornate a casa ragazzi, fatevi un bagno caldo, c’è un accappatoio azzurro, riposatevi, fate all’amore e portate giudizio. Che è ancora lunga, lunghissima. Ce ne torniamo a casa pure noi, belli belli per vedere la Rometta che se ne resta a – 4. Non male come weekend, dai.

Ho iniziato parlando di paura, per fortuna solo sportiva. Posso solo immaginare la paura che hanno provato i ragazzi che erano su quel bus che stava tornando a Bergamo quando si è accostata la camionetta della polizia. Quando li hanno costretti a fermarsi, hanno divelto le porte e sono saliti agitando i manganelli, colpendo alla cieca. Perché puoi anche essere il più duro e puro degli ultras, ma non c’è scampo se ti trovi davanti dei celerini in assetto da guerra. La mia non vuole essere la retorica dell’ACAB sempre e comunque, non è questo il punto. Ma salire su un pullman di gente seduta e massacrarla, offrendo poi una ricostruzione perlomeno surreale, non offre altri punti di vista se non dire che è uno schifo e basta. Una vergogna. Un’ingiustizia.

Quando ho visto quelle immagini, ho ripensato a Perugia nel 1999, quando insieme ad altri mi ero rifugiato in bagno e ci hanno sparato i lacrimogeni ad altezza d’uomo, ho pensato a chi fra di noi è stato piagato dalle manganellate, colpito a terra. A chi è finito in una cella. A chi ha perso un occhio. Allora nessuno aveva visto niente, nessuno ha detto nulla. Questa volta ci sono i video fatti con il telefonino, le testimonianze. La presa di posizione della società Atalanta e del sindaco della città. Non so se basterà, ma è già qualcosa.
Che sia fatta verità e giustizia per i ragazzi di Bergamo.

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