FOREVER JUNG – Archetipi Milanisti. Capitolo IX: L’Innocente

(a cura di Antonio “Vannucco” Rampini)

Continuiamo nella trattazione dei simboli e archetipi che, nel solco della teoria di Carl Gustav Jung, hanno contribuito a formare la nostra coscienza di tifosi rossoneri.
Una parte importante del nostro tifare è fatta di entusiasmo – quello per una giocata, quello con cui ci abbracciamo con perfetti sconosciuti allo stadio – l’entusiasmo del fanciullo che vive il calcio con semplicità, in modalità #bambinodi7anni. Secondo Jung, è proprio l’archetipo dell’Innocente a risolvere questa parte di noi, quella entusiasta, vitale, con la fiducia che deriva anche dalla protezione che i nostri genitori ci danno. L’Innocente pensa di vivere in un mondo perfetto, vive quasi in un sogno che potrà, un domani, rimpiangere.

Ed esiste un giocatore che probabilmente ha incarnato al meglio l’archetipo dell’Innocente. Un attaccante che ha continuato a donare felicità e gioia nella spensieratezza della sua partita. Non vogliamo dire che non fossero partite dure, combattute, tirate, sempre a scontrarsi con arcigni difensori che si opponevano alla sua sicurezza. Ma anche nella difficoltà la sua partita c’era sempre.
Quel giocatore, che negli anni ha comunicato al nostro inconscio di milanisti entusiasmo, gioia e spensieratezza, è Pippo Inzaghi.

Piacenza, Verona, Parma, Atalanta, e poi Juventus – ma è al Milan che diventa davvero SuperPippo. Sono undici gli anni di Milan vissuti con volontà (rinuncia a un sacco di soldi per vestire il rossonero), fiducia, credendo nella vita e nella potenza del gol. Se glissiamo sulle sue imprese mondane da vero superuomo tra discoteche e camere da letto, il ritratto che ne viene fatto come professionista è spesso sorprendente: una dieta strettissima di bresaola, mozzarella e biscotti Plasmon. Da calciatore, la sua è una vita vissuta (junghianamente) da sognatore e ingenuo. Anzi, direbbe Dostoevskij, con la “sfrontatezza dell’ingenuità”, la capacità pur essendo giocatore a detta di molti “normale” (di fisico, tecnica, capacità percepita da compagni e avversari), di convincersi dell’opposto, e vivere una vita (calcistica) esaltante e meravigliosa. Che funziona in campo, rendendo Pippo un giocatore incredibile, un alieno: il giocatore calamita, quello che attira la palla a sé in modo a dir poco irridente, sempre al posto giusto nel momento giusto. Quel giocatore che si concretizza alla fine di un tempo, all’improvviso, e dal nulla è capace di deviare in porta una punizione con la spalla, in finale di Coppa Campioni. Oppure di fare un gol di pura tecnica, facendosi trovare sul filo del fuorigioco, libero dal marcatore, a scattare verso la porta in sincrono col meraviglioso passaggio di Kakà mentre la difesa sale, e uccellare Reina sotto le gambe per la seconda volta.
Chi oltre a lui? La meraviglia in campo.

In effetti, se ci pensate, nel rapporto ad esempio con gli arbitri lui si è sempre dichiarato davvero “innocente”, il nostro SuperPippo è stato probabilmente uno dei giocatori più (ehm) paraculi che si possano ricordare: lui la sua “innocenza” la proclamava sempre e costantemente, mentre si contorceva in area dopo un contrasto minimo, o (prima del Var) quando usava partire sul limite “estremo” del fuorigioco per prendere in contropiede il difensore che lo marcava, cercando di minare le convinzioni del guardalinee che ne doveva giudicare la posizione.
Girellando tra gli avversari inconcludente, una minaccia percepita minima, eppure capace di accendersi con la velocità del fulmine, tanto la palla (effetto calamita) dovrà per forza arrivare verso di lui. Perché Pippo possiede appunto l’ottimismo, la fiducia nel mondo e nel “necessario” svolgimento delle partite,


Se l’Innocente junghiano è (lo ricordavamo con Franco Baresi) la persona protetta dai genitori e dal loro amore, e che cresce in questo amore nell’ottimismo e nella sicurezza, Pippo conserva in campo questa visione sempre positiva. Lui fa accadere le cose.
Come quando in Milan – Ajax di CL 2003, sul 2-2 il Milan è tecnicamente fuori: su un lancio disperato di Maldini a recupero inoltrato, Pippo non accetta l’eliminazione e si fa trovare nel posto giusto al momento giusto: Ambrosini di testa lo trova libero dietro al suo difensore ed eccolo, in un lampo è lui a delineare un pallonetto sghembo sull’uscita del portiere olandese. Poi è Tomasson a spingere dentro la palla
(ripenso al terrore pensando al possibile fuorigioco)
ma il gol è tutto di Pippo, è lui che ci ha creduto e mi viene da dire ha spinto gli altri a crederci.
Perché lui c’è sempre. E mantenendo junghianamente la fede nella bontà delle persone, dei compagni, dei loro lanci, la sua ricompensa al Milan è il donare al mondo la felicità (del gol).
E la strada verso la nostra sesta Coppa dei Campioni.

(ricordo alcune partite del suo ultimo anno, a San Siro. Per quanto acciaccato riusciva entrando dalla panchina a frustare la squadra, a esaltarla con forza e vigore, la scossa benefica di chi attraversa le difficoltà – i tanti infortuni, anche gravi – ma conserva l’ideale. E la squadra lo sente, capisce e coltiva la speranza, come direbbe Jung, e dona, insieme a lui, un mondo migliore al popolo dei tifosi, la gioia dei momenti puri della vita, “quando ti innamori, quando vince il Milan, quando guardi fuori” come cantava Jannacci)

L’Innocente d’altra parte percepisce il mondo in contrapposizione. Due squadre, il bene e il male, e Superpippo è l’espediente con cui fare trionfare il bene (cioè, noi!). Sempre Jung ci dice che l’Innocente, per conoscere e sperimentare il bene e il male, insomma capire e vivere pienamente la vita, deve allontanarsi dalle proprie sicurezze. Che poi è quello che SuperPippo ha fatto scegliendo il Milan a 28 anni, nel 2001, la fase della maturità calcistica: Pippo capirà, una volta passato in rossonero, che nel mondo può regnare l’ingiustizia, la violenza (dei difensori contro di lui), che devono essere affrontate tante e nuove difficoltà di cui non aveva contezza indossando una maglia senza colori.

Con il Milan Pippo vince due Scudetti, due Coppe dei Campioni, una Coppa del Mondo per Club (segna due gol anche qui), una Coppa Italia, due Supercoppe Europee e due Supercoppe italiane. Questo da giocatore: un archetipo talmente prepotente e difficile da eguagliare che dopo di lui si è pensato alla “Maledizione del 9”.

Noi gli vogliamo bene. Anche dopo la surreale e faticosa prima esperienza da Mister.
(2014, lo incontrai a luglio in via Marcona, a Milano, i miei auguri con selfie propiziatorio evidentemente non funzionarono)
in un Milan a dir poco frastornato, del quale forse era incredulo e frastornato anche l’allenatore (il famoso “non puoi pensare di dominare l’Empoli a San Siro”, peraltro presago di una successiva attitudine da ammazzagrandi del fiero Empoli).

Una cosa è certa: non ebbe la fortuna dell’allenatore a lui ostile, Massimiliano Allegri, che al suo posto, vedendo partire Kakà e Balotelli e arrivare Armero e Van Ginkel, avrebbe commentato “Nel calcio esistono le categorie”. Poi, qualche giocatore decente c’era, ma lui era abituato a uno spogliatoio di campioni, e finì mestamente decimo. D’altronde la crescita dell’Innocente passa attraverso cadute e delusioni: oggi Pippo è allenatore bravo e, pur evitando le piazze troppo vistose (lezione imparata duramente), anche affermato. E se lo merita.
Noi rossoneri sicuramente ci siamo meritati l’entusiasmo del Campione.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.