L’HASHTAG – #levisiteaMilanello

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Il 2 novembre sarà anche un buon giorno per morire, ma si direbbe che non porti benissimo al Milan. Un anno fa, di sabato sera, arrivò la peggior prestazione dell’era berlusconiana: Milan-Fiorentina 0-2, probabilmente unica partita a San Siro degli ultimi 25 anni conclusa dal Milan senza mai tirare in porta. Uno spettacolo indecente in cui Allegri affondò con tutta la barca, inerme e inerte, riservandosi un solo cambio (Niang per Birsa) peraltro “consigliatogli” da Raiola. I titolari erano Gabriel, Abate, Zaccardo, Zapata, Constant, Montolivo, De Jong, Muntari, Birsa, Balotelli, Kakà.

Un anno dopo ne sono rimasti in due (anche se il terzo, entrato dopo due minuti, si è poi rivelato il peggiore in campo), oltre ovviamente al nuovo allenatore. L’avversario era più scarso, il risultato è stato identico, la prestazione pericolosamente simile. Di tiri ne sono stati scoccati quattro (Poli, Torres e Menez nel primo tempo, solo El Shaarawy nella ripresa), ma le maggiori preoccupazioni di Sorrentino sono state i rinvii di piede. Con sinistra puntualità dopo le parole pre-partita di Galliani che annunciava di aver fissato i premi per il terzo posto, Inzaghi ha fatto una confusione dell’ostia, ha iniziato con una formazione leggerissima – mandando al massacro il povero Saponara – e nel secondo tempo ha peggiorato ulteriormente la situazione, imbottendosi inutilmente di punte come neanche Carlos Bianchi ai tempi della Roma. Che più punte non sia uguale a più tiri in porta, è un luogo comune che suona abusato persino per un telecronista RAI; questo dà la cifra della confusione mista a disperazione di Inzaghi contro il Palermo.

Il punto è che, dopo Ancelotti, tre degli ultimi quattro allenatori del Milan sono stati allenatori che non avevano mai allenato a livello professionistico. A differenza di Inzaghi, Leonardo e Seedorf avevano un ego delle dimensioni della Groenlandia e sono ben presto andati a sbattere, alienandosi molto presto le simpatie del volubile Presidente. Pippo invece è più realista del re e soprattutto ha ben presente il ricordo di Clarenzio, finito arrosto in un amen e subito scaricato dallo stesso uomo che appena due mesi prima gli aveva sottoposto un triennale. Perciò accetta il rischio di passare per yes-man e accoglie col suo proverbiale Entusiasmo ogni visita presidenziale del venerdì pomeriggio, in cui Berlusconi – risentitosi di colpo importante e galvanizzante per l’ambiente – dispensa perle di saggezza, rallegra i tristi e cura gli afflitti con quei poteri taumaturgici che tutti quanti gli riconosciamo da anni.

#levisiteaMilanello sono riprese di colpo da un paio di mesi, dopo l’ondata dell’autunno-inverno 2012-2013 che aveva esclusivamente scopi elettorali, in cui Berlusconi non mancava peraltro di far sentire la propria fiducia incondizionata ad Allegri (“Guardiola? Sarà difficile ma ci proveremo“, diceva per esempio il 24 novembre 2012, denotando un realismo ammirevole per un uomo di oltre settant’anni). Quanto ai consueti consigli tattici, è sempre la solita zuppa: due punte fisse, attaccanti che devono giocare più vicini alla porta, ricerca costante del bel giuoco, e magari piantiamola con ‘sto Rijkaard, c’è Claudio Borghi che è molto più forte.

A Berlusconi che si lamentava che Kakà giocasse troppo lontano così come il nonno suonato si lamenta che i giovani sono tutti maleducati e non uno che si alzi sull’autobus per farlo sedere, il suddetto Ancelotti rispondeva così: andava da Kakà e gli diceva “Gioca seconda punta, ma solo per i primi cinque minuti”. Ma Inzaghi non ha due Champions nel curriculum, e neanche una promozione in A con la Reggiana. Nella sua breve carriera non ha fatto altro che onesta difesa e contropiede, schema pedissequamente riproposto nelle prime tre partite. Partito con l’idea di fare quel che può, Superpippo si è rapidamente convertito all’idea di fare quel che deve: assecondare il Presidente, più per paura che per convinzione, aspettando il croccantino settimanale (“La squadra è da 7, ma l’allenatore è da 8”, ha detto giusto venerdì scorso). Il suo scarso polso e la passione per il quieto vivere si stanno estendendo anche ai parenti più prossimi dei giocatori più scontenti. La moglie di Pazzini muggisce che il maritino non gioca mai? Pippo gli dà mezz’ora contro il Palermo, in cui il bolso Pazzo si limita a due sponde e nulla più. E così la squadra, che già non è attraversata da un animus pugnandi irresistibile (se il capitano è Abate…), ne risente ancora di più. Ringalluzzito, Berlusconi ha ripreso a concedersi persino qualche invasione di campo extra: nell’intervallo di Milan-Fiorentina, con la squadra peraltro in vantaggio, è sceso negli spogliatoi e ha strigliato per bene la squadra colpevole di fargli fare brutta figura con il magnate di Hong Kong seduto accanto a lui in tribuna. Poi è tornato a casa in anticipo (non perché si stesse annoiando, intendiamoci, ma perché la condanna per frode fiscale dell’agosto 2013 gli impone di rientrare a casa entro le 23). Chissà come c’è rimasto male il magnate di Hong Kong.

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