I mercoledì di campionato se li porta via il vento, specialmente a Cagliari, dove in trenta secondi un maestrale come dio comanda può scaraventare un qualsiasi De Sciglio fino in Corsica. Del secondo tempo del Sant’Elia – nonostante la giustificata grancassa mediatica di chi si aspettava pirotecnie opponendo Zeman al miglior attacco del campionato – non rimane assolutamente niente. Il Milan ha tirato verso la porta per la prima volta al 92′, per giunta con De Jong, ma è anche vero che ha subito ben poco, anche se Abbiati sembrava pronto a un’altra figura da spaventapasseri sulla punizione di Conti. “Buono il punto”, si dice in questi casi. Leggi la classifica e pensi a Roncobilaccio il 26 agosto. Non è una novità: da quando la serie A ha perso un posto Champions, dopo 9 giornate la lotta per il terzo posto è sempre stata più che indecifrabile. L’anno scorso, a questo punto, terza era addirittura la Juve, che poi avrebbe ingranato la quinta e stracciato tutti i record. Nel 2012, il Milan di Allegri era dodicesimo a -11 punti dall’inarrestabile Inter di Stramaccioni; finì con il gol di Mexes a Siena. Nel 2011, addirittura, tra il Napoli primo e il Palermo settimo c’erano appena tre punti.
Insomma, #comunqueterzi, in un campionato che manda solo segnali contraddittori. Da due partite il Milan fa fatica, ma Inzaghi – maniaco dei numeri – ci tiene a ribadire educatamente che, mentre noi s’è imbrigliata la Fiorentina, Udinese e Inter hanno preso dai viola sonore legnate. Anche il Cagliari del resto ha fatto razzia a San Siro, mentre il Verona da noi liquidato a domicilio ha fatto soffrire la quotata Lazio, che noi abbiamo peraltro sconfitto con un certo agio all’alba del campionato. Il fatto è che, dopo quattro giornate di tesi allegramente offensive, dopo il pareggio di Empoli è scattato il tempo dell’antitesi: meno gol subiti, grazie all’ormai insostituibile Alex, ma anche una manovra meno spensierata, che continua a fare a meno dei gol del supposto tridente titolare El Shaarawy-Menez-Torres, tutti a secco da un mese e più. Si aspetta la sintesi, accettando i tempi dell’obbligatorio apprendistato per un allenatore che fino a due mesi fa aveva in carriera zero panchine da professionista. Si notano i segni positivi come la grinta e il temperamento di una squadra che su 9 partite ne ha realmente cannata una sola, contro la Juve; si temono i primi segnali di mentalità speculativa piccolo-borghese, quella che non ci ha mai fatto tirare nello specchio su situazione di 1-1 contro Fiorentina e Cagliari. Come se, da due partite, il Milan di Inzaghi difendesse il punticino con la stessa tenacia con cui Superpippo da calciatore scappava verso la bandierina.
Questa serie A 2014-15, di livello talmente basso da diventare persino appassionante dal punto di vista delle emozioni, ha per ora un finale apertissimo, tipo le vecchie gare anni ’60 di ciclismo su pista. A chiunque, forse persino al Sassuolo, bastano tre vittorie di fila per iniziare a parlare d’Europa, come d’altra parte tre pareggi in fila sono sufficienti per i primi processi. Togliendo la parentesi speriamo irripetibile contro la Juve, il campionato del Milan sta seguendo una traiettoria a zig-zag: due vittorie, due pareggi, due vittorie, due pareggi. “Perderemo solo con chi è più forte di noi“, aveva detto Inzaghi dopo la Lazio, e in effetti il campo gli sta dando ragione. Per tutto quel che ha combinato in carriera, e anche per quel dannato soprannome che si porta dietro da anni, Superpippo non dovrebbe soffrire di vertigini. Ora è il momento di rischiare, di mandare un segnale, di battere un colpo prima che lo facciano Higuain o Cuadrado. Non passiamo le nostre settimane ad accontentarci: siamo il Milan, cribbio (cit.).