Ma prego, agevoliamo dalla regia il filmato. Siamo al 94esimo e una manciata di secondi: dovrei dire che San Siro era in fibrillazione e chiamava i nostri prodi all’ultimo assalto, ma non era esattamente così. Semmai ci avevamo creduto anche troppo su un angolo pochi istanti prima. Avevamo quella specie di premonizione, di luccicanza tipo Shining, e confidando nel nostro training autogeno rossonero in 60mila volevamo spingere quella maledetta palla in rete, come quando Giorgione Weah l’ha messa alle Merde al 90esimo in un derby schiacciandola sopra Panucci e io ho urlato così forte gooooooooolll che le mie tonsille le hanno recuperate che si aggiravano in stato di choc dalle parti di Piazza Medaglie D’Oro. E invece niente, corner inutile, il gelo nel cuore. Mentre la palla placida vagava nei 30 metri della Maggica, fondamentalmente non aspettavamo altro che il fischio finale per alzarci e andare via, pronti per applaudire la prova sontuosa dei ragazzi ma masticando amaro, macché amarissimo, per aver un concesso un punto ad una Rometta veramente oscena che si è salvata con un tiro un gol. E invece.
E invece siamo lì quando Nzonzi, uno dei pochi che si era distinto dei loro se non altro perché è grande e grosso come il Cristo di Rio, che cosa fa invece di melinare o che ne so, spazzarla nell’iperspazio? La appoggia molle e poco convinta verso un suo compagno che mai se l’aspetta e infatti oplà, con l’argento vivo di chi sa che l’1-1 è arrivato anche di sfiga da una sua respinta sbagliata, Davidino Calabria fa un’accelerazione supersonica e con la punta della scarpa l’appoggia a lui, l’uomo del destino, el nueve di cui ci siamo già perdutamente innamorati già tutti (ebbene sì, mamma perdonami): Gonzalo Higuain. E in questo brevissimo lasso di tempo, in queste poche frazioni di secondi in cui Higuain si gira, San Siro capisce che sta per accadere QUALCOSA.
E’ stato come se ci avessero ficcato a tutti nel cuore una spada di adrenalina, precisi a Mia Wallace in Pulp Fiction, balziamo in piedi, e tratteniamo il respiro. Gonzalo stramuore dalla voglia di metterla, un paio di palloni così prima li aveva subito sparati in porta, al gol annullato è andato avanti ad esultare per due minuti buoni, come tutto lo stadio del resto, prima che il VAR ci facesse quella specie di vasectomia che ci ha fatto profondare nella delusione più nera. Vedrai che tira penso e invece no. No perché Higuain non è come quella massa informe di 9 che in questi anni ci hanno tediato con la loro mediocrità aberrante, non è il bolso Torres, lo psyco Balo, quel gobbo di Matri, simpatia Lapadula e la coppia tutto pepe Silva-Kalinic. Macché, Egli è di un’altra intelligenza calcistica e per questo quando vede arrivare con la coda dell’occhio sulla tangenziale est Patrick Cutrone, gli allunga un palla filtrante che- detesto dirlo – mi ha ricordato quella che P. ha dato a Grosso nella semifinale contro la Germania nell’estate del 2006, quando aveva il cuore ancora dalla parte giusta del petto e non era ancora passato al lato gobbo della Forza.
Beh di Cutrone si possono dire tante cose e tante le abbiamo dette, ma di sicuro una vale la pena di ribadirla. Il ragazzo sa essere al posto giusto al momento giusto, proprio come al derby di Coppa Italia. In ogni caso, non abbiamo nemmeno il tempo di realizzare quello che sta per succedere per davvero aver paura che possa sbagliare e rovinare così il disegno perfetto di una serata perfetta, in cui abbatti la Rometta allo scadere, dopo un’estate in cui hai dovuto sopportare di tutto, fuori dalle Coppe, con spernacchiamenti collettivi ahah adesso fallite, il cagariso misterioso che scompare, Fassone e Mirabelli volatilizzati nel nulla, Bonucci che piglia e se ne va, Leonardo che torna e facciamo finta di nulla ma ci siamo capiti, la resurrezione pure di Paolino Maldini che prima era stato reticente come la peggiore delle fighe. Mettici pure la sconfitta coi Pulcinellas, davvero un suicidio che ho vissuto live in un bar di Lima con le cameriere peruane che mi portavano una cerveza mas mentre nel silenzio più assoluto saltavo e strepitavo in modo imbarazzante. No, Patrick la spara esattamente dove doveva passare e io penso che non è possibile tutta questa immensa bellezza, questa perfezione, soprattutto oggi che dopo 13 lunghi, lunghissimi anni siamo tornati A CASA.
Da quel 2005 sono stati 13 lunghi anni di esilio nel Secondo Verde, di derby in cui dovevi spostarti, di gobbi e pulcinella ovunque, del boato che senti poco sopra quando gli altri facevano gol. Anni anche di brave persone, di casciavit, gente che ama il Milan per pietà, nulla da dire. Anni in cui eri consapevole del fatto che quando giocano le Merde al posto tuo c’è qualche ciccione pelato degli Irriducibili, che solo all’idea laveresti ogni volta il seggiolino con l’acido muriatico.
Vedere la Sud da lontano per tanto tempo ci è sembrato inevitabile e anche definitivo.
Poi ecco, sono cambiate un po’ di cose che non sto qua a spiegare, diciamo che è bastato scendere al Primo Blu la scorsa stagione per le partite di Coppa Italia per ritrovare certe facce, certe abitudini e decidere in un attimo. Si torna al nostro posto, in Sud. Non sarà là sopra dove c’era la Fossa, lì è giusto non andarci più, perché sarebbe strano e anche sbagliato, ma tornare in Sud, anche se al Primo, sì, se puede. Yes, we can. E così ad Agosto abbiamo fatto la coda sotto quel sole maledetto per prendere i posti vicini e poi venerdì siamo passati prima per Axum e poi dal baretto. Abbracci e birre come in un doppio pranzo di Natale, siamo entrati, abbiamo appeso la nostra pezza là sopra, all’ultima fila sopra il dischetto, dove adesso starà sempre e se la vedete passate a farci un saluto. Basta leggere Herbert Kilpin, è appena sotto il bar, difficile non trovarla.
E’ bastato vedere quella spinta che arrivava dalla gente, quella passione, la rete che si gonfiava quando non ci credevi ormai più. In un attimo 13 anni sono volati via, e abbiamo sentito che il nostro Amore Superiore finalmente è nel posto giusto.
Finalmente siamo tornati a Casa.
Buon campionato a tutti.