Nella storia dei precedenti tra Catania e Milan, di clamoroso al Cibali c’è soprattutto la serie infinita di pareggi consecutivi: per 10 volte di fila, dal 1964 al 2009, la partita è terminata con il segno X, otto volte delle quali per 1-1 (a interrompere lo stillicidio ci pensarono Kakà e Inzaghi nel 2009; gli etnei non ci battono addirittura dal 1963, 1-0, gol di tale Bruno Petroni). Andiamo perciò a rievocare proprio uno di quei vecchi 1-1, quello del 12 febbraio 1984, che più si distingue dagli altri per la bizzarria delle vicende e per la singolarità dei personaggi in campo. Qualche nome a caso per dare l’idea: Pedrinho, Luvanor, Eric Gerets, Luther Blissett.
E’ quello il Milan dell’Olio Cuore sulle maglie, il Milan proletario del post-retrocessione, di ritorno dal Purgatorio e malinconicamente allenato da Ilario Castagner che a fine stagione prenderà cappello e si trasferirà – ohibò – all’Inter. Il Catania 1983-84 è del resto una squadraccia ignobile, numeri alla mano la peggiore che abbia mai attraversato la storia della serie A: persino il terribile Ancona di Jardel un paio di partite riuscì a vincerle, mentre questi si fermano a una vittoria in 30 partite. Fresco di promozione, il pittoresco presidente Angelo Massimino si era presentato al gran ballo con due brasiliani di sicura presa e rendimento rivedibile: il fantasista Donizete Borges Luvanor, scapolo impenitente, grande fan di Julio Iglesias ed “erede di Zico” secondo la vulgata, e il terzino sinistro Pedro Luis Vicençote detto Pedrinho, che aveva persino fatto parte della rosa del magnifico Brasile 1982, pur senza mai giocare neanche un minuto. Costui ci aveva fatto gol all’andata.
A febbraio il Catania è già irrimediabilmente ultimo con 8 punti in 18 partite, mentre il Milan vivacchia al settimo posto, sufficientemente lontano dalla zona calda per non temere nuove sgradevoli imboscate dal Luciano Castellini di turno. Anche se siamo ancora in inverno c’è insomma già un clima da fine stagione, tuttavia ravvivato dal gol rossonero che arriva già dopo quattro minuti: lunga fuga sulla sinistra di Vinicio Verza, tocco per Damiani che appoggia furbamente all’indietro dov’è puntuale il sinistro di Gabriello Carotti (sì, sono anni in cui nel Milan gioca gente di nome Gabriello, Ottorino, Alberigo). Dopo un buco omerico di testa di Baresi, spreca una grande occasione il giovane Andrea Carnevale, non ancora il bomber che ci farà male parecchie volte negli anni a venire. Poi, al 38′, ecco l’inevitabile pareggino: cross di Luvanor, Cantarutti schiaccia di testa da due passi, Piotti respinge come può ed è facile per Bilardi appoggiare nella porta vuota, in posizione di ultra-fuorigioco. Il primo tempo riserva un altro paio di sussulti: prima il Bradipone Blissett impegna di sinistro Sorrentino (papà dell’attuale portiere del Chievo), poi Piotti è strepitoso su un destro di Cantarutti da pochi passi.
La partita entra nella piccola storia del nostro calcio in virtù di quel che accade a pochi minuti dalla fine, quando l’arbitro romano Benedetti – ancora un po’ pensieroso per il gol irregolare concesso al Catania – decide di apparare i conti negando inspiegabilmente una rete spettacolosa a Cantarutti, tignosissimo bomber di provincia dei primi anni ’80: palleggio stile Platini a Tokyo (ma prima di Platini a Tokyo) e sforbiciata definitiva sotto l’incrocio, con Piotti impotente. Niente, annullato! Grandi proteste ed ecco che compaiono due malvissuti tifosi locali che cercano di linciare il direttore di gara, trattenuti a stento da Claudio Ranieri, allora roccioso libero catanese, prima dell’intervento dei carabinieri. La scena fa indiscutibilmente sganasciare (la trovate nel video qui sotto) ed è l’elegante prologo di cinque minuti di allegra sassaiola, prima che il povero Benedetti fischi la fine al 40′ s.t. e si scapicolli con le due squadre negli spogliatoi. In tribuna è il caos. Il vicepresidente Gianni Rivera viene avvicinato da un robusto signore che lo aggredisce urlando: “Ci mandano sempre arbitri romani: questo è razzismo!“; quest’uomo si rivelerà essere il vicequestore di Catania, dall’ingannevole cognome di Sapienza. Seguirà un’ora di assedio, prima che le forze dell’ordine riportino la calma a colpi di lacrimogeni.
La signora Grazia Codiglione, moglie del presidente Massimino e fumantina tanto quanto il consorte, denuncerà addirittura Benedetti alla polizia, accusandolo di comportamento lesivo nei confronti del Catania. Con lui i quotidiani saranno spietati: “Benedetti ha confermato di non essere un arbitro da serie A. E’ una storia che si ripete da tanti anni, ma a quanto pare c’è qualcuno alla Camera che lo protegge“, scriverà Giorgio Gandolfi sulla Stampa. Intanto, privato del proprio stadio da quel permaloso del Giudice Sportivo, il civile pubblico etneo si trasferirà fino a fine torneo a Messina, dove un mese dopo troverà nuove occasioni per mettersi in mostra, come dimostra questa perla d’archivio, risalente a Catania-Avellino del successivo 11 marzo.
CATANIA: Sorrentino, Chinellato, Pedrinho, Torrisi, Mosti, Ranieri, Morra II, Luvanor, Cantarutti, Bilardi, Carnevale I (77′ Crialesi) – All.: GB Fabbri
MILAN: Piotti, Gerets, Spinosi, Tassotti, F. Galli, Baresi II, Damiani (66′ Incocciati), Carotti, Blissett, Verza, Evani – All.: Castagner
Arbitro: Benedetti
Reti: 4′ Carotti, 38′ Bilardi (C)