L’8 dicembre 1985 Silvio Berlusconi si tira giù dal letto molto presto – o, più presumibilmente, non va proprio a dormire. La notte è speciale: alle 4 del mattino, con diretta riservata ai soli abitanti in Lombardia, Canale 5 trasmette Juventus-Argentinos Juniors, finale di Coppa Intercontinentale. La prima disputata da una squadra italiana da quando il torneo s’è trasferito in Giappone, la prima non trasmessa sulla RAI. Telecronaca di Giuseppe Albertini, storico commentatore della tv svizzera italiana, insieme a Roberto Bettega. E’ una partita leggendaria che passa alla storia per un sacco di cose, dal gol di Miki Laudrup quasi dalla linea di fondo alla reazione finto-annoiata di Platini dopo che gli hanno appena annullato il gol più bello della carriera. Non è dato sapere se Berlusconi la stia seguendo in pigiama da casa oppure si trovi a Cologno Monzese in giacca e cravatta, ma sappiamo per certo che la sua attenzione si concentra sul numero 9 argentino. Claudio Daniel Borghi si chiama, per tutti el Bichi (soprannome che, semplicemente, non vuol dire niente), ed è un tartarugone che dimostra una saggezza palla al piede insospettabile per i suoi 21 anni. La prima cosa che si capisce di lui è che il numero 9 è una falsa pista, perché Borghi in porta ci tira pochissimo, ma in compenso è architetto e penultimo esecutore di tutte le azioni dei suoi. La Juve vince ai rigori, ma il giorno dopo il Bichi viene gratificato di voti lusinghieri da tutti i giornali: per la Stampa vale 7,5, secondo migliore in campo dopo il compagno di squadra Batista. Platini gli rende l’onore delle armi, e che onore: “E’ il Picasso del calcio“, dice, facendo intuire una conoscenza dell’arte moderna un po’ approssimativa.
E’ persino normale che Berlusconi, l’uomo dei sogni, pensi a lui fin dal primo istante da presidente del Milan e infatti dopo due mesi l’ha già acquistato, per poco più di tre miliardi. Il piano è parcheggiarlo in prestito a una neopromossa, svezzarlo con le rudezze del calcio di provincia e poi costruirgli intorno il nuovo Milan. Ad attrarre Silvio, probabilmente, anche le differenze radicali: mormone convinto, banditi fumo, alcol e sesso pre-matrimoniale, Borghi intanto vince il Mondiale 1986 pur da comprimario, relegato a sole due presenze da titolare (una contro l’Italia, non indimenticabile) da un problema psicologico chiamato Diego Armando. Lui ci rimane male e declina un anno in prestito ad Ascoli, preferendo rimanere a Buenos Aires: “Non mi sento ancora pronto per l’Italia“. La testa però si mette già in viaggio, tanto che a metà stagione l’Argentinos lo mette fuori rosa per scarso impegno. I contatti con Berlusconi sono frequentissimi: sbolognati gli indesiderati inglesi Hateley e Wilkins, retaggio di un’era-Liedholm che vuole cancellare, Silvio lo chiama di continuo e lo pungola nell’orgoglio per farlo diventare l’anti-Maradona, mentre quello vero sta trascinando il Napoli al primo scudetto della sua storia. Ma Van Basten è già arrivato, Gullit lo segue a ruota e i posti per gli stranieri per ora sono solo due: Borghi stavolta il biglietto per l’Italia lo fa, deviando leggermente in direzione Como, prestito annuale. Ad ogni modo, la strada è tracciata: dopo polemiche lunghe e noiosissime, a fine febbraio 1988 il Consiglio Federale darà finalmente il via libera al tanto atteso “terzo straniero”, che consentirà ai club più danarosi di affilare le fauci da pescecani per rituffarsi sul mercato estero, che tanto tutti vogliono venire in Italia. Il Milan, con grandissimo anticipo, è già a posto: Gullit, Van Basten, Borghi.
Franklin Rijkaard si sta intanto costruendo una solidissima fama da Toninho Cerezo europeo. Originario del Suriname come il suo amico Gullit, sfiora il metro e 90 ed è un portentoso frangiflutti di centrocampo, dotato inoltre di ottima tecnica e pulizia di lancio. Lanciato nell’Ajax da Leo Beenhakker, ne è una delle colonne nell’autunno 1986, quando viene invitato a casa del presidente del PSV Eindhoven Jacques Ruts, che gli sottopone un bel contrattino di 4 anni. C’è la firma, l’affare è fatto: per sigillarlo, Ruts gli regala anche 30 mila dollari e uno stereo Philips. Ma gli olandesi sono tipi volubili: passano pochi mesi e, clamorosamente, Rijkaard prolunga con l’Ajax per altri due anni! Già piuttosto stressati per il degenerare della trattativa Gullit (vedi capitolo precedente), i signori della Philips gli fanno causa per mancato rispetto di un precedente contratto.
Torniamo a Milano, via Turati. E’ la fase storica in cui il Cavaliere ritiene di essere economicamente onnipotente, specialmente in un ambiente come il calcio, in cui molte società si trovano imbarazzate o spiazzate di fronte alla sua furia spregiudicata. Via! Attraverso il solito Apollonius, vero signore (si fa per dire) del mercato olandese, strappiamo a Rijkaard una cosiddetta “opzione” di acquisto, valida fino al 1° gennaio. Se vi siete comprensibilmente persi, ricapitoliamo: nell’estate 1987 Rijkaard ha firmato un contratto con il PSV, uno con l’Ajax e il suo agente l’ha promesso al Milan per la stagione 1988-89. Al confronto, Jackson Martinez è un angelo cherubino.
Nell’estate 1987 torna in scena il Mundialito, appuntamento targato Fininvest che porta – in quelle torride estati anni ’80 – i Grandi del calcio mondiale a sfidarsi in un torneino estivo a San Siro disputato a ritmi da Settimana Enigmistica. E’ prassi che il Milan padrone di casa sfrutti l’occasione per fare esperimenti e visionare futuri acquisti: nel 1981, per dire, qualche fortunatissimo aveva addirittura potuto ammirare Johan Cruijff in maglia rossonera. Siccome Rijkaard – ve ne sarete accorti – è assai sensibile al grano, gli offriamo 50 milioni per giocare le quattro partite del Mundialito, in una squadra ancora allenata da Fabio Capello. E proprio Cruijff, diventato allenatore dell’Ajax, fa una testa così al buon Franchino: “Non puoi andare, tra due settimane iniziamo la preparazione estiva all’Ajax“. Rijkaard ovviamente va, e Capello lo fa giocare libero da orpelli, in partite balneari in cui si fa comunque apprezzare per personalità. Ma Frank ama evidentemente le uscite a sorpresa: dopo due partite – a dané già intascati – pianta tutti e se ne torna in Olanda!! Chi dice perché la squadra è gelosa dei suoi privilegi, chi perché Cruijff s’è spazientito, chi perché deve presentarsi davanti a un giudice per risolvere la grana PSV-Ajax. Grana che si risolve poco tempo dopo, col PSV che molla l’osso e paga una buonuscita “di scuse” all’Ajax. Ma, a proposito, chi è il migliore in campo di quel Mundialito? Ma proprio Claudio Borghi, che gioca quattro partite da titolare con la sua solita numero 9 e segna anche un gol, al Porto, aiutandoci a vincere il fondamentale trofeo. D’altra parte, racconterà, Berlusconi gliel’ha promesso: “Se giochi bene al Mundialito, ti teniamo“.
Siamo nel settembre 1987 e Rijkaard – nonostante gli 86 contratti firmati – è ancora un giocatore dell’Ajax. Ancora per poco: durante una seduta d’allenamento abbandona improvvisamente il campo, litigando platealmente con Johan Cruijff: “Vaffanculo, stai sempre a lamentarti. Non voglio più giocare per te“. Ovviamente gli olandesi hanno mangiato la foglia e han capito che si è fatto avanti qualcun altro. Il PSV? Il Milan? No!!! Perché Rijkaard nel frattempo viene contattato dal brasiliano Juan Figer, un Nelio Lucas anni ’80 che sembra uscito da un film di Francis Ford Coppola. (Ora capite, vero, perché Mino Raiola è un prodotto squisitamente olandese?) Figer è un agente molto attivo sul mercato portoghese ed è anche ottimo amico di Jorge Gonçalves, uno spedizioniere doganale di Lisbona dai baffi leggendari che s’è messo in testa di diventare il presidente dello Sporting. In attesa delle elezioni di giugno inizia a lavorare sotto traccia per comprare Rijkaard, e in effetti lo compra davvero, con l’aiuto fondamentale di una multinazionale che si fa carico del denaro da versare all’Ajax: la trattativa già partita in autunno, con tanto di visita ufficiale in Portogallo del calciatore, arriva al traguardo l’11 febbraio, quando però è troppo tardi per poterlo impiegare in Coppa delle Coppe (dove lo Sporting è ai quarti). Non finisce qui! La Federazione portoghese inizia a investigare sull’operazione e, nel frattempo, vieta allo Sporting di farlo giocare. Nuovo giro di rumba: Rijkaard viene girato in prestito al Saragozza per tre mesi. Poco male, pensa Gonçalves: a fine stagione Rijkaard sarà ancora più utile, quando potrà spacciarlo come regalo elettorale ai tifosi.
Vi siete persi qualcosa? Sì! L’opzione del Milan che scadeva il 1° gennaio. In effetti Berlusconi è ancora innamorato del suo argentino triste, che tanti anni dopo farà luce sulle continue telefonate che riceveva mentre guardava malinconico il Resegone dalla finestra del suo appartamento. Il problema è che Borghi si è dissolto nelle nebbie del lago di Como. Non lo aiuta il fatto di essere allenato da Aldo Agroppi, ok, ma se all’esordio casalingo al Sinigaglia – peraltro contro l’Inter – già cominci con le rabone, non avrai lunga vita nel mefitico mondo della colonna destra della classifica di serie A. Prima Agroppi e poi Burgnich lo bocciano, notandone il lassismo, la tendenza a non spostarsi mai dal suo sacro metro quadro di campo, lo scarso feeling coi compagni: molto meglio Egidio Notaristefano, che al maggior dinamismo unisce anche il nome manzoniano tipico del luogo. Nelle sue lunghe interurbane, il Cavaliere lo incoraggia, lo blandisce e in buona sostanza lo illude, perché già sa che il primo nemico del Bichi è l’uomo più testardo del mondo: Arrigo Sacchi.
Sì, ok, molto romantico, ma l’opzione che scadeva il 1° gennaio? Breve flashback, perché sarete d’accordo con noi che la situazione non era semplicissima: in quanto detentori di una semplice opzione, dovevamo ancora discutere prezzo d’acquisto e stipendio. In attesa di capirci di più, il Milan ha chiesto di prorogare la deadline fino al 31 gennaio, facendo intendere che la prima scelta per l’estate rimane Borghi. Tanto che il 10 gennaio Berlusconi sta per cedere l’opzione ad Agnelli, ma quello gli risponde che la Juve sta puntando su Francescoli o Schuster (non prenderà nessuno dei due, hahaha). Passa il 31 gennaio, niente. Scende in campo l’irriducibile Apollonius, che a opzione scaduta prova a offrirlo alla Sampdoria, che però evita saggiamente di infilarsi in un tale ginepraio, dicendosi interessata a Bosman e Vervoort (non prenderanno neanche loro). Niente da fare, perciò Rijkaard firma con lo Sporting.
Il pateracchio si placa per un paio di mesi. Mesi in cui a Saragozza Rijkaard ovviamente non gioca, perché frenato da un infortunio, mentre Berlusconi e Sacchi bisticciano segretamente sull’identità del “terzo straniero”. Silvio cerca di rabbonire il suo scalciante allenatore: Sacchi chiede Rijkaard, lui manda osservatori a Madrid a seguire Ronald Koeman, impegnato in coppa col PSV. Arrigo obietta che non è proprio la stessa cosa, e non vuol sentire ragioni. L’incerottato Ancelotti non gli dà abbastanza garanzie fisiche, Angelino Colombo è un bravo fioeu ma per assaltare l’Europa serve di più: serve Rijkaard. Berlusconi, ben poco abituato a sentirsi contraddire, gli dà sulla voce: “Tutti mi invitano a tenerlo. Altrimenti compro la Lazio, faccio giocare Borghi e batto il suo Milan” (ma tutti chi?? Dannatissimo Silvio). La decisione viene presa ad Arcore durante una cena campale alla quale partecipano tutti, consiglieri, magazzinieri, massaggiatori: si va su Rijkaard. A inizio maggio il Milan ricontatta lo Sporting, stavolta finalmente determinato a passare sopra col carrarmato su accordi, preaccordi, precontratti, la rava e la fava: approfittando dell’empasse che regna ancora a Lisbona, mette 5,8 miliardi sul piatto dell’Ajax e qualche altro soldino (chissà poi quanti, non si è realmente mai saputo) su quello dello Sporting, che si sta rendendo conto di averla fatta sporca. Il 27 maggio 1988 Gonçalves firma a Lisbona il contratto di cessione di Rijkaard al Milan, davanti a Galliani, Braida e all’avvocato Berruti. Una settimana dopo, in Olanda, Rijkaard firma un triennale.
Il 17 maggio, due giorni dopo aver festeggiato lo scudetto proprio a Como, giochiamo un’amichevole a Old Trafford contro il Manchester United di un giovane Alex Ferguson. Riaggregatosi al Milan, Borghi sa già che il suo destino è segnato: un ennesimo prestito, non più in Italia dove ormai ha fama di scansafatiche. Da un lago all’altro, andrà a svernare in Svizzera, al Neuchatel Xamax, prima di fare mesto ritorno in Sudamerica. Ma quella sera è titolare e segna una doppietta. Due sere dopo, San Siro festeggia i campioni dell’undicesimo scudetto sotto la pioggia, contro il Real Madrid – anticipo di deliziose serate primaverili che verranno. Partito dalla panchina, Borghi entra e pareggia con un destro rabbioso sotto la traversa, accolto dal boato dello stadio e in tribuna dal sorriso malinconico di un Berlusconi in trench. Sta certamente pensando di avere ragione lui, mentre vede Borghi voltarsi e ricevere l’applauso della curva. Sulla schiena ha il numero 18, e le due cifre sommate fanno 9. Niente da fare: anche da riserva, è condannato a passare per il centravanti che non può essere e non è mai stato.
Borghi saluta definitivamente in estate: quelle saranno le sue ultime due partite in rossonero. Gli spifferi di Milanello raccontano di una battuta di leggendaria incoscienza mormorata in faccia a Sacchi: “A che serve allenarsi e fare 5 chilometri di corsa se il campo è lungo solo 100 metri?“. Quattro giorni dopo aver vinto l’Europeo, unico trofeo della storia della Nazionale olandese, Rijkaard si presenta invece a Milanello molto, molto più saggio, e soprattutto preparatissimo: “Gullit mi ha avvertito di stare attento passando davanti alla foto di Rivera con la coppa dei Campioni. Nessun problema, lo conosco bene. Ero un bambino di 7 anni quando vidi in tv il suo Milan battere a Madrid il mio Ajax“. Anche per queste cose, c’è più di qualcuno disposto a confessarvi – ovviamente sottovoce – che era lui il più forte dei tre tulipani.
C’è pure l’aneddoto di Braida, che si mise il contratto appena firmato nelle mutande…