Giorni da Milan Extra: 23 maggio 1999

(Tra i Giorni da Milan che ci avete mandato, è il turno di Giacomo Capelli, inconsapevole giallista. Anche se fin dall’inizio sapevamo che c’era il lieto fine, il suo racconto ci ha messo un’ansia inaudita. Abbiati lo ha davvero preso, quel tiro di Bucchi?)

23 maggio 1999. Una briciola fa una parata

Non è facile identificare un solo giorno da Milan, ancora più difficile parlare di uno non trattato in Giorni da Milan.
Come molti avrei voluto scrivere del 28 maggio 2003. Ogni anno ripubblico una mia foto allo stadio con citazione di Febbre a 90 di Nick Hornby, che ha magistralmente spiegato come  un momento sportivo possa essere il più bello della propria vita.
Ero a Manchester, e la storia bella è che stavo lavorando alla piscina della Pinetina per un parente che ci aveva pure trovato i biglietti per il derby della semifinale di ritorno. Appena rientrati in Italia – dopo una notte infinita a cantare Forza lotta vincerai ogni volta che entrava nell’aeroporto un gruppo di tifosi – con mio fratello siamo andati diretti a lavorare con la maglia del Milan ad Appiano. Non ci hanno mai più fatto lavorare, vai a sapere perché.
Sono nato nel giugno 1982, pochi giorni dopo l’unica retrocessione sul campo della storia del Milan, perciò ho avuto la fortuna di essere milanista in un’epoca felice.
I ricordi più vivi visti allo stadio? Il primo anno di Kakà, semplicemente sublime. Ronaldo Il Fenomeno con l’Empoli, unica volta in cui ho quasi invidiato i cugini di averlo visto nel suo prime. Effetto Serra Seedorf nel derby della rimonta, Sheva con il Lione nel 2006. L’epoca ancelottiana è stato un viaggio bellissimo, e se penso che quasi ci lamentavamo dell’indolenza di Seedorf e Pirlo in alcune domeniche pomeriggio con le piccole, credo che ci meritiamo almeno un po’ il Milan di oggi.
Erano anni in cui pensavamo di poter vincere sempre. Non è sempre stato così, per questo il mio Giorno da Milan è il 23 maggio 1999, il giorno di Perugia e dello scudetto di Zaccheroni.

Ero già stato abbonato bambino nei primi due anni di Capello, e dopo qualche anno lontano dallo stadio con mio padre e mio fratello decidiamo di abbonarci di nuovo nel 1998. L’ho sempre considerato il mio scudetto preferito. Per le premesse, dopo due anni così. Per la Fiorentina in casa, il 4 a 0 a Parma. Per tutto l’anno abbiamo avuto l’impressione di essere davanti un po’ per caso. Bierhoff che segna solo di testa, Guly che per crossare deve sempre rientrare sul destro, e poi Helveg, Morfeo, N’Gotty, Sala, tutti giocatori che hanno avuto i momenti migliori nel Milan in quella stagione e poi poco, o niente di più. E poi le parate assurde di Abbiati, in particolare me ne ricordo una con la Salernitana penso su Fresi. Quante partite abbiamo vinto nei minuti finali, spesso grazie alle riserve di lusso: Leonardo e Ganz.
I gol di Ganz avevano la caratteristica di essere tutti decisivi: quello con la Samp lo ricordiamo tutti, poi quello col Parma dopo aver anticipato Buffon con Cannavaro che rinviene e lui sembra che cada da un momento all’altro. Ricordo i tuffi nelle pozzanghere fuori lo stadio dopo l’Empoli e la notizia del pareggio della Lazio a Firenze, la vittoria con la Lazio a San Siro con Leonardo alla fine, si moriva di freddo e raramente ho festeggiato tanto un gol in campionato.

Il giorno di Perugia-Milan invece ero a studiare a casa di un amico; facevo il classico, non ero un fenomeno e a fine anno bisognava recuperare. Ovviamente radio accesa. Dopo il 2-1 di Nakata non ce l’ho fatta: mi sono fatto venire a prendere da mio padre. Il secondo tempo lo abbiamo ascoltato alla radio girando in macchina, fino al miracolo di Abbiati su Bucchi. Dopo quello ci siamo guardati, abbiamo spento la radio e abbiamo continuato a girare per la città deserta.

Piccola parentesi: sono di Piacenza, dopo la partita con la Reggiana del ’94 non eravamo proprio ben visti in città. Ai tempi della finale con la Steaua nel 1989 mi ricordo caroselli in centro, ma poi solo prese in giro a scuola per le sconfitte, per la rovesciata di Luiso dopo una doppietta di Dugarry. Ancora oggi mi capita di parlare di quegli anni con tifosi piacentini (che poi per la maggior parte i miei concittadini sono juventini e interisti). Anche loro concordano che le porcherie sono state altre nel 1994, io ricordo loro la caduta di stile del Piacenza che non aveva voluto posticipare la partita di coppa Italia pochi giorni dopo l’Intercontinentale persa col San Paolo, giocata al posto dell’Olimpique Marsiglia, e ci avevano eliminati. Abitavo vicino allo stadio, e quando si giocava Piacenza-Milan andavo a piedi nel settore ospiti, e mi ricordo anche qualche carica degli ultrà piacentini all’uscita. Quell’anno al pareggio di Ganz (semper lu) al 92esimo, se per caso ci fosse stato qualche conoscente nei settori vicini alla curva mi avrebbe tolto certamente il saluto per quello che ho gridato contro i piacentini.

Quel 23 maggio invece abbiamo riacceso la radio giusto in tempo per sentire la fine della partita, ci siamo fermati e siamo scesi giusto il tempo per un abbraccio. Poi siamo risaliti sull’auto, e prima di tornare a casa a brindare ci siamo fatti il nostro personale carosello solitario per la città per lo scudetto più insperato, quello che ancora oggi sento più mio.

(Giacomo Capelli)

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