Rise Above. Cap. XI – Milan-Chievo

5 marzo 2017

Un tempo andare allo stadio era un passatempo tutto sommato semplice. Ti trovavi al baretto, bevevi delle birre, salivi in curva, facevi un minuto di gesti a quelli dall’altra parte, se andava bene ci stava anche un po’ di cinema fuori. Insomma, nulla di dialetticamente complesso. milanchievo tweet curvaIl tutto moltiplicato al cubo quando andavi in trasferta, dove molti si presentavano semplicemente impossibilitati a proferire parola dopo una notte spesa chissà dove (e qua mi piace ricordare il mio amico Maury, che arrivava da qualche avamposto nella provincia di Bergamo. Una volta io e il fido Colo siamo andati con lui a vedere un Lazzie-Milan di fine anni 90. Il ritrovo credo fosse alle prime ore del mattino in Garibaldi. Noi assonnati, lui, catapultato con una carrucola dal NumberOne alla stazione, era letteralmente piallato dalle paste. Entra nel vagone, cerca il posto, prima di accasciarsi piazza in alto sul cubo del freno un tocco di fumo grosso come un pugno. Una cosa mai vista. “Così se entrano a perquisirmi non possono dire che è mio ahah”, ride. E sviene fino a Orte. Per la cronaca abbiamo perso 3-0).

Insomma, lo stadio si presuppone che sia democratico. Che tu abbia le medie, un dottorato ad Harvard o al massimo possa contare come risorsa intellettuale solo sui pollici opponibili, puoi dire la tua sul 4-4-2 in alternativa al 4-3-3, sugli esterni larghi o sulla maledizione del corner corto. Questo finché non è iniziato lo psicodramma del closing. berlusconi 1986Di colpo ho visto gente che di solito emette suoni gutturali all’indirizzo dei tifosi ospiti al terzo anello mentre sta mimando scene di coprofilia, discettare di due diligence, advisor ed equity come se fosse pappa e ciccia con Gordon Gekko di Wall Street. Come no. Per dire, ho presente conversazioni del tipo: ‘ma l’anno che abbiamo beccato fuori dal settore a Bologna Gianni Morandi era quando ha segnato Brunone Ngotty all’ultimo?’ ‘Ma va quello era quando i tipi che ci facevano i gesti in motorino si sono schiantati contro la macchina della polizia parcheggiata’ (tutte cose verissime per altro) ‘Quello è successo a Parma’ ‘Sei sicuro?’ ‘No. Un’altra birra?’. Bene, dialoghi del genere si sono trasformate in profonde riflessioni di finanza strutturata che spaziano fra fondi offshore, rientri di capitali, blocchi governativi cinesi, finanziatori mascherati, investitori occulti, cordate trilaterali, business plan, ricchi premi e cotillon.

In realtà allo stato attuale mi sembrano evidenti due cose. 1) Giusto per essere prosaici, ora come ora, chi rimane con le pezze al culo, tanto per cambiare, siamo sempre noi, che come degli stronzi – cadesse anche il mondo – ci presentiamo allo stadio precisi come l’orologio a cucù di un bordello di Lugano 2) …Silvione. Settimana scorsa mi sono esibito un coccodrillo che quasi ha commosso pure me: “Grazie e grazie ancora”. Morale: Silvione sei ancora lì. Imperturbabile come la Sfinge. Imperscrutabile come l’oracolo di Delfi. Ci sei, ci fai, sono soldi tuoi, dei cinesi, del Monopoli, chi lo sa. Io no. E tu? Ma non dovevamo vederci più?

Anche di Carletto Bacca ad una certa si rischiava di perdere le tracce. Sarà per questo che sabato sera ha fatto e disfatto tutto lui, che a momenti si portava pure il pallone via come quando la mamma dalla finestra ti chiama per dirti che è pronto in tavola. lapabaccaPronti partenza, la mette, getta al vento un mega contropiede, sbaglia il rigore che poteva farci tornare nello spogliatoio comodi comodi in vantaggio. San Siro si stizzisce ma incassa con classe, senza nemmeno sibilare un fischio, com’è giusto che sia. Ci sarebbero tutti gli elementi del dramma, invece nel cuore del Secondo Tempo Carlito la devia di giustezza su un colpo di testa di Romagnoli e si inginocchia a recitare ‘Gesù d’amore acceso’ nel dialetto di Medellin. Ci accendiamo anche noi quando un nanosecondo dopo ne sbaglia un’altra ancora più grossa, ma del resto lui è così, prendere o lasciare.

Noi a dir la verità lasceremmo pure. Se arrivassero figli prodighi milanisti per nascita o formazione come il Gallo Belotti o Pierre Aubameyang, ma finché nessuno tira fuori la fresca, il convento passa questo o al massimo Gionni Lapadula, che ha buona creanza di buttare dentro (non senza una certa difficoltà) la palla che ci regala la sicurezza dei tre punti. Anzi, cara grazia che praticamente con dei Ticket Restaurant ci siamo portati a casa quell’iradiddio di Deulofeu, che posso spiegarmi facesse panca fissa al’Everton (settimo in Premier) solo immaginando che si sia scopato in un Motel della Paullese la figlia dell’allenatore, perdonerete il francese.cacciatore

Insomma, alla fine stiamo lì. Attaccati mani e piedi all’ultimo vagone del treno Interrail dell’Europa. Tanto lo sappiamo, la partita vera si gioca su altri campi, e ormai siamo destinati ad affrontarla con la stessa positività che aveva Ciccio De Niro quando ne Il cacciatore durante la Roulette Russa si puntava un revolver alla testa. Prima o poi la pallottola giusta arriverà. Bene direi, ma non benissimo.

 

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