Amos, eroe del curling alle Olimpiadi: «E qualcuno pensava lanciassi le pentole»
«Ah, quindi tu fai quello sport dove si lanciano le pentole a pressione». Ogni volta che in vita sua se lo è sentito ripetere, Amos Mosaner ha alzato gli occhi al cielo in segno di sconforto: per lui, nato e cresciuto sul ghiaccio, il curling è sempre stato il passatempo più normale del mondo. Forse, proprio perché stanco di dover spiegare la differenza che c’è tra una padella e una pietra di granito, il campione trentino si è inventato uno spettacolare tiro che ha spedito la nazionale azzurra per la prima volta all’Olimpiade (a Torino 2006 c’era in qualità di paese ospitante, ndr). «Qualcuno mi invitava a casa per spazzare», ci rivela ridendo. «Visto che sono abituato a usare le scope».
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Quindi la sua è una rivincita?
«Assolutamente no, lo scherzo ci sta. Poi capisco che in Italia questo sport sia ancora poco conosciuto, se vai in Paesi come il Canada lo praticano in tantissimi».
Lei come lo ha scoperto?«A Cembra, il mio paesino in provincia di Trento, ci sono due campi dove mio papà mi portava da bambino. Lui era un giocatore, io già a 4 anni facevo i primi tentativi».
Ha un ricordo particolare dei suoi inizi?
«A 8 anni alcuni ragazzi della squadra maschile venivano sorteggiati per fare il campionato con le ragazze, una formazione mista. Io ero piccolo, non volevo andarci, ma sbagliavo».
Si è pentito per qualche motivo particolare?
«Sì, loro vinsero il torneo e noi arrivammo terzi (ride, ndr)».
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Quindi tra uomini e donne nel curling non ci sono grosse differenze?«Le squadre miste ci sono fino a 14 anni, poi dagli juniores vengono fatte due categorie separate perché, anche se non sembra, in questo sport c’è molta fisicità».
La cosa più faticosa?«Per spazzare la superficie di ghiaccio, ad esempio, servono frequenza e pressione. Se sei bravo riesci ad allungare la traiettoria anche di due metri».
C'è una discreta somiglianza con le bocce.
«Diciamo che cambia tecnica e attrezzatura, ma lo scopo è lo stesso: noi non dobbiamo avvicinarci al boccino ma al «button», che è fisso al centro della «casa» composta da tre cerchi concentrici».
Molti lo paragonano anche agli scacchi. Lei ci sa giocare?
«Sì, ogni tanto faccio qualche partita come allenamento. Lì, come nel curling, devi agire pensando già alla mossa successiva che potrà fare il tuo avversario».
La giornata tipo di un giocatore di curling?
«Io mi alleno sei o sette ore al giorno, di cui almeno quattro sul ghiaccio. La mattina mi concentro sulla tecnica, nel pomeriggio palestra e in serata di nuovo in campo con tutti gli altri».
Le altre sessioni le fa da solo?«Io e altri due miei compagni siamo stati presi da fine giugno nel gruppo sportivo dell’aeronautica militare. Ora ci dedichiamo solo al curling insieme al nostro coach svedese».
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Prima che faceva? Lavorava?«Sì, in un’azienda vitivinicola e pure io mi allenavo solo la sera».
Sa che il futuro di questo sport dipenderà molto anche da voi.
«E’ una responsabilità che non ci spaventa. Andiamo in Corea per giocarci una medaglia, non per passare il tempo. Poi speriamo che in Italia aprano più strutture per il curling: questo deve essere un punto di partenza».
La qualificazione è arrivata anche grazie a quel suo ultimo tiro, ce lo racconta?«Devo essere sincero, appena ho mollato la stone pensavo di averlo leggermente sbagliato. Invece per fortuna è andata bene e poi è esplosa la gioia».
Dica la verità, era un tiro davvero difficile?
«A me la doppia sbocciata piace, non era né semplice né così complicato. Però la stone, che a cose normali pesa quasi 20 chili, per quello che c'era in palio mi sembrava ne pesasse 100».
Altro che pentole!
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