(di Adriano Marconetto)
Lo sappiamo tutti, sono tempi grami. Da parecchio tempo è in corso ormai una vera e propria guerra civile tra milanisti che si acuisce di giorno in giorno con livelli di acredine e violenza verbale che non hanno precedenti nella storia del nostro club.
Chi ne paga le maggiori conseguenze mi pare siano i gestori delle pagine rossonere sui vari social, tacciate di aziendalismo, o Maldinismo, o cerchiobottismo a secondo della linea editoriale o anche solo di un post, o addirittura di una frase.
COME USCIRNE?
Guardando in faccia la realtà. Che non ci piace:
1) non piace ai Maldinisti,
2) non piace agli aziendalisti, e
3) non piace nemmeno ai cerchiobottisti.
E a ben guardare, questo è probabilmente l’unico punto in comune oggi come oggi tra le tre fazioni.
È una realtà che non ci piace, ma purtroppo non ne abbiamo una diversa. Ed è una realtà semplice: RedBird non è qui per fare i nostri interessi che sono quelli di vincere e convincere, o vincere convincendo, o almeno vincere.
No.
RedBird è qui per fare gli interessi suoi, che poi sono quelli dei suoi investitori, soggetti che decidono di mettere quattrini in un fondo di private equity per avere ritorni significativamente più alti rispetto ad un semplice investimento al Nasdaq o nei titoli di stato. E chi, come Gerry Cardinale, lavora per generare quei ritorni ha davanti a sé una scelta obbligata: focus sulla creazione di valore nel giro di qualche anno per rivendere ad almeno il doppio del valore di acquisto. Da qui non si scappa.
Di conseguenza: società gestita con un foglio Excel, conti in ordine, stadio, squadra abbastanza competitiva ma non troppo. Quindi squadra non vincente: le vittorie chiedono nuovi e forti investimenti che non sarebbero strategici rispetto all’obiettivo di cui sopra.
Il management, dunque, non deve costruire una squadra per vincere. Una squadra da Champions va più che bene, anzi va meglio: chi un giorno la acquisterà avrà ancora spazio per crescere e migliorare e dunque la acquisterà più volentieri. In fondo, se tu compri un ristorante sempre pieno a pranzo e cena e con scontrini medi alti lo paghi caro e sarà difficile fare ancor meglio per giustificare il prezzo di acquisto.
IL COSIDDETTO MILANISMO
La realtà è questa ed è una realtà che esclude il milanismo, inutile se non dannoso al raggiungimento dell’obiettivo. Il management è premiato se fa bene (conti in ordine, stadio) ma non benissimo (squadra in CL, non titoli). Il che porta RedBird a dotarsi di un management capace di non farsi trascinare dalle ambizioni ma solo di seguire la strada tracciata. Per noi tifosi questa cosa può essere assurda ma se fossimo soci e investitori di RedBird ci farebbe felici e contenti.
In tutto questo dire che la squadra è costruita male, che sarebbero serviti tre giocatori top per reparto in luogo di una dozzina di medi (o mediocri), di un management di incapaci a gestire i giocatori, a scegliere l’allenatore, a giocare un ruolo apicale nella politica e nelle relazioni del calcio è qualcosa che scalda il cuore e alza la pressione sanguigna. Ma non serve a nulla.
Sono solo opinioni dei tifosi, che non contano nulla nel raggiungimento dell’obiettivo di RedBird.
E sostenere che chi critica il management di oggi è in cattiva fede perché non si ricorda degli anni bui dell’ultimo #Berlusconi e del cinese, che bisogna fare i conti alla fine, che conta la maglia, che tutti passano ma il nostro Milan resta, che abbiamo una società sana e una buona squadra e sì, magari l’allenatore non è il top ma lasciamolo lavorare, e basta polemiche sul nulla del #coolingbreak e su #Ibrahimovic in vacanza, che Maldini di errori ne ha commessi anche lui e più d’uno e insomma non si risolvono i problemi picchiandoci tra di noi ma sostenendo la squadra con lo stadio pieno e DAZN sulla carta di credito e il merchandising sul petto, sostenere tutto questo è altrettanto lecito ma altrettanto futile, dal momento che è irrilevante nell’esecuzione del piano che deve portare all’obiettivo di RedBird.
COSA POSSIAMO FARE, NOI?
Ah, direi: nulla. Oppure quel che ci pare. Tanto, nulla conta. Forse Urbano #Cairo ha mosso anche solo una palpebra di fronte ai 10 mila tifosi in piazza a contestarlo?
Ho avuto la fortuna di vedere il Milan vincere la sua seconda Coppa dei Campioni (fu nei giorni precedenti quella finale che diventai milanista contro compagni di scuola che abbinavano strisce nere ad altre bianche o azzurre), l’immensa fortuna del ventennio di Silvio, in mezzo lo scudetto della stella e l’ultimo, da impazzire di gioia. In mezzo tutti i momenti bui.
LA MIA OPINIONE?
Non conta nulla. Certo, disprezzo questa proprietà e questo management e stapperò champagne quando se ne andranno. Ma, come molti di voi, non ho abbastanza soldi per rilevare il Milan da RedBird e dunque Gerry Cardinale delle mie opinioni se ne infischia giustamente. Delle mie e di quelli che lo sostengono, sebbene sostenitori non felici di come stanno andando le cose in questo periodo, ma comunque felici di tifare per un club sano e solido, e che prende Abraham e non più Origi.
Sono tutte storie quando si dice: il Milan è nostro.
Non è vero.
È di chi ci mette i soldi.
Noi siamo solo spettatori più o meno contenti, più o meno paganti. Siamo i tifosi, la componente più stupida dell’industria del calcio, perché irrazionale. Gioiamo, piangiamo, festeggiamo, ci arrabbiamo, litighiamo. I fondi di private equity non fanno nulla di tutto questo. Un fondo di private equity non ha cuore, deve solo generare denaro, tanto e in fretta.
VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE
Credo che sarà lunga e lo spettacolo poco divertente. Ma lo è solo se ci si illude di prospettive diverse, se ci si ostina a pensare che il Milan è il Milan e deve essere costruito per vincere e convincere. Chi ha capito, o accettato, che va bene così perché così è meglio di quando stavamo per fallire vive la situazione in tutt’altro modo, e posta le formazioni del Milan pre-Elliot a mo’ di ricordo e monito. Infine, quelli che pensano che i conti vanno fatti alla fine si abbonano e tifano come se niente fosse: alla fine di una stagione ce n’è subito un’altra e la vera fine per fare i conti non arriva mai. Vorrei tanto essere uno di loro.