E mi viene da pensare

Quello che mi urta è che non è stato premiato quel pensiero realistico, quel minuto di consapevolezza del futuro che mi colse in un minuto in cui solo valeva la pena di starsene comodi e sognanti nel presente. Data 31 maggio 2003, nella luce infinita da serata di fine primavera, San Siro impacchettato dalla nostra gente e ondeggiato da non so quante bandiere. C’era da alzare una Coppa, quella chiamata Italia, e subito dopo c’era da rialzare quell’altra, enorme, stupenda, presa tre giorni prima a Old Trafford. Dove ero presente e non capivo più nulla causa gioia derivante da amore per una squadra di calcio.

Ecco, quella sera della Roma e della Coppa Italia mi suonava nella testa La Sera dei Miracoli di Lucio Dalla quando dice che è una sera da passare in centomila in uno stadio, così bella e profonda che lo dice anche la radio. Ero così grato al mio Milan da realizzare, proprio nello zenith, che in età ancora da odierno precario del lavoro, avevo avuto tutto. Le finali, le vittorie, le coppe, gli scudetti, e da ragazzino le cadute, le sofferenze, la speranza, sempre. E poi gli idoli, i campioni. Le emozioni. E in pieno giulebbe, mi estraniai per qualche attimo e pensai che, per quanto mi riguardava, poteva anche finire lì. Che c’era gente con medesima passione e diversi colori che non avrebbe avuto il mio vissuto in un secolo, o più. Pensai che al Milan, in termini di trionfi, titoli, palmares, potevo anche non chiedere più nulla. E che anche solo di due cose, da lì in poi, mi sarei accontentato: vedere giocare bene a calcio, e delle emozioni che sempre, al di là del risultato, da ciò sarebbero sgorgate.
Se poi ci scappava lo scudettino ogni tanto, nessuno si sarebbe inquietato.

Quindici anni e mezzo dopo ho certificato la nemesi nel corso di un pranzo mogliefigliosuocera del giorno consacrato alla Festa: ho realizzato che stavo vivendo la negazione assoluta, totale di quel minimo in cui speravo da lì alla (mia) eternità. L’impotenza fatta calcio al Benito Stirpe di Frosinone vista da un display di telefonino grazie a una “piattaforma” dal nome impronunciabile ignorando la famiglia riunita a tavola. L’occhio perso non per spasmodico coinvolgimento, ma per depressione incurabile quanto il senso del dovere di stare lì, e vedersela tutta, di non buttare al cesso quella minima attesa, “oggi c’è il Milan”. Sì, ciao. Zero a zero sapendo già al 15mo che sarebbe finita così, zero gol in quattro partite, zero fremiti causati da qualche straccio di gioco, zero gradi fuori, in casa la suocera, ecco signora, è finita, mi dica.

Per ogni zenith c’è un nadir, eccolo. Altro che sereno vivere di rendita, altro che chi si accontenta gode. Qui c’è una megacartella Equitalia di cui nulla sospettavamo, rateizzata in anni infiniti di purgatorio, parola di cui le prime cinque lettere evocano facilmente la materia prima di queste stagioni. A posto così, Diavolo, avevo pensato quella sera, e dal 2012 in poi qualcuno mi ha preso alla lettera, facendone anche uno slogan-boomerang. Ci sarà sempre qualche campione, qualche grande partita, qualche stagione da vivere col prurito bello, mi dissi. Lo vedrò ancora non dico un Baresi, ma un Nesta, un Ibra, un Weah, un Boban – anche un Massaro, buon Gesù.

…No.

Da almeno sei giri di calendario, solo collane di mezze figure, mezzi giocatori, mezzo gioco (generoso, eh?), mezzi leader, mezze seghe, mezze vedove, mezzi “gioielli del vivaio”, mezze partite, mezzi allenatori, che poi sono già qualcosa in più degli zero dirigenti, gli stessi di quelle notti dolcissime che a un certo punto hanno deciso che il debito era ormai troppo grande, lo pagassero i tifosi, il capitale ce lo teniamo noi: e i fatti che l’ultimo passaggio di mano sia stato proprio un’operazione di recupero crediti, e che solo e unicamente di soldi (quali? Di chi?) lo smarrito milanista parli nella speranza abbastanza vana di vedersi riconsegnata una squadra, sono la certificazione plastica della fine delle emozioni, per me – povero stronzo bruciato nel suo voto a posteriori, nell’onestà di sapersi in credito – l’ossigeno di una passione. La passione che quando sfiorisce rimane il vero amore, quello che dura un’esistenza, giusto? Già. Ma l’adorato Milan come una moglie ingrigita e assessuata, e io triste e con la pancia, che lo accarezzo malinconico mentre penso che comunque rimarrò con lui per sempre, non me l’ero proprio immaginato, in quella sera dei miracoli. E mi fa male, porca miseria se fa male.

Una risposta a “E mi viene da pensare”

  1. Chi sei? Com’è che sei entrato nella mia mente?
    Mi rubi il voto che feci anch’io all’Old Trafford? Mi rubi la gioia della finale di coppa Italia? Mi rubi il pensiero espresso dopo quella sera?
    Chi sei, me?
    Ah no aspetta, in una cosa la pensiamo diversamente. Allora non sei me.
    Ah che sollievo, non sono io ad aver scritto questo articolo in un momento di alterazione di coscienza. Non mi devo far vedere per schizofrenia da un bravo psichiatra.
    Io credo che il nadir l’abbiamo toccato con Allegri e l’ultimo Silvio, ora siamo in risalita.
    Siamo nel buio profondo, certo… ma un lumino, lassù, piccolo piccolo, lo vedo.
    Ma forse è solo un momento di alterazione di coscienza.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.