Roma-Milan è stata, a mio modesto parere, la partita che descrive meglio questa triste stagione, non solo perché giocata sull’onda di cinque vittorie consecutive, che in generale, parevano troppo, per essere vere. Come nella Grande Magia di De Filippo, dove la realtà è una questione d’immaginazione, il lato era quello in fiore. Là dove c’era il soffitto, si poteva vedere il mare, si poteva pensare ‘mia moglie non mi ha mai lasciato, è nella scatola incantata da 16 anni’, si poteva credere che dal fango, prima o poi, sarebbero spuntati i piccoli germogli d’erba, anzi, un paio di fili timidi sembrava di scorgerli. Inutile dire che era tutto un trucco. Avete presente quello spezzone di Gullit ne La Grande Storia del Milan quando, parlando di quel Milan, dichiara “Questo è calscio, così è come si gioca calscio“? (io me lo immagino fresco di charas e magari di rapporto orale defatigante con la gelataia di Milanello. Non che io sia lesbica eh, solo, Gullit era un Capo capace di questo e altro e la gente che fa sognare non smette mai di farti sognare).
Il Milan che stiamo vedendo ai tempi della crisi del postmoderno, che sembra aver intaccato tutti i settori tranne quello mafioso, non è calscio! Non è così che si gioca calscio. Come Gesù al mercato di Gerusalemme, mi sono ritrovata circondata da idoli di paccottiglia. Come Gesù, mi sono incavolata e riempita d’indignazione reagendo con una follia distruttiva che non voleva risparmiare niente. Sempre di paccottiglia senza valore si tratta: se va in frantumi, non vale la pena di raccogliere i cocci.
Alla vigilia della partita di venerdì scorso, ho notato che l’opinione generale era “Chissenefrega, tanto loro sono più avanti, sono più forti, magari mangiano un paio di punti ai Gobbi, se perderemo non sarà una tragedia“. Sbagliatissimo. Siamo mica laziali, siamo mica bauscia. Comunque scarponi, ma dovremmo vendere cara la pelle ogni singola volta, è sempre la pelle del Diavolo, non le paillettes sintetiche del lunedì sera. Non siamo nelle condizioni di fare i blasé, neanche per mezzo tempo. “Ecco cosa succede!“, ho pensato. Prima la storia del Milan Berluscageneto con intere generazioni che neanche immaginano più il dna europeo forgiato Andrea Rizzoli, così si arriva a pensare che contro la Roma tanto vale perdere, mentre a calcio si dovrebbe giocare per vincere, anche se i tuoi, durante la settimana, fanno i piastrellisti. Rocco a “Che vinca il migliore” rispondeva sempre “Speremo de no“. Quello vale. Il Milan che va a Roma per perdere senza pensarci o sudarci troppo, no.
Poi ha parlato il campo, dove si sono viste differenze che vanno al di là della classifica. Da un lato, la squadra di casa, una società in evoluzione, con un progetto, una squadra con un capitano, con un’identità, con un ottimo campionato alle spalle, con un futuro in Champions, anche se la Roma in Europa piange che se non svengono portieri di fronte a Ciccio Graziani, è il Manchester che vendica le invasioni Romane in Britannia (2000 anni fa, anno più anno meno e se lo ricordano ancora) con un 7-1.
Dall’altro il nostro circo, dove si parla di tutto, dall’amore all’erba del campo, dalla sede al logo, tranne che di calcio giocato.
Il Milan è una regione squassata da più di una guerra, tipo la povera Polonia della recente Storia Contemporanea. Guerra mediatica, guerra di confine, due guerre di secessione, e pare una civile, anche se immaginare il terzetto Montolivo-Abate-Mexes in guerra fa venire in mente la sigla di Occhi-di-Gatto. Il casus belli è stato il tentativo, da parte della proprietà, di dare il benservito a Galliani, fallito miseramente. Poi c’è il Padre, che dopo aver usato anche le vittorie dell’esercito rossonero per entrare nella Capitale, si sta chiedendo, mentre accarezza il cane e Francesca gli accarezza il cane, chi cacchio glielo ha fatto fare di siglare il Patto col Diavolo, è così rimbambito e al sicuro che neanche se lo ricorda.
La Figlia, forse, gli sta tirando la giacca per avere la sua opportunità, e chi le dice niente se è così, ma sta sbagliando tutto. Maria Antonietta arrivò alla corte di Francia da straniera, cambiò i tessuti tradizionali, stravolse le consuetudini che le sembravano prive di peso e la rivoluzione alla fine la fecero a lei, mettendole in bocca cose più infamanti della falsa affermazione sulle brioches (quella è una frase di Rousseau). Già è partita con il piede sbagliato facendosi il cicisbeo, poi, un po’ per buona fede, un po’ per inesperienza, non ne ha azzeccata una.
Ogni volta che fa una dichiarazione, una fata muore. Ha minacciato di farci finire come l’Ajax, ha detto che vincere non è più importante che fare i soldi, poi ha chiamato un hipster da Salone del Mobile a rifare il logo e questo ha sfornato un’inguardabile arancia sbucciata che andrà bene ai cinesi, ma a San Siro, o al futuro Berlusconi Stadium, ci andranno i cinesi? (Barbara! Hai studiato il Machiavelli a filosofia o le massime del Milanese Imbruttito via Carcarlo Pravettoni? Se questo Milan lo vuoi su serio non basta che ti ci fidanzi, te lo devi sposare. Allora ti perdoneranno tutto, anche se sarai andata a ripetizioni da Moggi e Lucrezia Borgia per farti le ossa).
Guardate invece Seedorf, per esempio, che dopo l’Atletico ha smesso di sorridere e ha iniziato la sua battaglia sul fronte del calcio. Nessuno mette in dubbio un certo interesse personale nel farlo. Nel farlo, però, dice e mette in pratica cose semplici e chiare, proprie del calcio. Cannando formazione magari, ma che sollievo vedere che almeno per qualcuno parli ancora il risultato, di mentalità, valuti la squadra inadeguata alle dichiarazioni e prepara le motivazioni che dal cuore vanno alle scarpe. In società, anziché apprezzarne l’iniziativa, questa battaglia è vista come pura insubordinazione, il tifoso invece, nonostante gli errori, lo rispetta ancora di più di quando a fine stagione addormentava il gioco e il pubblico con i celebri Pampers e aveva vinto le Champions con le squadre diverse.
Allora viene il sospetto che il vero obiettivo di questo Milan non sia scendere in campo a giocarsela, ma scendere in campo perché non si hanno alternative.
Non bastassero i risultati e la svilente campagna mediatica, per convincersi di questo basta guardare le facce dei giocatori.
Siamo una squadra che sui social inscena campagne pubblicitarie degne di Benetton anni ’90 e in campo sembra l’ufficio sinistri alla Coppa Cobram, tanto da farci rimpiangere non solo la classe di Nesta, ma la viulenza di Ambrosini e Gattuso.
Se ancora qualcuno fosse in buona fede, ascoltate gli ex, quelli che hanno vinto e pure quelli che non hanno sempre vinto, e neanche loro, proprio come chiunque altro, riescono a dare spiegazione logica.
Emblematico lo è stato anche l’ennesimo affaire Balotelli. In futuro un marziano troverà tutta la carta straccia, tutte le pippe scritte su Mario Balotelli e penserà o che è stato un Ippogrifo, o che l’Italia del nostro periodo era un paese di analfabeti.
L’altra sera aveva ragione lui contro Marocchi, se la pensate diversamente, dovete cambiare sport, cambiare i pannolini, cominciare a frequentare il Bingo del quartiere. Ha passato tutta la partita a giocare fuori ruolo, eseguendo gli ordini, e quando ha visto che dopo tutte le botte prese, una volta che sarebbe entrata una punta a dargli sollievo, il condannato a uscire era proprio lui, gli sono girate. Invece di caricarlo imbavagliato sul pullman e spedirlo a Milano, l’hanno fatto parlare davanti ai microfoni, tanto tutto fa spettacolo. Chissà se Mario, che credeva di aver risolto i suoi problemi visitando finally Pia e rinnovando il contratto a Fanny, ha capito che lui non è al Milan per il calscio, ma per prendersi i fulmini, come Malaussène ai Grandi Magazzini. Gilardino, ai tempi, per Roma-Milan, avrebbe preso 6 in virtù dell’obbedienza. Lui ci ha rischiato il posto in Nazionale. Guarda caso, alle provocazioni Sky, ha risposto parlando di calscio.
Che priorità avrebbe, il calscio, quello vero, nel Milan di oggi, e nel Milan della prossima stagione? Il risultato, destinato a restare deprimente in classifica, lo puoi chiamare in molti modi, ma non è calscio. A calcio si gioca per vincere, mica per partecipare, e si gioca sul campo, senza l’arrangiamento degli imbonitori da rassegna sportiva, perché non siamo Gobbi.
Basterebbe questo e si potrebbe accettare senza troppi problemi di venire ridimensionati e di perdere ogni tanto, perché non siamo neanche Merde, e perdere e ammettere una sconfitta non è disonorevole quando si ha comunque lottato con convinzione. Fa male, ma vale.
Così si gioca a calscio. Come diceva il “Miglior Fabbro” Ezra Pound, quello che davvero ami non ti verrà strappato, quello che ami resta. Non per fare la snob, ma che fine ha fatto la parola d’ordine? Quella del Vangelo Secondo Me?
Ilaria, questo post è spettacolare!
grandissimo pezzo!