Quando mi chiedono perché tifo calcio, evito di spiegarlo per non sbrodolare troppo. Dovrei parlare del mio padrino di battesimo Dario, milanese, casciavit, fotografo del Comune, che probabilmente mi cambiava il pannolino cantando Milan di Jannacci.
Una ragazza ieri sera mi ha detto che trova scandalosi gli stipendi dei giocatori, come se un tifoso fosse colpevole di connivenza per qualsiasi cosa ci sia di marcio in orbita intorno al pallone. Curioso, perché anche senza i motivi che spingono un appassionato di calcio a chiudere un occhio sulla Gazprom che si pappa la Uefa e tiene in scacco l’Ucraina, o nel nostro caso milanista, su un Berlusconi che del Milan ha fatto come Cesare con la Gallia, la gente fa comunque benzina, compra vestiti, prende medicinali in connivenza con i tributi di sangue allo scacchiere economico mondiale e anche lì gli stipendi sono scandalosi. Almeno i nostri motivi non sono lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Se segui il calcio come lo faccio io e gli altri autori di questo sito, le contraddizioni le hai sotto gli occhi proprio perché sei innamorato e vedi anche il più piccolo difetto, mandandolo giù a secco. Sono storie come quella del Grande Torino ad affascinarti, ti appassioni di gesti atletici e senso di appartenenza, mentre un Genny ‘a Carogna sei costretto a vederlo e ne faresti anche a meno. Genny ‘a Carogna esiste, non l’ha creato il calcio. Non appartiene a tifosi e ultras necessariamente, ma alla specie umana in generale e a quella italiana più in particolare. Il tifoso ci mette il cuore, la carogna no, ecco la differenza.
L’Alphadog di ComunqueMilan mi rimprovera sempre certe allusioni o metafore sessuali così come le amiche mi rimproverano sempre metafore e allusioni calcistiche quando parlo di sesso e amore, e mi rendo conto di quanto i due ambiti, quello calcistico e quello erotico/sentimentale siano strettamente interrelati nella mia testa e non potrebbe essere altrimenti, visto che di cuore io ne ho uno solo. A volte, entrambi, sono da prendere cinicamente, a volte ti puoi permettere il volo pindarico, fanno male più spesso che bene ma continui a farlo perché è l’amore che vince la morte. Se avete visto Kusturica o letto la Bibbia e Hemingway, potete capire. Se no pensateci adesso, vi fa solo bene.
E il Derby?
Il Derby fa partita a sé, siamo d’accordo. Elementi di solito incisivi come chi va in campo chi va in panca, quante punte quanti punti, campo rinzollato o campo di patate, Constant e la morte del calcio giocato, non contano. Per il derby la legge la fa il Caos, non a caso nella leggenda ci sono personaggi come Schelotto e dj Comandini. Ciascuna variabile si pone dal poco probabile al molto probabile.
Anche l’attesa del derby è deliziosamente circostanziale, perché schiava della fame. Se l’ultimo derby l’hai vinto, te ne stai con la pancia piena sul divano a ruttare soddisfatto e ti prendi male giusto a ridosso della data perché dici ‘e se stavolta lo perdo? Oddio, mi prenderanno in giro a lavoro o a scuola’ e il pareggio ti andrebbe anche bene. Se invece il derby lo hai perso, la tua attesa è quella del bambino che aspetta il Natale dal Natale precedente nella speranza che al posto del microscopio con i vetrini e la gomma arabica gli regalino il Game Boy. Se come nel nostro caso sono 1000 giorni che lo perdy, il derby, allora tutta la faccenda assume dimensioni macrocosmiche, e potresti recitare a memoria il 2 di aprile del 2011, tutto quello che hai fatto, dal caffè alla buonanotte, iniziando a pensare a quella data come a uno spartiacque tra la tua vita prima e la tua vita dopo, soprattutto se, come nel mio caso, dopo l’ultimo derby vinto, hai smosso un sasso che ha innescato una frana.
Inter-Milan, dicembre 2013. Ero a San Siro con l’amica di stadio di sempre, quella che iniziò a portarmici regolarmente usando la formula del ‘un abbonamento in due’. Funzionava che lei mandava me davanti ai tornelli e poi mi spingeva forte da dietro. L’unica volta che un gilettino fosforescente ha sgamato la mossa, ha messo le mani in segno di fermo proprio al momento della spinta, beccandosi in pieno le mie tette e stringendo pure un po’. Io sono arrossita come in un fumetto giapponese, la mia amica sghignazzava, lui non so, ma non credo gli sia dispiaciuto. Questa volta invece avevamo biglietti a bordo campo, tanto che sentivamo Kakà urlare Mario e potevamo ammirare Mario intento a fare brutto trenta minuti buoni a un guardalinee che per evitarne gli insulti continui correva guardando le panchine, il sogno di Inzaghi. Dopo il tacco e l’ennesima delusione, dopo aver controllato la data del prossimo derby, mentre recuperavamo il motorino al solito parcheggio davanti al baretto della Nord, le ho confessato una roba che facevo fatica a confessare anche a me. Cioè che non vincevamo il derby (e non vincevamo contro la Fiorentina) da quando mi ero concessa a un tipo che nel giro di dodici mesi mi ridusse a una disperata che ascoltava Minuetto in lacrime pensando ‘Califfo c’hai proprio raggione!’. Senza entrare nei particolari, fu killing me softly ma non con la canzone, con la motosega di Patrick Bateman. La mia amica, che ha assistito al terremoto e tragedia, dopo che le ho confessato che “Galeotto fu il derby … e mai più ne vincemmo avante” mi ha piazzato gli occhi sbarrati davanti al mio senso di anima mundi dicendo: ‘Devi risolverla sta cosa!’.
Non ho mai letto il libro di Jodorowsky che mi ha regalato mia sorella, e probabilmente ci avrei trovato qualcosa di assolutamente infattibile, tipo ‘liberati dal tuo ex mangiando un frutto di una pianta cresciuta al chiaro di luna in terra orinata dal cane del vicino del nonno materno del tuo professore di ginnastica del liceo’. Troppa fatica dai. Non è poi che io non mi fossi dimenticata del mio ex. Dopo averlo giustamente odiato, avevo giustamente ammesso a me stessa, già da mesi, che se uno ti fa male sono anche cavoli tuoi che te lo fai fare. L’amore andato a male lo fai in due. Se lo incontrassi per caso in giro, lo saluterei tranquilla, anche se mi stupirebbe assai, dopo tutti i Cristi che gli ho tirato, di non vederlo su una di quelle sedie a rotelle che si aziona soffiando nella cannuccia.
Da allora in poi il Milan non ha demeritato che una volta, durante il 4-2, ma la sfiga che ci ha impedito di godere è stata più granitica di una lapide. Ogni volta pensavo, rivolta al cielo, ‘Questa è quella buona, stavolta tocca a noi, me lo merito!’, per poi tornare a casa guardando la data del derby dopo, che magari qualcosa in quei mesi sarebbe cambiato per il meglio.
Gli elementi decisivi, che farebbero la loro in qualsiasi altra partita di campionato, non sono cambiati in meglio. Se prima ero orgogliosa di sentire la formazione, adesso anche a distanza di mesi ricordo l’isteria collettiva che ha accolto il nostro undici e gli ‘a disposizione dell’allenatore’ dopo che lo speaker aveva sciorinato quelli del Barca, con Fabregas in panchina perché da loro è di troppo. Se prima guardavo con affetto Massimo Ambrosini centrocampista di sbattimiento, oggi guardo Lady Oscar e penso che non ce lo diranno mai perché lui è il Capitano, così come non sapremo mai esattamente cosa è successo davvero ai tempi della Cupola e di Moggi vittima del giustizialismo italiano.
Sono passati mille giorni da quella sera in cui, grazie soprattutto all’euforia provocata da Ibra che mette k.o. Materazzi, mi concessi a ben altri piaceri, chiudendo la serata con il cuore che batteva a 360 gradi.
Prima delle battaglie, gli antichi guerrieri cercavano sempre di attirare la benevolenza delle divinità del nemico sulle loro sorti, anche quando la vittoria l’avevano già in tasca. Noi a Milano, dividiamo lo stadio e mannaggia alle Merde, dividiamo pure la Madonnina. Quindi nell’andarci sotto per la mia invocazione ero consapevole che è possibile che qualche bauscia abbia alzato gli occhi verso di lei in silenziosa preghiera. Solo che loro hanno la pancia piena, noi siamo stremati dalla fame. L’ho prima ringraziata di aver fatto battere di nuovo il mio cuore, anche se forse solo per qualche ora. Poi le ho detto, visto che ci sei, dacci una mano, guarda dalla nostra parte. Mille giorni sono troppi, io di cuore ne ho solo uno.
tutto bellissimo e ultracondivisibile, specialmente l’inevitabile connessione (per noi malati) tra le vicende del Milan e quelle della vita “civile”…ma proprio perchè sono malato non posso esimermi dal sottolineare che l’ultimo derby vinto prima di ieri sera era quello di pechino in supercoppa 😉
‘derby di agosto, non ti conosco’ :). Hai ragione, avrei dovuto specificare che si trattava del campionato, mea culpa.