Il Rosso & il Nero di Udinese-Milan 0-4

1) il NERO. Un po’ per l’esasperazione accumulata nelle trenta precedenti partite di campionato (più le ultime tre di ChampionsLeague), un po’ perché ci eravamo dimenticati come si accolgono una vittoria larga e (soprattutto) 90 minuti di superiorità continuata sull’avversario, poco dopo il fischio finale tra i tifosi milanisti è subito scoppiata l’ennesima faida interna. Le fazioni erano, in sostanza:
– i CONSOLAZIONISTI, ovvero quelli che alla fine vedere il #Milan vincere e giocare benino è sempre un buon motivo per essere felici (e come negarlo?) nonché tornare a credere che l’universo abbia un senso, contro…
– i VERGOGNISTI, ovvero quelli che questa vittoria (e come negarlo?) non solo non cambia la nostra classifica, ma anzi aggiunge nuovi motivi di irritazione alla stagione, nel vedere così ispirati i nostri esasperanti. Perché non sempre è: “Meglio tardi che mai”, in qualche caso può essere “Meglio mai, che troppo tardi”, per il timore che le partite finali portino a essere indulgenti e fare ulteriori errori di valutazione, trascinandoli nella prossima stagione.
 
2) il ROSSO. E tuttavia, mettendo da parte per un attimo gli slanci emotivi la stagione rossonera, per quanto del tutto compromessa per gli obiettivi principali, non è ancora finita: siamo ancora in lizza per uno dei due trofei minori. E da questo punto di vista, qualsiasi progresso tattico e psicologico può essere utile. Certamente più utile (e divertente, eh) di un’altra sconfitta contro una squadra modesta.
 
Al di là dello 0-4 in trasferta, che non è poi un ricordo così lontano come le tante sofferenze ci inducono a pensare (2 aprile 2023, Napoli-Milan: Leao, BrahimDiaz, Leao, Saelemaekers), la vittoria di ieri è qualcosina in più di quello che si definisce “un brodino”. È una boccata di ossigeno che ci prendiamo volentieri: quella che viene dal rivedere una squadra che invece che andare in svantaggio e in apnea, costruisce la propria partita e ha diverse occasioni che legittimano l’uno-due a fine primo tempo. E poi: vedere la formazione iniziale tornare in campo dopo l’intervallo senza cambi d’emergenza è una caraffa di acqua gelata nel deserto, e se volete rifiutarla come Gesù, forse avete un’opinione un po’ troppo alta di voi stessi. E poi ancora: vedere un nuovo modulo difensivo che corre pochissimi rischi (“Eh, ma contro l’Udinese” “Sì, vero, ma noi siamo quelli che hanno steso i tappeti a Cagliari e Lecce, Torino e Parma”) scalda confortevolmente i cuori come un caminetto dopo aver preso tanto, tanto freddo.
(sì, stiamo finendo le metafore)
 
Ma d’altra parte, vedere combinazioni di prima, aperture immediate, accelerazioni e ripartenze con superiorità numeriche sfruttate, chiusure decenti e sprazzi di compattezza – nonché un gol su calcio piazzato – sono musica armoniosa per chi per un anno, giorno dopo giorno, è stato costretto a sentir biascicare Tony Effe. E ad alto volume, anche. E sentendolo elogiare: “Ma no, siete voi che non capite, siete legati al passato”.
Pensare che la vittoria di ieri sera sia troppo facile per essere vera è un atteggiamento di sana cautela. Perché no, non è una rinascita. Però non è nemmeno un dito in un occhio. Diciamo che è un passo lungo e ben disteso nella direzione giusta, che è meglio che un passo nella direzione sbagliata, ci dicono quelli che la direzione giusta la prendono più spesso di noi. E sempre per prudenza (…e ok, un po’ anche per piccola ritorsione verso i nostri amati impiastri), per una volta in questa rubrica non faremo nomi: non daremo medagliette o lecca-lecca ai più bravi della classe. Ci limiteremo a farne due, per confidare nella rapida ripresa di Maignan e Jimenez. Anche perché ultimamente siamo impressionati dalle capacità iettatorie di una certa squadra che dovremo nuovamente incontrare, congrega di gufi mortiferi dai colori funebri che sono un greve dazio, ingiusto, odioso e iniquo, che evidentemente ci tocca pagare per essere milanisti. Esserlo è un privilegio, quindi paghiamo.

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