1) il ROSSO. Siamo qui da un po’ di tempo, e un pochino conosciamo il nostro pollame. Se ora scrivessimo che il Milan ieri sera ha giocato una brutta partita, qualcuno se ne offenderebbe sdegnosamente – cosa che per contro succede anche le volte che osiamo scrivere che siamo soddisfatti.
Però ci sembra di non essere del tutto disonesti e indegni, nello scrivere che non è stata una “prestazione da incorniciare” (per usare le stravaganti virgolette viste sulle ennesime maglie sfoggiate.
All’interno di 90 minuti spesso malinconici, abbiamo visto, per paradosso, una delle azioni più esaltanti degli ultimi anni. Un quadrilatero di brillantezza iniziato (ciondolando, ma molto velocemente) da Rafa Leao
(fischiato solo 30 secondi prima per una giocata non riuscita)
perfezionato da Jimenez
(con inattesa padronanza di piede, rapidità e precisione nella restituzione)
restituito magistralmente a Leao
(che con inserimento rapace e acrobazia Giroudiana superava al volo di esterno il portiere)
e offerto a Gimenez
(che era lì, capite – proprio lì dove c’era bisogno del centravanti).
La costruzione dell’azione era tutta un Ordem e Progresso; la conclusione era una stoccata alla Inzaghi. Quello veramente forte. Quello che avrebbe trovato un gol anche sepolto sotto terra e coperto da dieci metri di cemento, solo sentendone l’odore.
…oltre a questo, c’è stato altro di rosseggiante, in questa partita in neroverde? Non molto. Nel primo tempo, un buon tiro di Reijnders, nel secondo tempo una scaloppa rovente di Musah, che per contro nel primo tempo aveva elevato al cielo un McChicken di intensa pollezza. E poi, strategicamente importanti più delle sue giocate, le ammonizioni che JoaoFelix ha disseminato nel tabellino avversario.
Volendo vedere il bicchiere mezzo rosso, potremmo accogliere con favore la poca lena dei nostri come un risparmio di energie per la partita di dopodomani. Che è il motivo per cui, come nella nostra quarta ma anche quinta maglia, se non proprio del rosso possiamo vedere un po’ di verde in fondo a…
2) il NERO. Il gol del 75° sistema tutto, ovviamente, però fino a quel momento il Milan ha dato esattamente la sensazione di aspettare la liquefazione del sangue di Leao – magari anche solo per dare la colpa a lui di tutti i nostri guai, perché TheoHernandez da solo non catalizza abbastanza fastidio. Dopo 45 minuti Conceicao avrà archiviato il primo tempo nella lunga lista dei più brutti primi tempi mai visti, richiamando in panchina l’esile Sottil e – sorpresa – il gladiatorio Walker: col senno di poi, l’ingresso di Leao e Jimenez ha “spostato gli equilibri”, per usare una famosa espressione meritevole di tantissime virgolette.
Ma non è successo subito. Per un’altra mezz’ora, pur limitando sempre di più le estemporanee scorribande del Verona, i neroverdi hanno arrancato “calcio” anche quando è entrato Pulisic al posto di Fofana, mossa che rende l’idea del fatto che siamo ormai abituati a giocare senza centrocampo. Montipò non ha vissuto una serata di apprensione, al contrario di noi quando la palla ha preso la direzione di un Maignan ancora sotto choc dopo Rotterdam.
Tuttavia il giudizio su questa partita va sospeso in attesa della disfida al Feyenoord, cui andrebbe restituita la rimonta dell’unico scontro precedente, del 1969. Nel frattempo, alcune squadre davanti a noi, visti gli esiti delle loro partite di ieri, potrebbero spiegarci con lineare pragmatismo che 3 punti sono 3 punti. E non “3 punti”.