1) il ROSSO. Ci tocca uno sforzo di mezzopienismo, e senza sapere bene cosa contiene il bicchiere. Ma ha qualche ragione chi dice che il Milan di ieri sera non è stato il peggiore tra quelli visti quest’anno. E che qualche alibi c’è. Anche se non è un ombrello sufficiente per ripararsi dalla pioggia (ops), e vedremo perché.
Pochi si aspettavano un risultato favorevole, quando giorno dopo giorno dalla formazione come in un romanzo di Agatha Christie venivano fatti fuori a) TheoHernandez b) Reijnders c) Gabbia d) Pulisic (…su Bennacer, Florenzi, Abraham e Jovic nessuno può dire di contare veramente – e quanto a #Leao, per il momento lasciamolo fuori dal discorso, se siete d’accordo).

Il Rosso sta nel fatto che a un certo punto abbiamo avuto l’ingannevole sensazione di non essere inferiori al Napoli cortomusista e gobbissimo di Andoniogonde. C’è chi tra i nostri ha giocato meglio e chi peggio, come sempre – ma non ci sentiamo di mettere sul banco degli imputati neppure quelli che hanno fatto più fatica.
(poi ne parleremo lo stesso) (ma senza impuntarci in imputazioni)
Il problema è che quella del Milan è una fatica di squadra, nonché una somma di fatiche dei singoli reparti. E questa fatica possiamo nasconderla dietro ai tanti, troppi errori individuali e non necessariamente dei giocatori più limitati (Maignan, #Musah, Pavlovic, Pulisic alla fine ma pure Morata che, forse esausto per la voglia di strafare, non va in scivolata sulla palla di LoftusCheek). Ma ci angoscia più che andare a cercare colpevoli, perché ce ne sono tanti, e un po’ dappertutto. O dite che vediamo troppo…
2) il NERO. Abbiamo per anni rimproverato a Pioli il frequente vizio di far cominciare la squadra coi ritmi di chi il primo sabato di dicembre entra nei negozi “solo per dare un’occhiata”. Fonsie Fonseca pare viziato dello stesso vizio, se non più vizioso: una volta preso il gol, la squadra ha reagito dirigendosi lumacosamente verso la NOSTRA porta per altri 10 minuti di lenta, gattusiana costruzione dal basso che ha avuto un suo peso nell’aumentare la confidenza agli avversari.

Grazie al nostro iniziale atteggiamento remissivo, il Napoli ha cercato e trovato un gol che gli ha dato un’autostima che contro Parma, Empoli e Lecce gli era mancata, ed era dovuta passare da episodi fortunati (se non da spintoni di arbitri agghiaggiati dal carisma di Gonde). È questo che ci suggerisce di non rifugiarci nell’alibi delle assenze: la manovra del Milan, anche nei suoi momenti migliori (metà del primo tempo, inizio del secondo tempo) è sempre sembrata tiepida, calduccia, mai (scusate l’espressione) “on fire”. Forse non è un caso se l’ingresso di Leao e Pulisic per gli ultimi 30 minuti non abbia scaldato nulla, non ha cambiato l’inerzia in uno stadio dove viceversa qualche giorno fa una squadra approssimativa quanto la nostra ha recuperato due gol di svantaggio.
Viene la tentazione di dire che a noi è andato tutto storto, che ogni episodio abbia detto bene al Napoli e abbia detto malissimo a noi. Se per esempio mettiamo a confronto la loro giocata individuale (Kvaratskhelia) e tutte le nostre (Chukwueze, il tiro di Musah da sinistra, il tentativo di Leao), dobbiamo constatare che la loro è andata in buca, le nostre no.
Questa tentazione c’è, sì, e fa venire un’altra tentazione: quella di pensare che il Milan abbia un potenziale superiore ai risultati che ottiene. Sarà anche vero, forse lo è, vai a capire. Ma questo potenziale si esprime in una quantità di partite inferiore a quelle che gioca. E questo le classifiche ce lo stanno dicendo chiaro, sia quella della serie A che di quell’altra ridicola boiata targata UEFA e Ceferin.

I futuri, benché non trascendentali, Campioni d’Italia annunciati hanno evidenziato ieri sera che al di là del nostro strano mix di giocatori buoni e giocatori scarsi, che ogni tanto si scambiano pure i ruoli, ogni nostro reparto non è mai completamente affidabile. Ci sarà anche girato tutto storto, va bene – però il portiere annaspa, la difesa affonda, il centrocampo boccheggia, e rimane sott’acqua pure il nostro reparto più pregiato, l’attacco, dove Morata fa da one man band ma proprio per questo non sempre sai bene dove cercarlo, e dove Okafor è tornato facilmente nella sua versione smussata che purtroppo non ci è nuova.

Poi, che sia complicato bocciare o promuovere gente dovrebbero dircelo anche gli splendori e miserie di due giocatori: Chukwueze, fino a qualche partita fa bersagliato quanto l’orso del luna-park, e Pavlovic, orso che in questo periodo sarebbe considerato innocuo pure in Trentino. E non solo: i limiti di Musah non emergono oggi, ma ha pure giocato decentemente quando è stato tolto da un ruolo che non sa fare, per ritrovarsi… in un altro ruolo che non sa fare. Nei 90 minuti si è creato da solo una buona occasione da rete, ha messo due buoni palloni per i compagni, in compenso non ha saputo che fare quando le occasioni gliele hanno create gli altri. A costo di risultare troppo buonisti (ma chisenefrega, si vede che lo siamo) nemmeno #Terracciano, #LoftusCheek ed #EmersonRoyal sono stati realmente deleteri.
Perché il problema, lo abbiamo detto, è più inquietante di ciò che possono dare – o non dare – i singoli, ed è anche per questo che è inutile soffermarsi su Leao.
Temiamo che il problema sia che il Milan non sappia fare il Milan. Ma non sappia nemmeno fare l’Empoli, o il Lecce, o il Parma, o quelle squadre che hanno tenuto testa allo strepitoso Napoli del suo luminoso allenatore, che a maggio (potremmo metterci dei soldi) sarà nuovamente Gambione d’Idalia. Avrebbe ottenuto lo stesso risultato con la nostra dirigenza e la nostra rosa? Non possiamo dire seccamente di no, tuttavia possiamo dire seccamente che non ci sarebbe riuscito in questo campionato, con questi giocatori. – e sicuramente ha avuto la furbizia di andare in un ristorante dal cui menu manca la ChampionsLeague, che gli avrebbe causato le tipiche nevrosi. Quelle le lascia tutte a noi, e ce le teniamo. 

Per quanto a lungo? A noi piacerebbe tenercele più a lungo possibile quest’anno e guadagnarcele anche per l’anno prossimo, ma la convinzione con cui questa squadra si è presa il derby sembra già sparita, ed è quella che ora manca, anche più dei titolari o degli eventuali rinforzi sul mercato. Da qui a gennaio tutto ruota attorno a Fonsie. Non attorno a Ibrahimovic o a Furlani. Non attorno a Leao o a TheoHernandez. Ora, tutto è nelle mani di Fonseca. Vogliamo crederci? Sì. Vogliamo crederci. E queste, con tutti i loro limiti, sono le parole esatte, e non le usiamo a caso.