1) il ROSSO. Non giocheremo più ogni tre giorni.
Non c’è nient’altro da inserire (con le cattive) tra gli aspetti potenzialmente positivi.
Qualcuno dirà che ci risparmieremo altri due derby – ma a quanto pare, pur essendo una squadra che perde solo a causa della propria forza sovrumana, quelli ultimamente ci soffrono proprio come noi soffriamo qualunque squadra di cui sembriamo più forti. E mettiamo “sembriamo”, tra virgolette. Per il marketing.
2) il NERO. Sapevamo che saremmo stati eliminati prima o poi dalla ChampionsLeague. Eppure l’eliminazione di ieri sera entra a vele spiegate nell’albo di latta delle più imbarazzanti e complessivamente disastrose della nostra storia. Anche se non eravamo tra i favoriti come – poniamo – ai tempi del Deportivo la Coruna. Ma nemmeno il milanista più catastrofista avrebbe immaginato questo suicidio in tre mosse il 29 gennaio, cioè venti giorni fa, quando eravamo tra le prime 8 e dovevamo affrontare una delle ultime.
È uno dei due punti da cui partire.
Il secondo punto è che per quanto sia impossibile difendere TheoHernandez (meglio dirlo subito, ai più nervosi – come se noi qui non lo fossimo), NON è per il suo cervello tinto di rosa che il Milan torna a casa.
Non è per la battaglia di Waterloo, che Napoleone cade per sempre. Ma è perché si mette nella situazione in cui perdendo quella battaglia, viene eliminato senza appello e senza passare dall’Europa League.
Il Milan ha dilapidato tutto quello che aveva costruito (che pure, molti milanisti schifavano, non dimentichiamolo questo), infilando tutta una serie di errori. Diversi tra loro, certo, però TANTI. Non uno.
Alcuni errori hanno facce, e sono quelle di Musah e Gabbia a Zagabria, quella di Maignan a Rotterdam, quella di Theo ieri sera.
Errori diversi tra loro, lo ripetiamo prima che qualcuno ce lo faccia notare (scrivere nll’era dei social significa sempre cercare – inutilmente – di anticipare chi ha bisogno di tirare mazzate a qualcuno). Ma non può essere per l’errore di uno, che altri 10 giocatori più 5 subentrati si bloccano e si lasciano lentamente morire come Leonardo Di Caprio sul tocco di legno. Perché rimanere in dieci – e il Milan lo sa da anni, essendo abbonato ai cartellini rossi in Italia e fuori – fa parte del calcio, la partita continua, una squadra si può comunque riorganizzare. Specie se sta vincendo. Specie se gli avversari al 70° minuto non hanno ancora tirato in porta.
Solo che quella squadra deve essere fatta di una fibra un po’ più robusta.
Il Milan di quest’anno non ha alcuna fibra, non c’è un tessuto. Continuiamo istericamente a mandare via gente, in una specie di smania purificatrice che regala delizie ai più apocalittici tra i milanisti, quelli che ripetono instancabili “via tutti!”, anche nel sonno. Beh, di sicuro negli ultimi mesi un sacco di gente è stata mandata via. Però ora una squadra senza pretese che ha perso l’allenatore, il centravanti, ed era pure priva di un tot di titolari, manda via noi.
Non fraintendete: il povero Gimenez con la G, che dopo il suo gol ha visto attonito i suoi ex compagni eliminarci col minimo sforzo (ribadiamo: col MINIMO sforzo) è un acquisto sensato. Lo è anche Walker, e forse lo è anche Bondo. Per quanto riguarda i due prestiti a breve termine, Sottil e JoaoFelix, vedremo. E in questo momento crediamo che nessuno stia ardendo di nostalgia per Calabria, Bennacer e Morata. O per Fonsie Fonseca, che pure ci aveva portato in quel novero di otto squadre (facendo un po’ più di fatica casomai a stare tra le prime otto in campionato).
Tanta gente è arrivata. Tanta gente è andata. Abbiamo anche sperato che fossero loro, il Male del Milan. Così, una volta allontanati loro…
…Ci siamo inabissati con una squadra che arranca nel campionato olandese.
Oh, abbiamo giocato un po’ meglio che con la Dinamo Zagabria, certo.
Ma non era quello che dovevamo fare, “giocare un po’ meglio”. Bisognava semplicemente vincere una partita contro un avversario mediocre e in difficoltà.
Sicché la verità, al di là di Theo Hernandez (o dell’arbitro, se siete perplessi sulla seconda ammonizione – ma la prima resta un’idiozia specie per uno che è diffidato), al di là di Maignan, di Musah, dei cambi di Conceicao (che malgrado i proclami battaglieri, 10 minuti dopo l’espulsione ha avuto paura di prendere quel fatidico unico tiro degli olandesi, e ha finito per prenderlo) e della pochezza della panchina di questa rosa costruita in modo dilettantistico, arriva come una sentenza, e la la dura sentenza della Champions League è che il Milan non ha la fibra per giocarla, nemmeno dopo essersela quasi assicurata con cinque vittorie consecutive prima della Grande Epurazione.
Quello che succederà da oggi è del tutto imprevedibile. Altre cessioni? Quella di TheoHernandez è molto probabile, perché qualunque cosa sia successa nella sua testa, non possiamo più contare su di lui – e il fatto che sia stato espulso dopo le sue azioni più pericolose rende il tutto ancora più esasperante.
In fondo però, non è nemmeno interessante. Sì, è sempre bello accanirsi contro qualcuno, ma quello che ci preme ora non è chi se ne andrà, ma su chi ricostruiremo il Milan, e un’ossatura di squadra decente, che non vada in frantumi ogni volta che qualcuno, in qualche zona del campo, commette un errore.
Ci siamo divertiti tantissimo col tiro al bersaglio, ah che spasso, ma è ora di mettersi in testa che gli “out” non significano più niente. Sono gli “in”, che sono “in”dispensabili ora. E non solo “in” campo.