Il Rosso & il Nero di Milan-Cagliari

1) il ROSSO. Non è facile, ma se volessimo una vita semplice e del tutto priva di sforzi intellettivi faremmo gli opinionisti per Dazn e Sky. Quindi:

2) il ROSSO. Dopo le partite deludenti di quest’anno (…non poche) ci siamo spesso detti che se non tiri in porta non vinci le partite. Ok, ma numeri alla mano, contro il Cagliari il Milan ha fatto un sacco di tiri. Ha pure preso due pali.

Va bene, allora diciamo che bisogna tirare bene. No? Felici del Cagliari nel primo tempo ha tirato benissimo. Maignan si è superato salvando in corner. Poi Zortea ha fatto un tiro del cavolo, debole e centrale. E Mike lo ha fatto passare.

Dov’è il Rosso in tutto questo?

Nel fatto che non possiamo ragionare per comandamenti calcistici. Si vede che con noi, non valgono. Così, malgrado il godimento pressoché erotico degli hater milanisti o meno, ci sentiamo di sollevare dei dubbi sulle sentenze secondo le quali ieri il Milan ha giocato malissimo. In realtà L’atteggiamento è stato senz’altro più accettabile rispetto a match deludenti che se volete vi citiamo, sparsi: Milan-Genoa, Milan-Roma, Milan-Udinese, Parma-Milan, Milan-Torino, Milan-Juventus, Verona-Milan, Monza-Milan.

D’altronde, se siamo qui tutti con le nostre ricche pive nel nostro elegante sacco, questo rossiccio è di molto oscurato da…

3) il NERO. Il 125° compleanno è finito mestamente, la passeggiata con la SuperCoppa pure. Mettiamoci pure che nella serata del saluto a Cudicini, il nostro portiere (dopo un capolavoro da campione) ha lasciato passare un tiro senza pretese. Aggiungiamo che da quando le squadre davanti a noi hanno iniziato a rallentare (non tutte: sono tante e sarebbe matematicamente impossibile) non abbiamo mai trovato il guizzo per risalire in classifica.

Insomma, appena alziamo la testa, ci tocca abbassarla subito.

Chissà, forse l’unica cosa che sappiamo fare è stare a testa bassa, per 95 minuti. Appena uno dei nostri se lo dimentica, veniamo ridimensionati. E fa pensare, che sia capitato a Maignan e a Fofana, che nemmeno i giornalisti sportivi italiani, tra i più stupidi del pianeta (una di quelle eccellenze che il mondo ci invidia) accuserebbero di essere un lezioso ciondolone.

Ciò detto, ci sono limiti in questa rosa, lo sappiamo. Abraham, premiato uomo-partita nel derby, è un re del tap-in, perché se non altro spesso si trova inzaghescamente al posto giusto nel momento giusto. Una virtù: anche ieri sera il nostro gol è venuto su una palla bassa, ribadita in rete da un metro. Peraltro, ci pare di ricordare che il nostro metodo realizzativo più efficace da novembre a oggi (i gol di Reijnders, Pulisic, ancora Morata, Leao) prevedono la palla bassa, non tutti quei palloni alti (per chi, per Giroud?) che partono puntuali quando il livello di lucidità del Milan inizia a scendere in picchiata.

Proprio questo, e ci pare di averlo già scritto, è uno dei problemi più gravi del Milan attuale: non avere un metodo di attacco in cui credere. È una squadra di improvvisatori anche molto brillanti, che non di rado azzecca azioni da gol di inaspettata bellezza grazie alla classe di alcuni giocatori, anche quelli ciondolanti o addirittura americani. Ma se dovessimo scegliere un giocatore che ci indica quanto siamo strani, potremmo indicare lo strano caso di Alvaro Morata, che in difesa fa due recuperi eccellenti, poi da centrocampo mette Abraham davanti al portiere con un pallone da grande regista, e va in gol, anche se pure lui per farlo deve ringraziare un rimpallo. Seguendo il criterio di questa rubrica, ci sentiamo di dire: quello che fa Morata in teoria è Rosso. Eppure, perché c’è questa sensazione di Nero? Con tanta gente che sogna che i nostri uomini-mercato (chiunque siano) puntino su un giocatore che prenda il suo posto?

Essendo esasperati, andiamo al cuore della banalità. Nel calcio moderno è normale che i giocatori sappiano attaccare ma anche coprire, impostare ma anche spezzare il gioco, difendere ma anche ribaltare l’azione o mettere cross, insomma che siano utili alla squadra in ogni zona del campo e fase, che non si specializzino: i Gattuso che recuperano i palloni persi da Pirlo, i Colombo che mettono la quarta perché Ancelotti possa muoversi in seconda, tutto questo non può più esistere. Ma i giocatori del Milan scendono in campo e non sanno se il portiere parerà, se il difensore difenderà, se il centrocampista imporrà il nostro gioco agli avversari, e se l’attaccante segnerà. Il Milan non ha certezze, le ha via via perse dopo lo scudetto, e alle prestazioni di alto livello venute dopo il 19mo (un altro derby, il PSG, il Napoli campione eliminato nei quarti di UCL, il Real Madrid, la SuperCoppa) non riesce mai a dare continuità perché non si conosce. E che sia un mal comune di molte squadre italiane, non è un mezzo gaudio.

L’allenatore dalle posizioni forti reclamato da tanti tifosi (e tante tifoserie, non solo la nostra) ha soprattutto quel compito. Dare certezze ai giovanotti in campo, e dimostrare che insistendo su 3-4 idee (non 30 o 40, eh) i risultati arrivano.

Sergio Conceicao è quell’uomo? Può esserlo. Ma la strada sarà lunga, e il pavè con cui costruirla sono i risultati. Perciò vincere col Cagliari era importante, anche giocando peggio di così – proprio come battere la Juventus con un rigore e un autogol dopo 70 minuti di nulla ha portato a un approccio più convincente tre giorni dopo, contro i nostri regalatori preferiti.

Dopodomani saremo in campo col Como, squadra spavalda che per poco non ha travolto una  Lazio che grazie a un filotto di risultati si è sentita onnipotente per un po’. Il nostro consiglio è: che nessuno dica “Ma va beh, è il Como, è una neopromossa”. No: il nostro consiglio è: testa bassa. Con chiunque. Per 95 minuti, o 100. Per tutti i minuti in cui ci saranno in campo uomini in rossonero. O perlomeno in bianco… Non con una maglia brutta e mutevole, priva di senso e di certezze.

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