1) il ROSSO. Innegabilmente, Conceicao è intervenuto per migliorare i nostri primi tempi. Al quinto tentativo, la squadra disputa 45 minuti promettenti, e pur rischiando qualcosa sfiora più volte il gol, specie quando DiGregorio sventa (di pollice?) un tiro di Leao per il quale stavamo già levando le braccia al cielo.
Non che nei primi 45 minuti tutti siano pienamente convincenti, intendiamoci: Abraham continua a sembrare profondamente sofferente, Musah pare sempre in attesa di ambientarsi nella sua nuova squadra, Bennacer illumina quanto un lumino del cimitero, mentre Reijnders e Fofana iniziano a vedere San Pietro sopra la traversa, anche perché gli manca il sostegno del nostro vero faticatore di centrocampo: Morata. Dopo di che, si torna negli spogliatoi, e si spegne la luce.
2) il NERO. Quando il Milan rientra per la ripresa, non funziona più niente. Magia dell’unica sostituzione operata da ThiagoMotta, che dopo aver tenuto fuori il costoso Vlahovic, toglie anche il gioiello Yildiz, confondendo i nostri difensori con l’ingresso di Weah Jr.? Ah, saperlo.
Com’è, come non è, dopo altri due miracoli di Maignan, il primo quarto d’ora del secondo tempo ci dice che c’è solo una squadra in campo – ed è quell’altra. Che l’autore della goffa deviazione che premia Mbangula sia EmersonRoyal, potrebbe essere un caso: forse sarebbe potuto capitare anche a TheoHernandez, che sembrava rientrato in campo con tre panettoni in pancia. Però, manca la controprova.
Ma sono i minuti successivi, con lo stato di assoluta prostrazione dei nostri, quelli che danno alla Juventus lo slancio per chiudere subito la partita, mentre a centrocampo i nostri franano definitivamente. Le sostituzioni sembrano dettate dalla disperazione, e alcune di esse ne generano un po’: Jimenez, sentite le notizie su Walker, tenta di strafare; quanto a Jovic, quello che confonde è il sospetto che non fosse poi così più impresentabile di Abraham.
Tuttavia, per quanto sia naturale puntare il dito contro i propri capri espiatori preferiti, la sconfitta di ieri sera è una sconfitta di squadra. Sì, aver giocato cinque partite in quindici giorni, e con più infortuni che ricambi, non aiuta. Ma è inutile lamentarsi delle cose che non si possono cambiare. Bisogna concentrarsi su quelle su cui si può intervenire: è il 19 gennaio e alla società interessa realmente percepire gli introiti della prossima Champions League, bisogna aprire il portafogli e usare un po’ di quei soldi del famoso bilancio in attivo, ora: se non ora, quando?
Nel contempo, però, ricordiamo sempre una cosa. Il martellamento sui #RimpiantiMilan, quasi tutti nati per giocatori che tanti di noi ricoprivano di sdegnate invettive, andrebbe risolto a monte. Cioè, evitando di fare troppi regali alle altre squadre italiane, che chissà perché continuano a essere molto interessate ad alcuni giocatori che molti milanisti, da quando si è disunito un certo partito che viveva di un solo slogan (“Tutti a casa”), hanno sostituito ai propri nemici politici, e passano le giornate garantendo che sono indegni, viziosi e meritevoli solo dell’esilio.
La stagione sta per entrare in una fase decisiva. La smania di radere tutto al suolo può attirare molte simpatie sui social, ma la faticosa verità è che in questa squadra più che da rifondare c’è da ricostruire, risanare, restaurare. Certo, bisognerebbe avere gente che lo sa fare.