(mettetevi comodi) (anzi, mettetevi su un carro, se credete. O giù da un carro. Non sappiamo nemmeno più se c’è differenza)
1) il ROSSO. In un mondo che premia chi è duro con i deboli e ossequioso con i duri, il Milan difende nobili valori: si fa grosso coi despoti, ma è umile coi poveri. Imbarazzato per aver trovato due gol di lusso (finiture di pregio di Leao su progetti di Reijnders e Fofana), seguiti da una rete rapinosa di Abraham, ha avvertito i sensi di colpa di chi non si sente a proprio agio nelle classi più agiate e per tutta la partita ha offerto al Cagliari una più equa e giusta ripartizione delle ricchezze. Politicamente tutto questo è Rossiccio. Ma siccome il calcio è capitalista, a essere in Rosso è il nostro conto nella banca della classifica.
Scendendo di un gradino, per un Rosso che non fa arrossire c’è il nuovo cofanetto di miracoli di Mike Maignan, a dispetto di chi lo ha messo nel libro nero dei nomi da cacciare d’urgenza. Poi ci sono le buone prestazioni individuali del già citato Leao, di Pulisic e di Reijnders finché ha avuto fiato, del 16enne Camarda – cercato poco dai compagni ma in grado di mettere Chukwueze in condizione di segnare, nonché sostituto di Maignan nel salvare sulla linea un gol sull’ennesimo micidiale corner dei rossoblu. E poi ben ritrovato ovviamente Tammy Abraham, che oltre a un gol prezioso ha dato una gran mano in difesa, un po’ in contraddizione con quella la sua missione apparente, ovvero tenere (da solo) la squadra un pochino alta, diciamo almeno nel cerchio di centrocampo, visto che il Milan di stasera ha stazionato a lungo nella propria metà campo passeggiando e passicchiando.
Abbiamo finito? Non ci crederete: NO.
Una cosa, a livello di difesa, ha funzionato benone: il fuorigioco.
La trappola è stata applicata in modo magistrale, salvandoci da almeno due gol fatti e da almeno un rigore quasi certo. Tanto bene che è scattata persino sul primo gol del Cagliari, ma non prendiamocela con gli omuncoli del VAR: il loro vero obiettivo non è mai stato un campionato regolare, ma far capire agli italiani che la tecnologia non è gelidamente perfetta ma può trasmettere tutto il calore dell’umana pochezza.
Fermi! Qui, prima che giunga qualche saputino eccitato dalla possibilità di ingiungerci di non discutere di arbitraggio, passiamo (ché abbiamo aspettato fin troppo) a…
2) il NERO. Diteci voi da cosa cominciare. Pescate una carta.
In nessun ordine particolare:
- 3 gol venuti dal lato di TheoHernandez (e aggiungete volendo quello annullato a Viola e la parata di Maignan sulla linea);
- la deliberata lentezza nella costruzione del gioco, demandata almeno metà del tempo al succitato Maignan;
- i cambi diciamo non fortunati, di Fonsie. Difficile considerarli cambi “conservativi”, visto che il Cagliari si è trovato persino meglio;
- i palloni persi, preferibilmente nella nostra metà campo;
- i palloni nemmeno persi, ma cocciutamente consegnati agli avversari, preferibilmente nella nostra metà campo. Solo nel minuto che precede il 3-3: a) Pavlovic controlla male e ha un rimpallo fortunato su Luvumbo b) Theo rimette in gioco per Fofana in mezzo a due avversari c) Fofana perde il pallone d) Fofana si ritrova di nuovo il pallone tra i piedi ma tocca indietro per innescare l’attacco decisivo del Cagliari (…tutto in 60 secondi, controllate).
Visto che la partita si è messa male subito, forse non sapremo mai se la mollezza del Milan visto a Cagliari va attribuita in maggior misura all’approccio di Fonseca o a certi giocatori e alla loro voglia di risparmiarsi tra il Real Madrid di martedì sera e le nazionali della settimana prossima. È ovvio che non aiuta la già ricordata povertà della rosa, nella quale LoftusCheek è diventato uno spettro shakespeariano e Tomori un reietto dickensiano (perché ambedue meritano di essere descritti da tragici autori inglesi).
Tuttavia, c’è qualcosa di bizzarro nel fatto che il Milan abbia giocato benino nello spicchio di partita in cui ha inseguito il pareggio, poi meno bene una volta segnato, e MOLTO meno bene dopo aver messo il gol dell’1-2, e in modo inconsistente e tremebondo dopo aver trovato il quasi inaspettato terzo gol. La sola banalità che possiamo dedurre è che questo Milan non ha la personalità per chiudere le partite, per sfruttare l’inerzia cercando d’impeto di sferrare il colpo del KO all’avversario appena colpito. Sembra fare proprio il contrario: invitarlo a chiamare il bluff, a tirarci giù i calzoni davanti a tutti, per ridimensionarci ogni volta che qualcuno vagheggia una nostra specie di grandezza. È una squadra che è la prima a scendere dal proprio carro.
Ma un momento.
C’è ancora, un carro? E se sì, dove pensa di andare?
Agli stupidesimi di ChampionsLeague? A contendere il 4° posto a squadre più abili di noi di prendersi i 3 punti quando devono? A contendere ad altre squadre che non riusciamo a battere come Lazio o Fiorentina il 5° o 6° posto? A battersi leoninamente nella coppitalia, perché “è pur sempre un trofeo” – anche se la sua formula e la collocazione su Mediaset, patria delle Prime Serate più cretine della nazione, dice molto sul suo vero valore? Finora la mancanza, punti alla mano, di un vero padrone del campionato, ci aveva fatto illudere della possibilità di fare da wild card nel mazzo dell’alta classifica. Ora il timore di molti di noi è che la totale mancanza di continuità sia il sintomo che quest’anno di costruzione di una nuova era dopo il ciclo di Pioli non stia in realtà costruendo niente che non possa essere soffiato via – e non da lupi cattivi come il Real Madrid o la Squadra Onesta, ma da cani da compagnia o da cuccioli che non hanno nessuna paura di noi. E come dar loro torto.