Il Rosso & il Nero di Atalanta-Milan

(avviso: è lungo. Perché sì. Certo, che oggi è lungo) (e oggi è il giorno in cui si fa l’albero di Natale) (quindi, potete leggerlo a puntate – oppure ciao, e amici come prima. Più o meno)

1) il ROSSO. Nel calcio può sempre capitare di tutto, specie in un torneo in cui nessuno pare molto più forte degli altri (malgrado gli innamoramenti degli opinionisti pagati per innamorarsi – ma dare opinioni è il mestiere più antico del mondo). Però il Milan a Bergamo si è del tutto sfilato dal remoto sogno di competere per il primo posto, e pure per il secondo e terzo. Solo in quanto ComunqueMilanisti e comunque ottimisti, non includiamo il quarto.

Sono finite le illusioni, quindi è tempo di cambiare strategia. Oppure, di averne una (dipende da quanto siete inveleniti). Noi restiamo convinti che i giocatori del Milan non siano una Banda dei brocchi. Né abbiamo dei capri espiatori personali come tanti tifosi, che per i gol subiti dall’Atalanta hanno individuato circa una decina di diversi responsabili a seconda delle loro antipatie private. Pescando dai commenti alla nostra diretta: Maignan, TheoHernandez, EmersonRoyal, Musah, LoftusCheek, Fonseca, e per alcuni, sempre e perennemente Leao.

Per altri, i colpevoli di tutto saranno sempre i milanisti che pagano il biglietto.

In tempi esasperati, si sente dire di tutto.

Fonsie, benedett’uomo, ha indicato come colpevole l’arbitro LaPenna, che più che altro sembra uno che legge la serieA meglio di lui. Le nostre tre sconfitte in campionato a Bergamo dal 2019 (compresa quella là famosa, con Donnarumma in lacrime) hanno avuto sempre lui, e nessun altro, a fischiettare felice. Tre volte su tre.

Colpa dell’abile Federico LaPenna, se il Milan ha perso? Nemmeno per idea.

Però Federico LaPenna forse ha capito, come altri, che il Milan può essere trattato a merluzzi in faccia senza problemi, per il godimento dei media, e anche di metà dei suoi stessi tifosi. Ciò non è bello, ma è il sintomo che la famosa mediocrità del Milan è un assunto del sistema-calcio nel suo complesso. E non bastano vittorie col RealMadrid o con l’Inter per dissiparlo.

Ma qui è necessario ammettere che la mediocrità ieri sera si è vista, nero su…

2) il NERO. Con l’infortunio di Pulisic il Milan ha smesso di giocare a pallone. E non tanto per la perdita di qualità data dall’ingresso di LoftusCheek (che a tratti è stato uno dei più propositivi dei nostri). No! Semplicemente, il Milan ha mostrato forte e chiaro di essere appagato dell’1-1. E per tutto il secondo tempo è parso che l’Atalanta ci stesse pure.

In realtà, siamo stati colti impreparati e deconcentrati proprio all’apice della nostra certezza di avere addormentato labellafavola del calcio italiano, che ieri sera non ha mostrato il calcio spumeggiante previsto dalla sua narrazione.

Con tutta la sua dabbenaggine, il Milan ha pensato, gongolante, di essere al suo livello. Avendola trascinata giù, a volare basso.

Però l’Atalanta, pur appannata dal nostro ritmo da tristo fado portoghese, vuole vincere le partite, e noi no. Non ci abbiamo letteralmente provato. Non è la prima volta che il Milan di Fonseca cerca di congelare la partita nella grafite quando pensa che giocando a calcio avrebbe più da perdere che da guadagnare. Un calcolo fatto visibilmente a tavolino, anche in partite in cui mostra di avere armi per fare male ai rivali (vedi l’inizio col Liverpool, vedi l’inizio con l’Atalanta e poi la reazione al gol falloso di DeKetelaere). In altre (Milan-Juventus) decide perentoriamente di non muovere foglia fin dall’inizio. La sensazione, senza essere Piolers o AndonioGonders, è che la decisione di staccare la spina arrivi dalla panchina, come se la soluzione fosse: non svegliare il can che dorme.

Alla lunga però, il cane, che sia il Liverpool o il Bayer Leverkusen o la Fiorentina o l’Atalanta, si sveglia e si accorge che a dormire eri tu.

Le partite vinte dal Milan quest’anno sono state quelle in cui la squadra ha giocato a pallone dall’inizio alla fine (si può discutere per lo SlovanBratislava, dove comunque il campanone d’allarme è arrivato alla fine grazie a una dormita dell’arbitro, forse pure lui intorpidito dal nostro nongioco).

Qualche milanista amareggiato sostiene che i giocatori a disposizione sono scarsi, oppure stanno mandando segnali (…col linguaggio del corpo, ovviamente) di fregarsene. Come già detto, non condividiamo. Ieri sera per esempio Reijnders, forse per stanchezza (o perché ingabbiato dall’Atalanta con quello che a volte sembrava un centrocampo a 6) è stato uno dei più opachi, e non pensiamo che si possa dire che sia uno che se ne frega o che sia scarso. Per contro Gabbia e Thiaw non sono ritenuti campioni da nessuno, ma hanno capito cosa gli si chiede di fare, e si applicano per farlo. Altri continuano a sembrare un po’ perplessi. Il loro emblema è come sempre il “ciondolante” (cfr. la GazzettadelloSport, ogni tre giorni) Leao. Quando messo in condizione di fare quanto sa fare, ha saltato l’uomo e ha servito l’assist per il pareggio. Poi, non ha quasi più ricevuto palloni, forse anche perché il nostro playmaker era, visibilmente, Maignan. Dall’uscita di Pulisic il Milan ha ignorato la fascia di Leao e giocato quasi solo a destra, con Musah e LoftusCheek. Ed è andata come è andata.

Bene. E ora? Parliamone.

L’obiettivo campionato, amici, è andato. Ciao.

In ChampionsLeague si può andare un pochino avanti (magari ci starà pure un’impresa o due, ma non è un obiettivo realistico).

Il Trofeo Piersilvio Berlusconi, chi lo sa: magari potremmo paradossalmente vincerlo, ma è un inconsistente brodino che soddisfa chi vuol vedere “alzare un trofeo” e di solito entra in conversazione quando si fa notare che lo ha vinto qualcun altro coprendosi di gloria immortale. Ma che cavolo ci fai, con la coppina? Onestamente.

Rimane quell’idea del quartoposto. Solo che bisogna lasciarsi alle spalle una tra Napoli, Atalanta, Inter, Juventus. E fare i conti con la voglia matta di Lazio e Fiorentina.

Non è impossibile ma è molto difficile. Per prendere quel treno, bisogna vincere tante partite.

Ma per vincerle bisogna giocarle. Non addormentarle.

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