Il Giorno da Milan Extra di oggi è di Alessandro, in arte Ale79 (@Ale8576), che ci racconta un giorno sensato di un anno come si deve.
6 ottobre 1991. Tre giovani a battesimo
È il 22 dicembre 2019 e sto scrivendo il mio Giorno da Milan in una domenica un po’ particolare. Abbiamo appena preso 5 (cinque) legnate (a zero) da una squadra dagli orrendi colori nero e blu: non quelli dei fastidiosi bauscioni, tanto per capirci, ma di una simpatica città in provincia di Brescia (cit. ComunqueMilan, of course). Interessante, come premessa? No, ma quantomeno curiosa. È quantomeno curioso il fatto che IL MIO GIORNO sia proprio un Atalanta – Milan di quasi 30 anni fa. Ed è per me un giorno da ricordare, quel 6 ottobre 1991, poiché è stato il mio battesimo in trasferta coi ragazzi.
Il battesimo nel Tempio era di una decina di anni precedente, con la squadra in B. Altro calcio. E poi gli anni ’80, poche partite ma buone (il Derby di Hateley su tutte), spesso curvo e rimpicciolito davanti a mio padre perché i bambini non pagavano e bastava spingerli dentro con l’adulto che mostrava il biglietto. Altro calcio, appunto. Altri tempi, altro San Siro.
Qui, invece, si faceva il grande salto. Per la prima volta, io e mio fratello in trasferta da soli. E per rompere il ghiaccio, si sa, a volte è meglio partire dalla prova più difficile, perché tutto il resto sarà poi in discesa (O no? Crediamoci). Pullmann, quindi, da piazza Castello. Ma non organizzato, non ne avevamo avuto tempo: io e lui, con altri umani normali. Arrivo a Berghem e poi a piedi verso lo stadio, le sciarpe ben nascoste. Un po’ di paura? Si, in fondo eravamo due ragazzi soli di 15 e 21 anni e non sarebbe stato piacevole un incontro coi magutti, i quali, come noto, si muovono in branco un po’ come i lupoidi, anche se notoriamente meno svegli, ma più agguerriti.
Raggiungiamo lo stadio, ci infiliamo nel settore. E lì inizia la partita. In discesa no. Sul velluto neanche. Ma una di quelle che, già da subito, sai che avresti guidato tu, del cui destino saresti stato artefice tu; non in balìa degli eventi o degli avversari, per intenderci. So che per i fedeli più giovani può sembrare un concetto strano, ma per un decennio, dall’inizio dell’era Sacchiana all’ultimo anno di quella Capelliana, è stato così. Le danze le guidavamo noi. E infatti siamo già avanti dopo 3 minuti: rigore in piena area sotto la curva malcolorata, il fallo di mano lo vediamo anche noi dall’altra parte. Solito saltino di Van Basten, palla nell’angolino alla sinistra del portiere, che intuisce ma non ci arriva, come avrebbe detto uno Zuccalà qualunque alla DS. Del resto, se la metti nei 60 cm fra il portiere e il palo è gol sicuro, come invece citerebbe un Buffa non qualunque, sommo aedo moderno non a caso tifoso di una certa squadra di Milano. Poi segna anche Gullit di testa ma l’arbitro Nicchi, di cui sarei diventato collega di lì a un anno, annulla per un fallo che francamente non vediamo (e infatti non c’è). Inizio ripresa e raddoppiamo subito, stavolta sotto la nostra curva e su azione da calcio d’angolo (anche questo, in quegli anni, non era affatto strano). Angolo battuto corto, scambio immediato e botta da fuori all’incrocio. E poi ricordi di una partita sotto controllo fino a quando vediamo la curva di fronte rumoreggiare, contestare, financo ondeggiare, palesemente incazzata per come si stanno mettendo le cose. “Invadono!”, grida qualcuno, “Vogliono invadere!”.
Non credo potesse succedere, ma poco conta: ci pensa Seba Rossi a fare una delle cose che gli venivano meglio e che più ci facevano godere in quegli anni, ovvero stendere uno dei loro. Solo che qui siamo in area e, come sa anche chi non è e non sarà mai collega del Nicchi, di norma ti fischiano contro un rigore. E va sul dischetto Bianchezi Careca, cui i berghem dedicavano in partita il simpatico coro “I love you Bianchezi” sulle note di “Can’t Take My Eyes Off You”, con metrica discutibile (non tutti oltre Adda ascoltano Donizetti, è palese). La curva si placa, pronta al gol e all’arrembaggio finale. Noi, muti. Batte lo scarsone e Seba fa un’altra delle cose che gli venivano meglio e che ci facevano godere ancora di più, ovvero parare i rigori. Qui la curva si incazza davvero, ma da lontano vediamo movimenti di simpatici tutori dell’ordine in divisa dietro la porta del nostro corazziere, e tutto scema.
Il rientro, nonostante le preoccupazioni, è tranquillo: sciarpe sempre negli zaini, pullmann, e a casa, ancora elettrizzati dalla trasferta, dalla vittoria, dalla curva, il fumo, la voce che è andata…insomma, le solite cose che avrei imparato dalle trasferte con la Fossa negli anni a seguire, partendo dal solito ultimo binario in Garibaldi sui soliti treni merci con il solito freno a mano tirato un po’ quando cazzo pareva.
Ora, a chi avrà avuto la pazienza di arrivare sin qui, sorgerà spontanea una domanda: “Ma…non c’era un terzo battesimo? Due sono i vostri, ok, e l’altro?”. Ma è Demetrio Albertini, che segna il suo primo gol in serie A con l’azione da calcio d’angolo di cui sopra, un’azione alla Donadoni, genio assoluto di Cisano Bergamasco, Valle San Martino. Ecco, era un decennio in cui, come se fosse niente, tiravamo fuori dal cilindro gente del genere…
PS: A fine serata di questo brutto giorno di dicembre 2019 vedo sui social le immagini di Gasperini, allenatore gobbo in trasferta sotto le Orobie, che saltella mentre i suoi ci umiliano sul cinque a zero. Tranquillo Gasp, saltellavano anche in curva al Comunale su “I love you Bianchezi”…poi sappiamo com’è finita, e come finirà. Magari non quest’anno, ma sappiamo aspettare meglio di chiunque altro…
(Alessandro @Ale79)