Giorni Da Milan Extra – 29 aprile 1990

Dove vorreste essere il giorno in cui la squadra vince una coppa o uno scudetto? Ci sono diverse possibilità – diciamo, a San Siro, oppure nello stadio dove il trofeo viene messo in saccoccia, oppure in piazza Duomo a Milano, o in altro luogo per voi significativo, circondati possibilmente da facce amiche. Invece, dove NON vorreste mai essere quando la squadra quel trofeo lo perde? Luca Atero (@LucaADB79) ci racconta una storia di dolore e redenzione.
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LA PECORA (rosso)NERA
Il 29 aprile 1990, giorno del secondo scudetto del Napoli, in Campania la partita fu trasmessa in diretta tv – caso rarissimo all’epoca – per motivi di ordine pubblico. Una settimana prima, a Verona era successo quello che sappiamo e l’ipotesi di un suggestivo spareggio tra Milan e Napoli era ormai tramontata. Io avevo dieci anni, avevo già pianto tutte le mie lacrime e sapevo che avremmo vinto l’ultima (e infatti, 4-0 al Bari), ma anche che loro avrebbero portato a casa almeno il punticino che gli serviva. E infatti, 1-0 alla Lazio.
 
Quel pomeriggio il salotto brulicava di parenti, tutti vestiti e dipinti di azzurro e di tricolore. Dopo la partita, decisero di unirsi alla folla che, passando sotto il nostro balcone, dall’Arenella scendeva verso il Vomero e di lì al centro storico.
 
Il problema era che con loro c’era la pecora rossonera della famiglia, quel bambino col morale a terra ormai da giorni.
Poco male, pensò qualcuno: trucchiamo e portiamo anche lui. Magari siamo ancora in tempo a fargli cambiare idea. Si sbagliavano naturalmente, ma non ebbi la forza di oppormi. Il corteo era festoso e pacifico, ma io più che altro mi sentivo un ostaggio, un nemico sconfitto che attraversa le sue personali forche caudine.
 
Per fortuna non durò molto. Arrivammo sotto casa di altri zii, che ci invitarono a salire. Aprì la porta mio cugino un po’ più grande, ma tutto sommato coetaneo, tifosissimo del Napoli, compagno di giochi e avversario di mille partite di Subbuteo. «Mi hanno costretto. Forza Milan» riuscii a dire con la voce rotta, prima di correre in bagno a lavarmi la faccia da tutto quell’azzurro. L’ultima cosa che volevo era sembrargli un voltagabbana, uno che cambia casacca per schierarsi coi vincitori. È quello che ancora oggi rispondo a chi, non conoscendomi bene, vuole farmi notare (di questi tempi, poi) che al posto della squadra della mia città ne ho scelta una più ricca e vincente.
Provateci voi ad essere bambini milanisti a Napoli negli anni di Maradona. Provate ad esserlo quel giorno.
 
Per me è stato un momento chiave. Mio cugino era giustamente felicissimo, ma non me lo fece pesare. Gli avevano da poco regalato l’Amiga 500 e ci mettemmo a giocare a World Cup ’90. Ci tenevamo tantissimo a quel mondiale, che sarebbe iniziato di lì a poche settimane, e non vedevamo l’ora di poter finalmente tifare per la stessa squadra. Sapeva vincere con stile, devo ammetterlo. Me ne sarei ricordato un paio d’anni più tardi, cercando di darmi un contegno (anche perché eravamo circondati da facce non tutte raccomandabili) quando al San Paolo, Van Basten segnò uno dopo l’altro quattro gol sotto i nostri occhi. Era già arrivato – proprio a Napoli – un altro scudetto, e avevo definitivamente dimostrato la mia fedeltà, nella buona e nella cattiva sorte.
(Luca Atero)

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