(di Dolce Stil Milan)
Quella del 22 settembre 2024 è la nostra “sera dei miracoli”. Sia chiaro alle nuove generazioni: quello che avete visto domenica sera è un ritorno alla normalità, una normalità che, qualche anno fa, era tanto frequente da sembrare quasi banale. Però domenica sera, beh, è stata una serata strana e profonda, di quelle da passare in centomila in uno stadio, che l’ha detto anche DAZN, anzi l’ha mandata “in onda”.
I presupposti della disfatta c’erano tutti. Loro belli, impossibili, invincibili, occhi neri e sapor di Asia orientale. Certo, manca la liquidità, ma chi se ne frega! Noi, invece, per liquidità siamo un omaggio a Bauman: una società liquida, una difesa liquida e quelli che teoricamente sarebbero i nostri campioni che facevano a gara a chi fosse il più “liquido”. L’inizio di stagione, poi, è stato scintillante. Abbiamo preso due gol a partita da chiunque: Torino, Parma, Lazio, mentre al Liverpool ne abbiamo concessi tre, giusto per mantenere una certa proporzionalità.
Ciononostante, mentre ci chiedevamo chi nel “gruppo di lavoro” fosse il vero autore di questo scempio, qualcuno si autoproclamava Boss e, in linea con le sue smanie da divinità, al settimo giorno si riposava, salvo poi ritornare a San Siro nella tempesta esibendosi in improbabili discorsi su gattini e leoni, convinto di aver fatto “cosa buona”.
E il mister? Beh, sembrava proprio l’espressione di chi lo ha scelto: completamente fuori fase e fuori contesto, a molti – me compreso – faceva quasi tenerezza per come (mal)trattato negli studi televisivi. Non si può nemmeno parlare di dissing (seppur questo vada di moda, specie in certe trasmissioni), visto che, con grande autocontrollo ed educazione, ha sempre elegantemente incassato. Del resto, l’unica cosa che sembrava aver allenato bene fino a quel momento era la fantasia di tifosi ed esperti di mercato nel lanciare nomi esotici per il suo sostituto (ho letto nomi che voi umani…), che tutti giuravano essere pronto a subentrare già da subito, anche se il Milan avesse vinto il derby. Ma figurati! E invece?
Invece arriva la sera dei miracoli. Fonseca, l’allenatore che fino a ieri sembrava quasi non aver mai visto giocare il Milan, ha dimostrato che i derby non solo li ha visti, ma li ha soprattutto “capiti”. Ha capito che Acerbi, Bastoni e Pavard possono bullarsi in un tre contro uno, ma contro due punte soffrono tremendamente. Ha capito che con Reijnders “in cattedra”, Barella e il miglior regista della galassia possono solo andare a lezione. Ha capito che Morata e Abraham lavorano talmente tanto e bene da poterci permettere il lusso di un 4-2-4, anche con esterni di difesa e d’attacco la cui fase difensiva non sarà mai il loro mestiere. Ma Fonseca, con una scelta ancor più coraggiosa, dimostra di aver capito (anzi, ci spiega a tutti, anche a chi lo scherniva negli studi televisivi) che in una gara del genere l’unica cosa veramente irrinunciabile è il Milan stesso e chi, più di ogni altro, incarna questo concetto: Matteo Gabbia. (E Pavlovic non l’ha messo? No, Gabbia!)
Difatti, per essere sinceri, la cosa peggiore del Milan fino alla vigilia del derby non erano i risultati o i gol subiti, ma la distanza siderale dal vero Milan, dall’amore e dal senso di appartenenza che questo concetto implica. Così, in piena crisi di identità, l’unico in grado di farci risorgere non poteva che essere proprio Matteo Gabbia, che, come Enea, rappresenta il pius per eccellenza, chiamato dagli dei a tramandare i valori del suo popolo.
Bertolt Brecht disse che è “beato il popolo che non ha bisogno di eroi”. Nel calcio – ma il concetto può estendersi oltre – vale esattamente il contrario. Di eroi veri c’è un disperato bisogno, anche perché quelli che ci propongono lasciano molto a desiderare. E gli eroi sono quelli come Matteo Gabbia, un esempio dentro, ma soprattutto fuori dal campo. In questi anni Matteo non solo ha dimostrato una crescita nelle sue prestazioni che, di per sé, è sintomo di professionalità e applicazione, ma ha soprattutto messo in mostra un’educazione, un’umiltà e un’intelligenza senza pari nel mondo del calcio (anche qui il concetto si può estendere oltre). Perciò, se le sue letture difensive vanno fatte vedere nelle scuole calcio, le sue interviste vanno invece proiettate nelle scuole elementari, sperando che molti bambini provino a imitare lui e non i propri genitori su Instagram. Lo sappiamo, non tutti i nostri problemi sono stati cancellati, anzi. Il derby è una parentesi dolcissima, ma che dobbiamo considerare chiusa e piantarla come un seme, perché diversamente rischieremmo di ripiombare nell’apatia e nel caos alla prima occasione utile. Ma una cosa, dopo domenica sera, lasciatecela dire: “Si muove la città”, finalmente.