(NdR: il titolo qui sopra è del Conte. Ci teneva)
4 maggio 2014
Non so se abbiate mai letto ‘I Furiosi’ di Nanni Balestrini. Nel caso, fatelo. E’ vero, è un resoconto piuttosto romanzato e spesso confuso della Sud vista nell’ottica delle Brigate d’inizio anni 90, ma è un gran libro, soprattutto se, appunto, valutato come romanzo e non come memoriale. Che c’entra? C’entra c’entra. Perché c’è un passaggio in quel libro, anzi no, a dire il vero una frase che Balestrini stesso ha usato in un’intervista per spiegare il motivo per cui l’avesse scritto, parole che ho stampato in Arial Narrow 28 ed ho incorniciato, in modo tale da rileggerla ogni mattina quando mi sveglio e me la ritrovo vicino alla foto della mia fidanzata (ad avercela). Eccola qua:
‘Il calcio è l’ultima forma di racconto epico’.
Cioè, io me la ricordo così e quindi fidatevi, ma il punto è che è si tratta di una sovrana verità.
Per questo amo questo stupido e assurdo sport, non certo per i record di quel nano insopportabile di Messi o per i capelli laccati di Cristiano Ronaldo, idoli che servono a vendere magliette a dei mangiariso dall’altra parte del creato che fino a ieri si esaltavano per la corsa delle salamandre ammaestrate. Ecco, che il calcio viva in una dimensione epica lo si vedeva da ogni singolo particolare di ieri sera. Lo stomaco chiuso da due giorni, il tempo che non passa mai prima di uscire di casa, mia mamma che al telefono mi dice ‘Ma che hai, hai problemi al lavoro?’ E io che le dico ‘No no mamma, è il derby’, e lei che sospira, ricordandosi che ha un figlio coglione quando le altre madri hanno degli eredi che la domenica fanno il brunch e si tirano i frisbee al Parco Sempione insieme alla prole.
E poi l’arrivo allo stadio, il tentativo (fallito) di non salire su al terzo verde, dove immutabilmente ogni stagione ci spostano. Che va bene tutto, mi sono detto, ma due anni di derby piazzato al terzo verde in mezzo alle Merde sono stati due stagioni di sciagure e di partite gettate via, quindi anche basta, inventiamoci qualcosa.
Alla fine nulla: saliamo arrovellandoci su come sgamarla con improbabili stratagemmi, quando invece scopriamo che non c’è nessun filtro nel passare da una parte all’altra e quindi ci spostiamo verso la Sud, in cui rimetto piede, anche se al Terzo e non al Secondo Anello, per la prima volta dal quel Novembre del 2005.
E lì lo senti nell’aria, che l’inerzia è dalla tua, ancora prima di iniziare. La gente ha la faccia affamata, la Nord ha spazi vuoti che non avevo mai visto in una stracittadina, da sopra non vedo la nostra coreografia ma dopo, a casa, non potrò che applaudire volentieri anch’io a chi grida ‘Vergogna’ a chi batte le mani agli assassini di un povero ragazzo come Federico Aldrovandi.
Pronti, via iniziamo. Il Milan de-hondizzato nei primi dieci minuti mi sembra messo meno bene, ma è un’impressione iniziale, da lì in poi non gliela facciamo vedere quasi mai, a parte quando DeSci (spiace, ma ieri un disastro) fa scendere il loro Banzai fino all’area piccola. Abbiati si sporca per la prima e unica volta i guanti e torniamo tutti tranquilli.
La sensazione però è che la vogliamo di più, persino Constant, tocca dirlo, disputa un partitone, per quello che è capace eh. La gente si spolmona, canta e spinge la squadra, Kakà prende una traversa che mi fa bestemmiare tutte le divinità sumere, il primo tempo finisce e alla fine mi dico che la stavamo meritando più noi e che questa cazzo di partita: non basta che non la perdiamo, dobbiamo portala a casa.
Niente, si riparte dallo 0 a 0. Ancora tutti sotto, prima in modo accorto, poi proprio alla garibaldina. I ragazzi sono incajenniti e noi con loro, li spingiamo letteralmente e loro schiacciano le Merde a ridosso della loro area. Non combiniamo granché, va detto, ma la sensazione è che il fatidico goal sia lì, manca niente. Finché fallano Taraabt, punizia spostata sul lato. Io dico: Balo da lì tira: è un pazzo e vuole metterla in porta perché sogna di segnare al derby da quando se ne è andato dalle Merde. Il mio amico Dra mi dice, ma dove cazzo vuoi che tiri che è tutto di lato. Tira, tira ti dico. Beh, non avevo ragione ma quasi, perché Marione fa partire un missile terra-aria a mille all’ora su cui Handanovic non può minimamente azzardare l’uscita. Da dove sono io, vedo un assembramento tipo manifestazione in Cairoli alle 9:10 di quando facevo il liceo, un insieme di omini che si spostano finché sbuca dal nulla De Jong e la incoccia senza se e senza ma. Una sassata che gonfia la rete proprio sotto di noi.
Godo come se non giacessi biblicamente da tre anni, e con me orgasma praticamente tutto il popolo casciavit. Ci abbracciamo, ululiamo alla luna come giovani Lupi Mannari (quello della doppietta nel 4 a 0 ai gobbi del 1989), vorremmo tutti scendere ad abbracciare quell’uomo d’acciaio, uno dei pochi a cui non si può mai dire nulla, mandiamo a fanculo le Merde con gesta belluine che nessuno, nessuno delle persone che normalmente frequentiamo al lavoro vorremmo che vedesse mai.
Davvero, lo dico con il cuore in mano, davanti a botte d’adrenalina del genere compatisco quelli che mi guardano con aria superiore quando dico che sì, ho l’ansia per una stupida partita di calcio, brutto invertebrato che te vincere un derby non sia nemmeno cosa vuol dire, vatti a seguire le tue serie tv con cui tanto ti trastulli.
Devo dire che dopo ieri sera finalmente capisco appieno i miei (pochi) amici di fede avversa che da sempre sostengono il teorema per cui Mazzarri sia un demente peggio di Allegri (…e ce ne vuole, eh). Davvero, come si faccia a tenere in panca uno come Guarin me lo deve spiegare, e per tenere in campo Cambiasso, che oltretutto – a casa ho avuto modo di apprezzarlo in mille replay – sul gol è rimasto fermo come una statua di sale, forse per ammirare con dovizia di particolari i mille tatuaggi che Nigel nostro ha un po’ ovunque.
Ci ripigliamo. Calma e gesso ragazzi. Manca ancora troppo, troppissimo e l’inculata è sempre dietro l’angolo.
Entra Alvarez e penso, l’anno scorso ci ha segnato Schelotto, sta a vedere che solo noi siamo in grado di rianimare i loro rottami. Si ripresenta anche Milito e un brivido scende lungo la schiena, soprattutto perché pochi minuti dopo Clarence butta dentro anche Abate e tutti, tutti, dal primo all’ultimo, pensiamo la stessa cosa: ‘Ignazio, me racumandi’. Invece sarà il mio occhio di tifoso, ma me lo confermano anche dopo le cronache, le Merde non fanno assolutamente nulla, mentre noi gettiamo al vento almeno un paio di contropiedi per golosa cupidigia.
I quattro minuti di recupero li passo in iperventilazione, conto un paio fra corner e punizioni dal limite che nella mia fantasia leggo come pericolosissimi, mentre in realtà non ci hanno fatto manco il solletico. Fischia, fischia cazzo, fischia.
E alla fine fischia davvero. Finita.
In questo momento non voglio pensare alla faida interna per fare le scarpe a Clarence, non voglio pensare al fatto che serva un miracolo per arrivare sesti (sesti!), né a quella specie di sgorbio immondo che un designer che dovrebbe restarsene a disegnare caffettiere vorrebbe piazzare al posto del nostro glorioso stemma. In questo momento lascio che mi scorrano dentro i mille rivoli della felicità nell’ammirare sul tabellone la scritta: “Milan- Inter 1-0’. Siamo qua dove si vede lo skyline di Milano e le stelle sono lì ad un dito, ma come un sol uomo siamo insieme ai nostri ragazzi che esultano lì sotto in campo. Li vediamo mentre saltano e sono felici. E non ci vuole il binocolo né un intuito felino per leggere che sulla faccia hanno quell’espressione che potremmo sintetizzare semplicemente con queste forbite parole:
“Vi abbiamo spaccato il culo, merde. A casa!” A CASA!
Ma come puoi preferire guarin a cambiasso?
lacrimo, felice!
peccato che sono in metropolitana…….