Non credo agli oroscopi. Per la precisione, non ci credo più dal 1990. Il punto è che l’oroscopo di non so quale rassicurante magazine che all’epoca girava a casa dei miei valutava i giorni della settimana con delle stelline. Da rosso, giorno orrendo, fino a oro, giornata meravigliosa. Quella domenica, quella maledetta domenica, era oro. Oro, cazzo. Lucido come la fottuta Arca dell’Alleanza di Indiana Jones. Quel giorno c’era anche il derby.
Girone di andata dell’anno abbastanza di transizione 1990-91: 18 Novembre. Pochi mesi prima i Pulcinellas ci hanno scippato lo scudo sappiamo tutti come. Ricordo il consueto assedio alla porta di Walterone Zenga (ehilà, chi si rivede), e poi all’85esimo, su un classico contropiede, lui, il maledetto, l’uomo che ho detestato più di tutti nella mia ultratrentennale carriera da milanista, Nicola Tiodio Berti ce la infila di testa. 0-1. Partita finita. Due derby persi in casa nello stesso anno solare.
Sono cose che fanno male, malissimo. E infatti, da quel giorno ho smesso di credere agli oroscopi. Basta. (Però. Però c’è un lieto fine. Tipo il Cigno che nel derby di ritorno, a casa loro, la domenica dopo l’immane figuraccia delle luci di Marsiglia, stoppa una palla, si gira e l’infila di giustezza all’angolo, ammazzandogli alle Merde la rimonta scudetto alla Doria. Spiace. Perché ricordatevelo, alla fine il Bene trionfa. E non siete voi).
Insomma, sta di fatto che pochi minuti dopo un altro derby, quello di Natale timbrato da Cutrone, la mia carissima amica Laura (una splendida romagnola roscia con cui condivido l’amore per l’Estathe’, New York e il Milan) mi ha scritto: “Hai visto, siamo liberi da Saturno!”. Ora, io ero legittimamente ubriaco marcio e quindi non ci ho dato peso, poi lei mi ha spiegato che essendo il Milan nato il 16 Dicembre, di fatto è un Sagittario, segno da cui finalmente pare sia uscito Saturno, pianeta foriero di sfighe inenarrabili. Sarà vero, sarà una cazzata, sta di fatto che mentre era il 96esimo di una partita ancora inchiodata su un misero 1-0 e il Crotone batteva il classico calcio di punizione della morte, guardavo il cielo su in alto, augurandomi che non solo Saturno si fosse levato dal cazzo rispetto al Sagittario, ma fosse proprio in gita all’Ikea della Via Lattea.
Cioè, prima ho guardato Cordaz, il loro portiere conciato come un gabber, per sincerarmi che non salisse a colpire di testa pure lui, perché già prendere un gol da un portiere è sintomo di un grave disturbo mentale, ma prenderne due è da radiazione da tutti i campionati del Regno. Cordaz è rimasto inchiodato in area, meno male, ma uno loro l’ha presa eccome, oltretutto in splendissima solitudine, spedendola alta. Dopo di che l’ineffabile arbitro Maresca è stato costretto a fischiare la fine, prima che i custodi di San Siro ci chiudessero dentro tutti quanti per la notte.
E io mi sono chiesto: ma è possibile che per portare a casa tre maledetti sporchi punti, in una partita che una squadra normale avrebbe vinto 3-0, sia necessario soffrire in questo modo? Possibile serva fare 120 tiri, sprecare considerevoli palle gol, farsi annullare due reti per motivi ai più imperscrutabili, andare letteralmente nel panico appena il Crotone, dico il Crotone preme leggermente sull’acceleratore? San Siro all’inizio ancora piacevolmente ottenebrato dal derby, precipita per 20 minuti nel terrore più freddo e in silenzio segue degli sconosciuti calabresi che senza apparente fatica alcuna arrivano dalle parti di Gigio. Che poi, quelli del Crotone. Si fa presto ad abituarsi a mangiare bene: mi ricordo due (o tre? Boh) anni fa in Coppa Italia, in cui eravamo io, qualche centinaio di milanisti, le birre e circa seimila crotonesi ululanti, tutti eccitati dalla prima volta al Tempio. Chi li ha rivisti ieri. Un po’ come i foggiani, il primo anno in 12mila e poi molti di meno. Si vede che erano ancora a tavola per le Feste. Che poi basterebbe portare un decimo dei calabresi che abitano fra Buccinasco e Rozzano per riempire dieci Maracana’, ma lasciamo stare.
A proposito di true calabrian, il “Ma vaffanculo” di Rino rubato dalle telecamere a fine partita sintetizza la nostra prostrazione. Ci portiamo a casa tre punti e le cose buone che abbiamo visto incastonate nella Stella Cometa che attraversa il cielo di San Siro. Il gol fortunoso ma benedetto di Capitan Leonardo, il giovane Calabria incredibilmente intraprendente, soprattutto il taglio senza senso che Calha spara nel primo tempo, un’apertura di esterno che ancora adesso agita le mie notti. Sarà finalmente l’inizio di qualcosa di buono o solo un caso? Cosa ci riserva questo 2018? Non mi faccio domande e non consulto oracoli. Meglio non rischiare.
Tanto, di sicuro Gennaro Gattuso non ha la faccia di uno che la mattina legge Paolo Fox