Una Stagione all’Inferno 4 – Milan-Ciclisti 1-0

Ciao sono il Conte Fiele e non sono napoletano. Cioè proprio nel senso tecnico, perché sono cresciuto (e abito) a San Siro, mio padre è nato in Via Circo, dietro Sant’Ambrogio, mia madre da bambina abitava in via Fontanesi, vicino a Piazza De Angeli. Il che direi che mi rende piuttosto milanese e molto poco partenopeo. Quindi, se allo stadio canto “Noi non siamo napoletani”, il cazzo di speaker non mi deve dire che discrimino qualcuno, perché sto dicendo una cosa ovvia, tipo che il blè non si mette con il maron, o tipo che in panchina ho la peggior sciagura che sia capitata dalla piaga delle locuste.

Era questo clima un po’ nervosello che accompagnava il primo tempo inguardabile di Milan-Doria, quel tipo di sensazione che hai quando sai che è lì lì per scoppiare il dramma, cosa che puntualmente stava per accadere, quando nell’unica volta in cui hanno messo il naso oltre la metà campo, a momenti i ciclisti ce la stavano mettendo di testa. Tanto per cambiare, uno salta indisturbato e la spedisce fuori di niente, mente i nostri centrali sono immobili impegnati a fare delle rappresentazioni, in stile mimo del Teatro No giapponese, di figure retoriche complesse come la litote e la metonimia.
Per usare un’altra abusata immagine, sarebbe stata la classica goccia che avrebbe fatto traboccare un S.Siro desolatamente vuoto, in cui ci incaponivamo bestemmiando con fare inacidito come i vecchietti sul loggione del Muppet Show. La curva vuota si accompagnava a vasti settori così deserti da ricordare le praterie della Mongolia: mancavano solo le balle di fieno che rotolavano con il vento e degli avvoltoi che si avventano sulla carcassa di un pensionato rimasto da Milan-Cavese del 1982-83 (in cui comunque in campo c’erano Tassotti, Evani, Verza, Serena. Averceli adesso. E nemmeno sto a citare il Capitano). Ci stavano sul cazzo tutti, con punte di autentico fastidio interiore per dei modesti pedalatori che hanno solo la colpa di trovarsi nella squadra sbagliata al momento sbagliato della loro inutile vita calcistica. Ma del resto, vedere insieme Zapata, Constant, Zaccardo, Muntari e Birsa dall’inizio è roba da rimpiangere Andrea Manzo e Nazareno Canuti.

Fine primo tempo e ovviamente parte un concerto di fischi che manco ci fosse Von Karajan sul podio. Che ne sarà di noi, ci chiediamo tutti? Fortuna che là in mezzo almeno due buoni ce li abbiamo: soldatino Poli, che con la sua cajenna se non altro sembra dare un vago sentore di vitalità, e soprattutto il Cesare di tutte le Gallie, Nigel De Jong, già eletto idolo assoluto, un metro e poco più di cattiveria dall’Olanda che randella con cognizione e senso di responsabilità.

Fortuna che appena inizia il secondo tempo, direttamente dall’Hollywood Memorial Cemetery si era materializzato nel cielo sopra San Siro il cadavere decomposto di Frank Capra, che ispirato dalla sceneggiatura di “La vita è una cosa meravigliosa”, suggeriva a Robinho di passarla a Birsa. E qui in slow motion, nel più classico degli Happy Ending, il povero emigrante arrivato di Sluvenia e spernacchiato da tutti come rimpiazzo di Honda, vice Kakà, et infine simbolo della mediocrità innata di questo Milan, sparava nell’angolino un diagonale con terza inserita che finiva in rete, complice un portiere reattivo come il Generale Cadorna a Caporetto.

Gol, lacrime del Valter Birsa, tutti che ci abbracciamo e ci scambiamo un segno di pace. Manca solo la moglie a bordocampo che piange e lui che scavalca per dirle ti amo Svetlana adeso compriamo cucina come tuti italiani di Italia bela. Fischio finale, felicità generale, tutti a casa. Titoli in dissolvenza su crescendo musicale finale.

Col cazzo.

Fatichiamo. Ci sale una fatica immonda, per la precisione. Persino la Doria sembra in modo confuso e improponibile una minaccia. Una squadra che ai tempi belli c’aveva Vialli e Robertina l’Isterica. E fino a pochi anni fa, Cassano e il nostro Pazzo. Mentre adesso è veramente rimpinzata di gente impresentabile. Sopra al terzo anello i doriani si spolmonano per sostenere della gente che meriterebbe di scaricare i bancali di kiwi al porto vecchio di Genova.

Sotto sotto ho sempre avuto stima per loro.

Mi ricordo l’anno del Signore 1986-1987. Girone di ritorno, Milan- Sampdoria. Gol di Vialli, rigore per noi, sbaglia Galderisi, quello consigliato al Berlusca da Agnelli in persona. Segna Cerezo, due a zero. A fine partita, esonerato il buon Liddas Liedholm e arriva Capello. Avevo 14 anni ma vedevo la gente che in composta fila indiana faceva il giro e andava verso la Nord e i doriani ripiegare alla velocità della luce la pezza dei Tito Cucchiaroni. Non voglio fare l’apologia del Far West, ma quelli erano anni, gente. Non si cantava “Se veniamo di lì” ecc. ecc. Si andava e basta. Cioè, andavano – che io avevo l’età per vedere Holly e Benji. Ma come, dire, chi va con lo zoppo impara a sfilarsi la cinta. Del corteo allo spareggio UEFA di Torino si dicono ancora mirabilie, con la pezza UTC bruciata in balaustra. Di quello che è successo a Pontecurone, mi onoro un giorno di poter dire che lo racconterò ai miei nipoti. Non ci crederanno. Gli dirò che è vero. Perché è vero.

Ed ero lì che sospiravo rimembrando l’odore dei lacrimogeni, nemmeno fossero due gocce di Chanel N.5 sulla pelle di Marylin Monroe, che oplà, Robinho, onestamente uno dei migliori in campo fino ad allora, riesce a mancare la porta da due metri due. 

San Siro si costerna e si chiede perché. Da lì in poi il ragazzo ne risente e scompare: per levarlo dall’imbarazzo ci volgiamo verso la classe cristallina di Matri, che diciamocelo, non può essere così gramo. Occhei, non è Ibra, e lo sapevamo, non è manco Mark Hateley, e ci mancherebbe, ma non può essere questo catorcio inguardabile.

Niente, non gli riesce niente: non tiene alta la squadra, viene sistematicamente anticipato, la spara in bocca al portiere nell’unica occasione buona che ha. Il giorno dopo stringerò i miei gatti piangendo, davanti a Ljajic che fa una palomba di giustezza con la sicumera di chi quando si rompe il cazzo prende il pallone e se ne va che lo chiama la mamma per andare a mangiare. Senza dire nulla di Benatia. Uno che sembra meglio tutti i nostri quattro difensori messi insieme.
Ma noi abbiamo preso Matri. Ci serviva un centrale, un portiere, un centrocampista, ma abbiamo preso Matri. Ci ripetiamo questo mantra mentre usciamo da S.Siro dopo tre minuti di recupero vissuti con l’ansia del quarto di Scempions.
Abbiamo preso Matri. Fossi in lui, mi sentirei un filo a disagio.

3 Risposte a “Una Stagione all’Inferno 4 – Milan-Ciclisti 1-0”

  1. Egregio Conte due appunti due:

    -che Matri si senta a disagio mi sembra il minimo visto che ha avuto lo stesso approccio al Milan di Josè Mari (taccisua e di chi lo ha comprati)

    -adesso verrà fuori il solito doriano che dirà che Pontecurone è finita in pareggio (col piffero ne avete prese un sacco e na sporta ed eravate pure il doppio)

    Ps
    Mi cospargo ancora il capo di cenere per averti lasciato solo e ramingo in questa triste e noiosa serata in compagnia dei ciclisti….

  2. Ciao Conte Fiele. Due note a margine. La mia mamma e il mio papà nati e cresciuti a 50 metri dalla Tua. Via Trivulzio e via Parmigianino. Dove è nata la Tua, dal 1914 al 1919 , sorgeva il campo di gioco della gloriosa società NAZIONALE LOMBARDIA FC , maglia a strisce rossoverdi…ci giocò contro anche il Milan. Se mi contatti Ti mando qualche foto interessante… Saluti rossoneri. Stefano POTSY Pozzoni

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