Songs of Faith and Devotion, ep. XII – Milan-Torino

Era il 40esimo del secondo tempo, eravamo tutti lì che ci stavamo rosicchiando i gomiti dalla tensione, Mirko pregava tutti i santi del paese dei nonni in Lucania, Colo aveva il cappellino abbassato sugli occhi per non vedere le palle buttate in mezzo alla disperata da quelli del Toro, io smanettavo compulsivamente su Twitter, cercando parole sagaci per esprimere il mio disagio. E’ stato a quel punto che dietro di noi si è sentita una voce paterna, un papà rossonero che rivolgendosi a suo figlio seduto una fila sotto, gli ha detto con fare dolce e premuroso: ‘Dai, è tardi..andiamo a casa’. Silenzio generale, occhi di brace a guardarlo. Al che l’infante si è girato di scatto e con una vocina che mi ha ricordato George Corpsegrinder dei Cannibal Corpe ha risposto ‘NO PAPA’, IO RESTO, PERCHE’ IL MILAN VINCE’. Bravo! Così si fa, echeccazzo. Ci stiamo tutti spellati le mani come ai tempi belli dei dribbling surreali di Robinho, guardando con cupa disapprovazione il padre snaturato. Ma prendi esempio da tuo figlio che sta qua a presidiare la fortezza fino all’ultimo, invece di fare la fuga pusillanime al parcheggio, Cribbio!

Se c’è un fenomeno da sempre cordialmente detestato è quello di chi scappa prima del fischio finale. Capisco, ma non approvo, quando succede in un tranquillo 2-0 netto e senza paura di sorprese (ma da quanto non ci capita?), ma con un timido 1-0, con una squadra che ha finito la benza, che cuore hai di andartene? Qua si deve restare, con una mano e una dietro, perché tutti, nessuno escluso, sentivamo in arrivo un cornucopia di banane. Anzi direi proprio che dall’inizio del Secondo Tempo in poi sul cielito lindo di San Siro si era materializzata la sagoma inquietante di un Mega Calippone Latente. Di fatto, il nostro serbatoio era clamorosamente in riserva, Ibra camminava e sbagliava praticamente tutto lo sbagliabile, senza che nessuno, ci mancherebbe, avesse a dire alcunché. Soprattutto gettavamo al vento un contropiede dopo l’altro, senza portare a casa quel 2-0 che avrebbe mandato tuttiacasaalè a bersi un bell’Amaro Averna che scalda il cuore. Invece era rimasto in vita, si fa per dire, un Toro così depresso che penso che ai giocatori a cena gli diano direttamente i blister di Xanax insieme ai grissini e la bagna cauda.

E invece no, complice la totale frigidità offensiva dei loro, alla fine arrivava il 90esimo con un collettivo fiuuuuuuuuu di sollievo. Pretendere che venisse replicata l’intensità vista contro i pregiudicati infami ladri impuniti senza Dio dei gobbi del resto era impossibile, ci accontentiamo di questi sporchi tre punti e dopo il debutto di Danielino Maldini contro il Verona salutiamo con una bella pinta alzata in cielo il bar mitzvah di Matteo Gabbia, un bel Cristone alto come il campanile di Sant’Ambrogio. Se ne dice un gran bene, tanto che ce lo siamo tenuto invece di mandarlo a svenare da qualche parte a fare esperienza. Sperem, che da noi si spaccano più centrali che macchine alla 24 ore di Le Mans. E adesso ragazzi, tutti a letto a fare nanna.

 

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