Songs Of Faith And Devotion, ep. XI: Milan-Verona

La Storia siamo noi, nessuno si senta escluso diceva il DeGre, e dagli torto. E la Storia ci è passata davanti ieri quando cercavamo disperatamente di scavallare l’arrocco messo su dagli Hellas a difesa di un pareggino sostanzialmente da loro meritato, che per altro finché sono stati in undici nulla ci hanno levato, anzi. Non parlo certo di una partita di passaggio di una (ennesima) stagione di transizione nel decennio più mediocre e scialbo della nostra gloriosa vita rossonera. Macchè.

Cioè dobbiamo stare qua a dire: eh ma mancava Bennacer, eh non c’era Ibra, abbiamo perso un’occasione per avvicinarci al’Europa? Ma dai, se volete essere sicuri di andare in Europa, quella che conta però, fatevi un bel biglietto per l’Inter-Rail 0-2 un bel last minute per Riga con Ryan Air, che la Champions la vediamo con il binocolo e cara grazia se sfangheremo il sesto posto. E questa non è una lamentela, non è fare il pessimista (moi?), ma una constatazione semplice semplice, davanti alla quale conviene fare spallucce e farsi fare un’altra birretta dall’Andreone e dai suoi amis al baretto, che tanto amen, si sapeva.

La Storia quella vera, è passata a San Siro quando si è alzata la lavagna luminosa del quarto uomo e sul prato di San Siro ha messo piede un ragazzo con scritto MALDINI sulla maglia. Ora, lo dico subito, non entro e sorvolo sugli eventuali problemi del Maldini Paolo con la Curva, che risalgono- va detto per onestà intellettuale- anche ai tempi della Fossa. Quindi evitate per favore, per cortesia, di citare per la centoventesima volta QUELLA partita d’addio. Ce la si può fare? Ma certo che sì, amici miei. Grazie. Preferisco invece pensare che anche se siamo sprofondati in questo liquido amniotico di modestia esistenziale in cui persino l’Atalanta, cioè, dico l’Atalanta, la guardiamo con senso di timore reverenziale manco fosse il Borussia Monchengladbach degli anni 70, dicevo, nonostante questo, succedono cose per cui nel mondo siamo ancora IL MILAN, cioè, spiace per gli altri, la squadra che ha vinto più Coppe di tutte le altre messe assieme e ce ne avanza pure qualcosa. Perché solo da noi succede che l’erede di DUE capitani debutti con la stessa maglia del padre e del nonno, con un carico di aspettativa e responsabilità che povero ragazzo non so come faccia al mattino ad andare a Milanello ad allenarsi, figuriamoci giocare a San Siro.

Ora io Paolo l’ho ammirato per tutta la sua carriera e so già che uno così non lo vedrò mai più, perché uno così non è possibile che nasca ancora. Cesare giocare ovviamente no, però mi è capitato di averci a che fare per lavoro e ragazzi, sembrava davvero Teocoli quando lo imitava. Parlava così, faceva ridere ne raccontava mille, alcune non replicabili, aveva il Milan nel cuore e negli occhi e tanto basta.

Quando Daniel è entrato in campo eravamo tutti un po’ distratti, speravamo in un altro gol oltre il 90esimo e a momenti ci scappava pure. E invece nulla, che mica è sempre Natale. Appena un paio di minuti, e il suo debutto era già finito. Come si dice in questi casi, speriamo ci sia ancora occasione. Un paio di anni fa un ben informato mi confidava che il ragazzo doti ne aveva, ma nulla in confronto ai suoi avi. Che ci starebbe, per carità. Spero però il beninformato (persona stimatissima, per altro) si sia sbagliato, ovviamente in buona fede. Perché anche se magari non sarà mostruosamente forte come suo padre, che a 17 anni era già titolare del Milan e a 19 della Nazionale, spero che Daniel scrivendo la sua storia, quella sua famiglia, scriva anche la nostra.

Forza ragazzo!

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