Songs of Faith and Devotion (collectors edition) – Milan-Torino 4-2

Ma che bella è la Coppa Italia. L’ho già detto? Anche quando pensi che tutto assuma una sua direttiva, una sua traiettoria, un suo codice di geometria esistenziale, ecco che arriva l’inconveniente, il deus exmachina, l’inaspettato che toc toc bussa la tua porta come un cinico commesso dell’Esatri con i baffoni. Mi ricordo un Milan-Toro infrasettimanale di qualche anno fa. Un freddo della madonna, neve e ghiaccio per terra, io e Colo stampellato dopo uno dei suoi innumerevoli infortuni che ci facciamo Via Capecelatro stile sopravissuti da un crash aereo sulle Ande alla ricerca di bacche e licheni. Ricordo quello e Lapadula che involontariamente apre la faccia con dei tacchetti a Joe Hart, nell’incredulità generale delle (poche) migliaia di presenti.

Invece ieri sera eravamo un bel 30mila persone, tutti lì ad aspettare il 24esimo per rendere omaggio al compianto Kobe, dopo che in modo ignobile gli era stato negato il minuto di silenzio dalla Lega Calcio (che stronzi che siete). Eravamo pure passati in vantaggio senza troppa fatica con un Toro confuso e reduce dal massacro interno con i Berghem. Insomma, sembrava una serata da relax a bordo vasca con tanto di cocktail con l’ombrellino e ‘Don’t Stop’ dei Fleetwood Mac in sottofondo, ma invece abbiamo pensato bene di complicarcela. Vuoi mettere un bel 2-0 e tutti a casa? Macché, abbiamo iniziato a guardarci l’ombelico e a rimirare la nostra beltà, dimenticando che pochi giorni fa a Brescia abbiamo portato a casa di riffa e di raffa una partita inguardabile con la penultima. Infatti quelli ce la mettono. Ma come. Ci rimaniamo male. Ma che brutto. C’est la vie. Anzi, ci piazzano pure il secondo, con uno che secondo me una doppietta non l’ha segnata manco quando giocava a porticine con gli amici del cortile.

Adesso posso dirlo, era tutto calcolato, in nome dell’amore. Quello per i gol oltre il 90esimo, quando preciso a Rebic con gli Udin, Calha ha sparato in porta in pieno recupero il 2-2. Quello Immenso per Ibra, che riesce nell’impresa di mandare alto da un metro una palla quasi impossibile da sbagliare. Quasi, infatti. Chiunque sarebbe stato lapidato, invece curva e stadio esplodono d’amore come un cane che ti aspetta a casa pancia all’aria e chiede solo le coccole. E lui ricambia, mandandoci i bacini dopo aver messo FINALMENTE quel gol sotto la Sud che aspettavamo dal giorno in cui è sceso dall’aereo che ce lo ha riconsegnato dopo tanti anni d’esilio. E’ il 4-2 definitivo: pochi minuti prima ancora un Hakan indemoniato come un califfo alla corte del Sultano aveva incrociato una mina mica da ridere per il 3-2 che stramazzava un depressissimo Toro (e vorrei anche vedere). Finisce. Guardo l’orologio (che non ho). Sono passati 120 minuti di gioco, più trenta di intervallo, sette birre, due toni di voce ribassata. Tutto questo di martedì sera.

Non male, non male.

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