‘Don’t dream it, be it’. Chissà, forse venerdì’ sera Vincenzino Montella nostro ha avuto un attacco di insonnia e nella sua stanzetta a Milanello ha rivisto per la centesima volta il Rocky Horror, sognando di farci giocare come l’Olanda del 1974. Solo così mi spiego la scelta suicida di piazzare subito altissimi i due terzini contro i Pulcinellas che cagano ripartenze come nemmeno i Pooh concerti d’Addio. E invece è tutto vero, pronti via e quelli ci arrivano immediatamente tre volte in porta: la prima Paletta abbatte uno e se la cava senza un rigore- ahimè- giustissimo, nelle altre due occasioni ci uccellano di giustezza e se la mettono in freezer insieme al limoncello di Sorrento. Poco più di dieci minuti di partita e noi lì inchiodati senza parole, mentre tutto attorno i Pulcinellas s’agitavano come nemmeno quando si scioglie il sangue di San Jennaro.
Ora: i Pulcinellas. L’anno scorso sono stato dissato mica male da parecchi di loro, che pare avessero trovato poco carino il trattamento che gli avevo riservato. Va detto, ad onor del vero, che dopo franco e virile confronto dialettico, con alcuni mi ci sono anche chiarito e mi ci scrivo pure ogni tanto. In ogni caso, sono una marea, sopra, sotto e intorno. Non ho capito se i gruppi storici siano tornati in trasferta, di sicuro possono contare sull’infinito numero di trapiantati a queste latitudini. Perché questo va detto: mentre i gobbi non hanno identità, forma e dignità alcuna, un napoletano può pure passare ¾ della sua esistenza svegliandosi al mattino con davanti la tangenziale di Cormano, ma appena gli si parla di Bruscolotti e Renica gli si illuminano gli occhi.
Ai tanti milanisti che ne lamentano l’ingombrante presenza, vorrei rispondere che se per loro (e i gobbi) ci sono così tanti biglietti, è perché voi, brutti stronzi, per primi avete lasciato San Siro vuoto. Pensate un po’: quando avevamo 70mila abbonati, alle Merde al derby davano solo la parte bassa della Nord da tanti che eravamo.
Ma non solo, e qui concludo: i Pulcinellas sono in tanti perché noi saremo cattivoni e faremo battute scontate sulla pizza e il mandolino, ma sostanzialmente, oltre a qualche brutta occhiata, non succede nulla, mentre temo che un’allegra compagnia che se ne va in giro fuori dal San Paolo con delle belle sciarpe rossonere al collo, potrebbe tornare con il naso che gli confina con l’orecchio. Se gli va bene.
Ma torniamo a sabato sera: insomma, siamo lì devastati con il tabellone che ci dice che sono passati dieci minuti e che siamo sotto di due. Potrebbe arrivare l’imbarcata della vita, potrebbero gangbangarci di gol. Invece parte la retorica Casciavit.
Prima Gustavone Gomez la manda fuori da un metro, poi Kuco la riapre trasformando lo stadio in una bolgia. Ci mettiamo il coltello nei denti e andiamo all’assalto, confidando che nel libro Cuore in versione rossonero quest’anno ci sia spesso l’happy ending. E invece.
Ora ragazzi, ho deciso di essere impopolare. Va bene il carattere, va bene che non molliamo mai, va bene che al 95esimo se Gigio la metteva di testa il boato lo sentivano fino alla Barona, però non so voi, ma io non ci tengo a diventare il nuovo Toro. Cioè noi i Pulcinellas dovremmo affrontarli (e batterli) con l’atteggiamento di chi da sempre è superiore, non come se il Giarre ospitasse il Real Madrid. Non come se avessimo sfiorato l’impresa.
E poi, mi metto l’elmetto prima di dirla. Ma per quanto lento, per quanto non faccia filtro, però con Sosa mi sono ricordato che esistono i registi. Quelli che chiedono la palla, giocano di prima, lanciano. Ora: non dico lui (davvero no), ma da quanto non abbiamo un regista in campo? Sì, lo so da quanto, grazie. Era solo una domanda retorica. Con i soldi avanzati dallo sciagurato Luigi Adriano, con le mancette dei cinesi, con i soldi delle birre vendute al baretto dovremmo cercare di portare a casa un centrocampista. E invece, arriva Deulofeu (avete imparato a dirlo?) un altro esterno. Che per pietà, magari è il nuovo Garrincha, ma di sicuro non aiuta a colmare una delle nostre più gravi lacune. Vedo i ragazzi sbattersi in campo e mi sale un senso di impotenza, di vorrei ma non posso che mi fa venire il sangue al cervello.
Va bene, c’è il closing. Va bene dobbiamo avere pazienza, ma questa scusa infinita rischia di farci buttare via un altro anno. Nessuno discute la voglia, la dedizione, gli attributi, il grande lavoro di Montella, (anche se Vincenzella dovrebbe spiegarmi perché il 4-4-2 proprio non lo vede mai, pure quando è palese che davanti ci manca uno che sa tenere i palloni, che fa salire la squadra, che sa saltare l’uomo, che soprattutto non gioca eternamente con le spalle girate alla porta). Chi dice niente. Però qui, cioè ormai a Giugno, c’è da tirare fuori i soldi, e pure tanti, perché i limiti che abbiamo non li possiamo superare con la cajenna. Anche perché per altro, spesso, non li superiamo, com’è ovvio che sia. Arrivano gli applausi, le pacche sulle spalle.
Tutto molto bello, ma Santa Madonna, io l’anno prossimo almeno il brivido di un preliminare di Europa League in Biellorussia me lo merito, che cazzo.
Devo dissentire. Il Milan pietoso era quello dell’ultimo lustro: senza dignità, giocatori privi di amore per la maglia, senza identità. Il nulla. Quest’anno abbiamo trovato un nostro equilibrio, un motivo per amare questa squadra. Per me va bene così. Non giocheremo una finale di Champions, non lotteremo per uno scudetto, ma io questa squadra la amo e mi emoziona, anche se non arriveranno i risultati sperati.
Pazienza. Sappiamo bene che il Milan storicamente non è stato soltanto tulipani olandesi, notti magiche in cui persino Gilardino (e non solo gli extraterrestri come Kakà) si concedono il lusso di impallinare corazzate come il Manchester United di Ferguson. Non solo palloni d’oro liberiani, ucraini e brasiliani.
Ma è stato quello dei 44 anni senza vincere uno scudetto, quello della serie B, quello di Blisset,
Si tifava la maglia, non il fuoriclasse e la coppetta alzata. Lo spirito era quello. Siamo diventati palati fini, e non va bene. E ii risultati si vedono: fino agli anni ’90 era inconcepibile solo riuscire a distinguere i cori dei tifosi in trasferta a San Siro. Sabato sul 2-0 si sentivano soltanto loro. E sabato erano, appunto, ovunque. Non solo nel settore ospiti. Questo è quello che non mi va giù, che mi fa rosicare, non di certo la posizione in classifica che, siamo onesti, ci compete.
E infine, perché no? La coppa Uefa (o Europa League se preferite) è l’unico trofeo che manca nella nostra bacheca: perché non andarcela a giocare lì? Perché non giocarci una competizione perfettamente alla nostra portata invece di sperare di andare in Champions per il solo gusto di dire “siamo in Champions!!!1!”, per poi prendere qualche goleada dal Bayern di turno e tornare a casa con la coda tra le gambe?
Ci stiamo interistizzando. Ma noi non siamo bauscia. Non agitiamo i portafogli allo stadio dopo una sconfitta. Noi amiamo la maglia, non la vittoria e la coppetta. Cerchiamo di interrompere la metamorfosi finché siamo in tempo.
Caro Dario, non c’è bisogno di dissentire, perchè sono d’accordo con te. Intanto, io la squadra la amo sempre, pure se ci giocano Constant e Muntari,non per nulla che la mia bella tessera a S.Siro si rinnova in automatico ad apertura di campagna abbonamenti, senza pormi il dubbio di chi ci sarà o meno. Non solo, le orecchie le tiro a quanti invece adesso disertano la stadio e lasciano praterie di biglietti ai tifosi avversari. In realtà, più che una questione di palati fini, la faccenda è di prese per il culo. Molte ne abbiamo subite in questi anni, e anche adesso stiamo camminando pericolosamente sul crinale della prossima. Ci vuole una grande fede e un grande amore per sopportarle. Nel mio caso aiutano anche le birre al baretto.
non so a chi ti riferisci con ” ci stiamo interistizzando ” visto che il Conte chiude con il desiderio di un preliminare di Europa League……
sono d’accordo che a questa squadra non si possa chiedre di piu, ma io mi emoziono sempre, ogni volta che varco il primo tornello, perchè vengo colto da un mistico sentimento di devozione che trascende il posto in classifica ( primo o ottavo che sia) o la squadra da affrontare.
ma il fatto di aver tenuto duro in momenti bui e l’amore cieco per questi colori dovrebbe forse farci sperare di galleggiare a metà classifica per tutta la nostra esistenza? perchè solo cosi riusciamo a subliminare il nostro spirito casciavit? io credo di no.
finchè abbiamo potuto abbiamo cantato nelle notti di Manchester come in quelle di Istambul, ora la palla è passata ad altri che forse non stanno facendo abbastanza ma almeno non si guardano la partita a casa come tanti culi comodi che frequentano il Tempio solo quando tutto gira bene.
Tu ( tifoso milanista nell’accezione più ampia ) cosa stai facendo?