Can you tell me where my country lies? Così inizia l’album più celebre dei Genesis ai tempi belli di Peter Gabriel. Me lo propinava senza pietà un mio compagno del liceo soggiogato dal padre amante del progressive anni 70 e dei panta a zampa. Io sbuffavo e mi ribellavo pompando sullo stereo i Bad Brains. Non sapevo, tenero 17enne, che anni dopo avrei portato a casa il suddetto vinile al sicuro da occhi indiscreti. Ma del resto come si cambia per non morire, diceva Fiorella Mannoia. E pure per non annoiarsi.
Insomma, sai dirmi dov’è la mia terra? E che ne so. Da dove mi trovavo io sabato altro che terra, manco vedevo l’altra parte del campo, al massimo cercavo di intuire dal mormorio della gente che diavolo stesse capitando. Tipo che il palo di Antonelli per me è andato così: uno con la maglia del Milan punta due loro, ad una certa viene risucchiato in una specie di buco spazio temporale indefinito, finché dall’altra parte si è sente un ‘uuuuuuhhhhh’ gutturale che mi fa intuire che sì, deve essere successo qualcosa, ma chissà cosa Sant’Iddio. Un’occasione sprecata, un tiro sibilante, una parata incredibile. Un palo, scoprirò poi. Un atto di fede, praticamente.
Io un muro bianco così me la ricordo solo ad un Milan-Verona nel 1990. C’era così tanta nebbia che intonavamo per Pazzagli: ‘Cos’è successo?/Andrea cosa è successo?’ perché davvero era impossibile distinguere la minima azione e infatti arrivò l’inevitabile sospensione. Ai veronesi cantavamo ‘stiamo arrivando’ e io guascone minorenne lo consideravo poco più che un coro goliardico che ululavo sogghignando, sottovalutando che per i nostri che si erano fatti le trasferte toste degli anni 80, l’occasione di poter arrivare a pochi metri di distanza degli Hellas senza che nessuno li vedesse era un’occasione troppo ghiotta per farsela sfuggire. Infatti, il resto viaggia fra la cronaca e la leggenda, come tutto quello che riguarda le rumbe sulle gradinate. Ma quelli erano anni in cui le partite con il Verona venivano accolte con la stessa gioia di una casalinga che si ritrovava il catalogo di Postalmarket nella casella postale. Ci si preparava a dovere con settimane d’anticipo. Insomma, era sempre una festa, dentro e fuori dallo stadio.
Non che con i Berghem fosse poi molto diverso, eh. Le pagine dei miei ricordi di quegli anni sono piene di numeri d’antologia con vuoti memorabili che si creavano nella Nord, per lo più dovuti ai loro ottimi rapporti con le forze dell’ordine. La drammaturgia seguiva sempre il solito schema: piccoli scazzi, focolai sparsi, cinghiate nelle prime file, carica dei blu, loro che arretrano, controcarica Bergamo, carica incattivita dei blu, crollo loro dall’alto a schiacciare i blu sulla transenna. And again and again. Nel frattempo Van Basten di solito aveva già fatto una tripletta. Ah, chissà che fine avrà fatto quello striscione con su scritto Intifada visto un dì ad inizio anni 90.
Anche se nemmeno ai tempi belli di Evair mi sono mai ricordato di un’Atalanta così compatta e quadrata, manco fosse l’Olanda del 74.
Pronti via e questi maledetti corrono, raddoppiano, pressano, ripartono e a momenti quel pezzo di ragazzone di Petagna ce la mette pure. Ci alziamo a fine primo tempo e ci diciamo. Ma caleranno questi, che cazzo. E in effetti, per calare calano, tanto i nostri fanno un secondo tempo per cui non posso trovare altro aggettivo se non ammirevole. Insomma, le proviamo tutte per portare a casa tre punti che ci meriteremmo senza se e senza ma: Abate maramaldeggia sulla fascia (davvero!), la mette in mezzo e i nostri non ci arrivano per un pelo, Kucka in versione Mazinga Z ne fuma due, entra in area spara una sassata destinata a miglior fortuna (quanto ci sei mancato a Roma Kuco, quanto). Bacca fa vedere che a stare in panca gli rode il culo e se la fa parare alla disperata sulla linea dopo aver saltato di giustezza il portiere. Insomma, cazzo. Dovevamo vincere. Lo stadio schiuma frustrazione e rabbia, e la sfoga su Niang che entrato a due dalla fine, pensa bene di mettersi a fare i sombreri quando tutti stanno lottando coltello ai denti su ogni pallone. Occhio che l’Mbaye non è ragazzo accorto e sta viaggiando spedito verso l’ingrato ruolo del capro espiatorio. Non fosse altro che per mero cinismo, eviterei di rendergli definitivamente San Siro indigesto, visto che stando la rosa attuale, le soluzioni in attacco (e a centrocampo, e in difesa) latitano drammaticamente.
Il Karma è un camaleonte, come diceva Boy George e se per settimane ci ha dato una spintarella facendoci portare a casa partite un po’ in bilico, ultimamente sembra essersi accanito contro di noi. Dal pareggio in extremis in un derby che non avremmo meritato di vincere non ce ne ha perdonata una. A Roma abbiamo raccolto zero punti dopo aver scialacquato il possibile, sabato la palla non sarebbe entrata manco se fossimo andati avanti tutta la notte. Anzi, mi sa che nei ruggenti minuti finali l’Atalanta potrebbe aver gettato alle ortiche qualche contropiede sanguinoso, di cui io non ho avuto la minima percezione (e chissà i Berghem sopra di noi al terzo anello, che più che vista la partita devono essersela immaginata).
Potevamo essere secondi, arriviamo a Natale quinti. Ma il punto non è questo. Basterebbe dare due giocatori degni di questo nome a Vincenzella e potrebbero accadere cose belle. Se lo merita lui, ce lo meritiamo soprattutto noi, dopo anni passati a masticare amaro. Invece niente. Il nostro amato (ex?) Presidente sproloquia ma ovviamente di tirare fuori una lira non se ne parla nemmeno, visto che aspetta solo di prendere i soldi e salutare tutti. I china non si sa chi sono, se ci sono, quando arrivano, se arriveranno, se gli piacciono i giovani promettenti, quelli affermati, quelli medi, qualcuno insomma. Mirabelli gira il mondo a veder partite non si sa per quale motivo. Quel pizzaiolo mafioso di Raiola ci taccheggia nemmeno fosse l’ultimo guappo della camurria.
Insomma pare che alla Vigilia durante ‘Una Poltrona per due’ non ci aspetterà nessun Gesù Bambino con gli occhi a mandorla e che sotto l’albero altro che regali: al massimo troveremo solo un bigliettino con su scritto ‘sto cazzo’. Capirete anche voi che non è bellissimo.
Buon Natale.