(di Federico Dask)
Che dire. Difficile anche trovare qualcosa di non retorico e banale quando hai speso soldi, tempo ed energie per venire a veder giocare il Milan a Londra, in uno stadio che hai sognato di visitare per una vita intera, e finire a prendere una rumba del genere, mischiato al pubblico di casa che ride e (ti) scherza tutt’attorno.
Non che non ce lo si aspettasse, per carità. Questa partita si poteva ragionevolmente immaginare di perdere: loro avevano le spalle al muro e – come un animale ferito – sapevamo che avessero tutte le carte in regola per darci una zampata sull’onda della disperazione. Eppure, nelle ore precedenti al fischio d’inizio, mentre vagavo sbattacchiato in giro dal brioso ventaccio della City, cominciavo a pensare che se c’era qualcuno che aveva tutto da perdere non eravamo certamente noi. E che anche loro avevano una discreta lista di infortunati e indisponibili.
“Pensa se invece gli dessimo il colpo di grazia”
E riconosciamocelo, per quindici minuti buoni in cui Leao ha dimostrato di essere imprendibile anche a questi livelli, abbiamo cominciato davvero a convincerci che si potesse fare qualcosa di memorabile. Da quel punto in poi, il buio omega. Periti sotto i colpi di un centrocampo più dinamico e muscolare, di soluzioni tattiche meglio partorite, di due panchine imparagonabili, ma in generale lacerati dalla consapevolezza di non poter ancora reggere certi ritmi e palcoscenici senza coincidenze astrali favorevoli a farci da spalla. Alla fine della fiera: stasera dovevamo perdere e abbiamo perso. Eppure questo – in nessuna maniera – puó rendere la cosa meno dolorosa, specialmente per chi si è dovuto subire una mezz’ora abbondante di garbage time al freddo mentre l’unico barlume di luce era l’eco dei nostri ragazzi nel settore ospiti a dominare uno stadio tiepido e borghese come la loggia di un teatro a Leicester Square.
Mi spiace, amici in rosso e nero: non c’è davvero nulla che io possa dire o fare o scrivere che abbia beneficio di rendere meno amara una serataccia come questa, tanto per voi quanto (soprattutto) per me. Bisogna solo assaporarne a fondo l’acre retrogusto, prendere un bel respiro e lasciarla scivolare per il gargarozzo fino all’ultima goccia. Con la speranza che questa sensazione di merda faccia da concime e da propulsione per la partita di ritorno la settimana prossima quando sì, stavolta saremo noi quelli con le spalle al muro disposti ad azzannare piuttosto che perire.