Cronache del dopobomba deluxe: Milan-Barcellona

20 Febbraio 2013

Una delle esperienze più traumatizzanti della mia vita è stato vedere “Salvate il soldato Ryan”. Non tanto per il contenuto del film, ma perché l’ho fatto dalla prima fila.

Se per caso non avete avuto la fortuna, vale più o meno come qualsiasi film di guerra, a parte i primi 20 minuti, cioè quelli in cui viene raccontato con precisione chirurgica lo sbarco in Normandia, praticamente catapultandoti su Omaha Beach. Ecco, io l’ho visto a circa quattro metri dallo schermo e oltre ad una nausea incipiente da stato interessante, l’effetto principale è stato di leggere la Paura, totale e devastante, dei soldati yankee che a bordo dei loro mezzi da sbarco sapevano che di lì a poco molto probabilmente sarebbero stati impallinati dal fucile a precisione di qualche biondino nazista di Hannover.

Ecco, l’approccio con cui il pacioso popolo milanista si poneva rispetto a questa partita era più o meno questo. Mai come in questo caso ho sentito gente accontentarsi a priori dello 0 a 0, ma anche meno: anche all’idea di uscire onorevolmente, con un sconfitta contenuta, che non facesse troppo male. Del resto, l’idea di affrontare Messi e Fabregas con la sagacia felina di Zapata non era esattamente esaltante, soprattutto considerato che il nostro unico e vero talento conclamato, SuperMarione Balotelli, ce lo potevamo sognare, lui e quella punizia al bacio con cui ha levato le ragnatele al sette del Parma venerdì scorso.

Che poi, lasciatemelo dire: il Barcellona è insopportabile. Veramente una sciagura per il calcio. Nella mia lunga carriera da tifoso ho visto sorgere e declinare svariati imperi calcistici (e noi ne abbiamo costruiti almeno due). Il Real di Zidane, il Manchester di Beckham, il Barca di Ronaldinho (prima che diventasse un pacco postale destinazione Milanello), persino le merde con Mourinho. Nessuna squadra, a memoria d’uomo, è noiosa come il Barcellona.

Undici nani ammaestrati che fondamentalmente hanno portato il calcetto su un campo a undici e passano 90 minuti a giocare ad una specie di versione a terra della pallamano. Da Xavi a Iniesta a Busquets che la tocca a Pedro che la ridà a Busquets che lancia Messi che la passa a Iniestia che accorcia per Fabregas che apre a Dani Alves che la tocca a Xavi che ribalta per Jordi Alba che appoggia dietro a Puyol che fa ripartire l’azione verso Iniesta, che.. poi insopportabile vero? Il tutto per 90 minuti filati. Se sei il tifoso avversario, trattieni il fiato dal primo all’ultimo minuto, perché la pera è sempre in agguato; se sei neutrale, ti annoi come se un buontempone avesse messo in loop ‘Music for Airports’ di Brian Eno ad una festa di liceali in calore.

Ma dicevamo: San Siro, pieno come un uovo (finalmente) si stringe e si dice: “questi abbiamo, teniamo duro”. E allora per 45 minuti vediamo i nostri mettere in piedi il più incredibile arrocco dalla storia del medioevo, con l’umiltà di un’Empoli di Salvemini che viene a strappare il punto in trasferta. Chiusure, chiusure e chiusure. Ripartenze ogni tanto, campanili molto spesso. Noi, apprezziamo. E bestemmiamo pure, quando Il Faraone si allunga il pallone prima e arriva di qualche centimetro in ritardo poi su un cross del Boa (ma come si fa non amarlo, questo ragazzo, che fa il terzino aggiunto e si spolmona come se non ci fosse un domani). Rientriamo negli spogliatoi e diciamo: bravi ragazzi. Tutti. Mancano solo 45 minuti. Su’.

Quello che succede nel secondo tempo è il nettare degli dei.

Loro continuano a tikitakare. Noi a falange romana chiusi dietro, a fissare l’orologio e fare il conto alla rovescia. Finché punizione: tiro sbananato di Montolivo, rimpallo su Zapata, palla a Boa, gol. Era dai tempi della rete di Pato al primo minuto nel derby dell’ultimo scudo che lo stadio non veniva giù così.

Occhei era mano. E’ evidente. Ma altrettanto involontaria. Protestano quelli che l’anno scorso hanno avuto un rigore a gioco fermo (!). Oltre a lagnarsi, altri segni di reazione di quelli con la maglia Chupa-chups? Zero. L’unico che se la suona e se la canta è Iniesta. Quest’uomo con il fisico da ragioniere di Vimercate. Ingiustamente scippato del Pallone D’Oro dal nano argentino proprio l’anno in cui aveva vinto il Mondiale, per di più segnando in finale (uno cos’altro deve fare? Vincere la Royal Rumble di Wrestling?). Levargli la palla dai piedi: impossibile. Pur avendo la struttura atletica di uno che vedresti a fare la grigliata all’Idroscalo con la borsa frigo piena di Birra Fidel, vince i contrasti, serpentineggia e alla fine, visto che nessuno dei suoi fa un cazzo, ci prova pure e sfiora il palo. Al 76°. Primo tiro in porta di quelli là.

Mancano solo dieci minuti. Ti arrocchi ancora di più. Entra Forever Niang al posto di Pazzini, che le ha date e soprattutto le ne ha prese una marea, ha dato tutto quello che aveva da dare. Dici, almeno è fresco, può tornare lì in mezzo a fare muro. E invece. Su una rimessa laterale loro fanno casino, lancio immediato del Monto per Niang, che dall’alto dei 18 anni salta secco Puyol, l’allunga al Faraone, che dall’alto dei suoi 20 anni, di prima se la alza, si gira, con lo specchietto retrovisore vede salire dietro Muntari, solo. Al rallentatore realizzi che non ha nessuna maglia gialloaranciomandarino addosso e ha tutto il tempo di mirare. Incrocia, palla nell’angolo. 2- 0.

Delirio. Mancano dieci minuti e siamo due a zero contro i giocolieri di sto cazzo. S.Siro diventa una bolgia, l’unico terrore viene da alcuni disimpegni surreali di Zapata, che ancora ci chiediamo cosa ci faccia lì in mezzo. Puyol di testa ci fa venire un mezzo infarto, ma a casa poi placidamente realizzi che il palo non l’ha manco sfiorato.

Cinque minuti di recupero. I più lunghi della nostra vita (cioè, non saranno mai lunghi come quelli di Inter- Milan 1-1 semifinale di Champions 2003, ma siamo ad un’incollatura). Fischia, fischia farabutto. Macché.

Ci sta un ultimo cross, mentre lo stadio in piedi ha il cuore in gola. La prende Abbiati e finisce. E’ la prima volta che Christian si è sporcato i guanti.

Non serve a niente, non servirà a niente. Ma che soddisfazione. Immensa.
Grazie a tutti. Applausi, standing ovation.
Sipario. Fine primo atto.

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